Lo scorso 15 gennaio 2021 Wikipedia, la famosa enciclopedia libera e partecipativa, ha compiuto 20 anni. Nacque infatti il 15 gennaio 2001, da un’idea dei suoi fondatori, Jimmy Wales e Larry Sanger.
Oggi è uno dei siti più popolari e visitati al mondo, con numeri davvero impressionanti:
13° sito mondiale;
55 milioni di voci;
316 lingue;
+ 300mila utenti attivi;
1,7 miliardi di visitatori unici ogni mese.
(fonte: The Economist)
Ma al di là di questi numeri incredibili, quello che davvero colpisce di questa enciclopedia libera è il progetto che ne è alla base.
Innanzitutto, i suoi fondatori non sono diventati milionari, gli autori delle voci sono tutti volontari e producono circa ventimila nuovi articoli al mese. Inoltre Wikipedia non fa titoli acchiappaclick, non fa pubblicità, non ha cookie, non profila i suoi utenti, non utilizza sofisticati algoritmi di I.A. per “suggerirti” i tuoi argomenti preferiti e non è cresciuta grazie ai soldi di qualche venture capitalist della Silicon Valley.
No, Wikipedia è nata in un periodo in cui ancora si riteneva che Internet fosse un baluardo della libertà di espressione e un sogno di utopia e fratellanza universale.
Wikipedia è la vera mosca bianca del web.
L’enciclopedia libera più famosa di internet è una sorta di utopia sessantottina mutata ai tempi del web; i suoi unici introiti sono quelli che ricava dalle libere donazioni (la quota minima è di 2 dollari al mese!), alle spalle ha una fondazione, è gestita da una comunità ed in pratica è fatta al 100% da esseri umani.
Le sue voci sono, grazie al controllo di una comunità attiva e partecipativa, fra le più autorevoli al mondo: si è stimato che un errore viene corretto mediamente in un’ora, garantendo una grandissima attendibilità. Attendibilità dovuta in verità – come ha ribadito l’autrice radiofonica Federica Gentile in una recente puntata di Terza Pagina su Rai 5 dedicata proprio a Wikipedia –anche a dei sistemi di correzione automatica che hanno un’accuratezza pari all’86% rispetto all’intervento umano, che invece risulta accurato nella misura del 63%.
Ma pensare che questa sterminata enciclopedia possa rappresentare il punto di arrivo della cultura e/o dell’istruzione sarebbe un errore e tradirebbe, in un certo senso, anche lo scopo fondamentale di Wikipedia e delle enciclopedie più in generale. Ognuna delle 55 milioni di voci sono un punto di partenza e non uno di arrivo, come dicono molti esperti del web e tantissimi intellettuali, le vere chicche sono le “note” che corredano le voci – quei numeretti tra parentesi – che rimandano ad articoli accademici, altri siti ed a riviste scientifiche, che rappresentano la reale possibilità di istruirci, acculturarci e scoprire il mondo che ci circonda.
Come ha dichiarato in un recente articolo su La Repubblica il giornalista ed esperto della rete Riccardo Luna (qui trovate la sua “voce” su Wikipedia):
“Wikipedia è gratuita ma è stato calcolato che il valore che genera per ogni utente è di circa 150 dollari l’anno. […] Wikipedia è troppo bella per essere vera: in un mondo guidato dal profitto ha messo al centro la conoscenza, al posto della competizione si è basata sulla collaborazione anche fra estranei, e la tecnologia – la piattaforma wiki – l’ha messa al servizio delle persone. Insomma dal 2001 è sempre andata in direzione ostinata e contraria. Non stava sbagliando strada, stava costruendo una utopia. Nel mare del web, l’isola che non c’era.”
Come dargli torto, in una società come la nostra, dominata dal profitto e dall’interesse non solo economico, che ha saputo e voluto corrompere la prima e più genuina voglia di utopia e libertà di quella internet degli albori, cresciuta nelle università, costruita nei garage della Silicon Valley da brufolosi cowboy e disadattati nerd, purtroppo non esiste più. Wikipedia, oltre ad essere quella fonte inesauribile e indispensabile di informazioni e curiosità, è anche un monito, anzi un monumento, a quello che internet e la rivoluzione digitale potevano e dovevano essere.
Grazie Wikipedia!
È grazie a te che noi oggi, e soprattutto le generazioni future domani, possiamo sapere che un’altra via è possibile, che la rivoluzione (anche quella digitale), come dicevano gli hippy si può fare senza armi, senza odio, senza denaro, ma con la forza di un’idea di fratellanza, partecipazione e amore.
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