Supponiamo di essere delle persone in cerca di attenzioni e di uno spazio enorme in cui emergere, dove dire quello che pensiamo e fare ciò che vogliamo.
Dove lo troveremo? Nel World Wide Web naturalmente, nello sterminato mondo di Internet.
Più precisamente quale realtà in questo universo di opportunità ci farebbe produrre contenuti virali, pubblicare generando reaction istantanee e ottenere i follower che servono alla nostra popolarità?
Le piattaforme di social network!
Risposta ridondante più che banale.
Un fenomeno che cresce a colpi di like e condivisioni
È esattamente qui, tra i post e le immagini pubblicate ogni minuto del giorno, che si ha la possibilità di rendere virale qualsiasi cosa. Basta una condivisione o un semplice like perché un contenuto, non necessariamente pertinente e neanche troppo affidabile, raggiunga ogni persona, ente o società connessa. La viralità è un vantaggio, certo, ma anche una pericolosa arma di persuasione, un ordigno in grado di far esplodere una contestazione, uno scontro civile e infine una guerra inarrestabile.
Niente di nuovo. Nell’era della digitalizzazione 4.0 e del proliferare di reti di connessione tra mondi opposti, tutti sappiamo che non sempre ciò scorriamo sulla nostra home è reale e lo stesso vale anche per i contatti con cui abbiamo stretto amicizia
Il caso Facebook
Lo scorso dicembre Facebook e Twitter hanno rimoso circa 6 mila account falsi.
Dal Trasparency Report, che rende note regole, tendenze e metriche rilevate tra gli utenti Instagram e Facebook, è emerso che moltissimi fake account sono stati rimossi perché svolgevano attività terroristica, erano legati ad Al Qaeda, Isis e simili.
Alcuni numeri
Più recentemente, all’inizio di febbraio, l’Ansa ha dato notizia che sempre la società di Zuckerberg ha cancellato 783 pagine, gruppi e account che si spacciavano per utenti di paesi europei, mediorientali e dell’Asia meridionale e che condividevano contenuti proposti dai media statali iraniani.
L’iniziativa è partita da una serie di indagini relative a campagne politiche sui social.
Altro che profili fittizi creati per flirtare, sui social che utilizziamo ogni giorno esiste una manipolazione digitale che sfocia in casi di complottismo politico ed economico.
Gli account eliminati, alcuni dei quali attivi sin dal 2010, hanno generato circa 2 milioni di follower su Facebook e oltre 250 mila su Instagram. Le pagine postavano contenuti con forti predilezioni per il governo di Teheran e contro l’Occidente e i vicini regionali, come Arabia Saudita e Israele.
Il caso Twitter
L’indagine di Twitter si è invece concentrata sull’attività di una società di marketing in particolare, chiamata Smatt. Quest’ultima, che solo apparentemente era una normale agenzia che si occupava di social media management, era legata alla famiglia reale saudita.
I profili gestiti hanno inviato 32 milioni di tweet e guadagnato tantissimi follower con messaggi di propaganda politica mescolati a contenuti innocenti.
Con il “ritwett” o “segui” venivano poi creati sottogruppi più piccoli all’interno delle reti dei cospiratori.
Nuove strategie per i fake account
Difficile pensare che un fenomeno del genere possa essere sempre tenuto sotto controllo.
L’automazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale non aiutano in questo senso.
Con l’automazione infatti si può evitare di tracciare alcuni passaggi alla base di comportamenti sospetti. L’AI invece è un perfetto alleato per creare foto di profili falsi.
La viralità non è autenticità
Se la tecnologia sia nostra nemica piuttosto che amica è la domanda che la società si pone con insistenza almeno dal secolo scorso e ancora non è riuscita a rispondersi. È uno di quegli interrogativi che esistono per far discutere e generare opinioni, per restare sempre aperti.
Piuttosto riflettiamo sulla realtà circostante, quella virtuale e quella tangibile, quante cose non sono come sembrano? E a quante diamo particolare attenzione solo perché, superando certi confini sono diventate virali?
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