Parafrasando una celebre massima di Emily Dickinson, dedicata all’amore, potremmo azzardare e dire: “Che la comunicazione è tutto, è tutto ciò che sappiamo della comunicazione”.
E, benché un po’ tirata, questa massima calza a pennello al concetto di comunicazione, ancora di più oggi che, nel mondo iperconnesso, digitalizzato e virtualizzato in cui ci muoviamo, abbiamo compreso da tempo che la comunicazione, insieme all’informazione ed ai dati ad essa strettamente connessi, sono i tre asset strategici più importanti non solo per il nostro futuro, ma anche adesso, per il nostro presente.
Questo numero di giugno di Smart Marketing dal titolo “Tutto è Comunicazione” vuole fare il punto sullo stato dell’arte della comunicazione interpersonale, politica, economica, sociale, culturale e virtuale nel nostro Paese e nel Mondo, dopo, ma meglio sarebbe dire durante, la pandemia e l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus.
Si è ripetuto come un mantra “nulla sarà come prima”, od ancora “cambierà tutto”, e noi abbiamo visto come la comunicazione sia profondamente cambiata durante questa emergenza, sia nelle modalità, nei mezzi, negli strumenti, nelle tematiche che soprattutto nella “natura stessa” dei comunicatori.
Per aiutarci a districarci in questo “assembramento” caotico di dati, informazioni e comunicazioni, noi di Smart Marketing abbiamo intervistato un comunicatore doc, il dott. Francesco Specchia, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico e televisivo di lungo corso, noto soprattutto per “POP Economy – Il luna park dell’economia”, famoso ed innovativo format televisivo che approccia il complicato mondo dell’economia con un linguaggio fresco, divulgativo e al contempo approfondito.
Domanda: Dott. Specchia, per cominciare, quanto ha inciso nella sua formazione ed esperienza il fatto che lei abbia iniziato i suoi primi passi da giornalista e comunicatore nel mondo della carta stampata in quotidiani come “Libero” e soprattutto “La Voce” di Indro Montanelli?
Risposta: “Ha inciso parecchio. Sono stato molto fortunato a vivere, come ragazzo di bottega, l’esperienza di quel covo di spiriti folli che era la Voce, nel ’94. Montanelli era riuscito nell’impresa di riunire sotto la sua ala grandi innovatori grafici e giornalistici come Vittorio Corona, giovanissimi talentuosi come Travaglio e Gomez, firme che avevano fatto la storia della carta stampata come Sergio Saviane. Ha reso il giornalismo libero, è stato gambizzato per questo; e ci ha instillato un senso della scrittura, della notizia e dell’onore inarrivabili. Il mio primo figlio si chiama Gregorio Indro non a caso. Libero, invece, l’ho vissuto da padre fondatore: rispetto alla Voce è meno geniale ma più solido, e Feltri è la naturale prosecuzione – anche se animato da sentimenti opposti – di Montanelli, solo più bravo nel dirigere l’orchestra”.
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La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Domanda: A proposito di Indro Montanelli, cosa pensa della recente ondata di sdegno anti razzista e politicamente corretto che sta travolgendo l’opinione pubblica mondiale, al seguito dell’omicidio da parte della polizia americana di George Floyd, e che si sta abbattendo anche, e soprattutto, sulle statue di personaggi storici del passato?
Risposta: “Il caso della sposa bambina è ciclico e alimentato da avversari politici che a Montanelli non son degni di lustrare le scarpe. Indro spiegò bene quali erano le condizioni storiche e giuridiche di quel matrimonio. Non tirerò fuori tutte le eccezioni del caso, dalle unioni con ultraminorenni di Maometto al concetto storico di “maggiore età” che cambia nella storia. E l’attacco alla sua statua non ha nulla a che vedere con George Floyd. Dovrebbero prendere quei quattro idioti vandali e spiegar loro di un signore che è stato condannato a morte dai nazisti, a cui hanno sparato le Brigate Rosse, che è stato cacciato sia dal giornale di cui era il campione sia da quello che egli stesso aveva fondato. Il vecchio Cilindro ha rifondato il nostro mestiere, dovremmo amarlo in silenzio solo per questo”.
Domanda: Come è cambiata, se lo ha fatto, la comunicazione politica, scientifica, sociale ed economica durante questa pandemia?
Risposta: “Quella politica si è spinta in modo ossessivo sugli annunci e sulle promesse non mantenute (Alex Zanardi diceva che se un allenatore facesse quelle promesse sarebbe licenziato, i politici invece li rieleggono). Quella scientifica, specie dei virologi, ha occupato tutti gli interstizi della comunicazione, sostituendosi pericolosamente a quella politica. Le comunicazioni sociale ed economica sono diventate una fastidiosa appendice della realtà nel mondo descritto dalla comunicazione politica. E’ un circolo vizioso che prima o poi dovrà rompersi. E allora andremo alle elezioni”.
Domanda: Durante il lockdown abbiamo assistito a due fenomeni comunicativi in antitesi fra loro. Da una parte abbiamo avuto la prepotente ascesa degli scienziati, soprattutto virologi, biologi ed epidemiologi, su tutti i media, dalla radio alle dirette facebook, dalla carta stampata alla tv, dove mai prima d’ora si era visto un tale spazio dedicato alla scienza. Dall’altra parte, nel clima di paura ed incertezza, è esplosa la produzione e circolazione di fake news e bufale che hanno intossicato il dibattito pubblico e, cosa assai più grave, anche quello politico. Come possono stare insieme le due cose, scienza e fake news, scienziati e complottisti? Sono davvero il sintomo di un’arteriosclerosi della comunicazione?
Risposta: “Più che arteriosclerosi io parlerei di cortocircuito. Le fake sono il vero dramma del secolo, perché con questo giornalismo “a rete”, conseguenza nefasta del web e dei social, è sempre più difficile distinguerle dalla verità; mentre i virologi sono un fenomeno temporaneo ma che sta anchilosando, come dicevo, la nostra comunicazione. In Italia, oggi, i virologi hanno una voce oracolare, qualsiasi boiata dicano. Mentre in Usa, per dire, sono già diventati una caricatura. Si tratta di aspettare e ancorarsi, come una volta, alla veridicità delle fonti”.
Domanda: A proposito di arteriosclerosi della comunicazione, concetto caro alle teorie di Paul Watzlawick, come si concilia, secondo lei, il primo assioma della comunicazione: “è impossibile non comunicare”, postulato dallo psicologo e filosofo austriaco, principale esponente della Scuola di Palo Alto, nel mondo iperconnesso e virtualizzato di oggi? Questo assioma ha perso vigore, o è più valido che mai?
Risposta: “Nel mondo iperconnesso si sprecano le teorie e le definizioni: Walter Lippmann, per esempio, dice che le notizie formano una sorta di pseudo-ambiente, ma le nostre reazioni a tale ambiente non sono affatto pseudo-azioni, bensì azioni reali. Si comunica sempre, forsennatamente, anche se in modo sempre diverso. Nel mio mestiere ora si staglia perfino la moda del “robot journalism”, una definizione che viene associata all’uso di software in grado di realizzare testi di senso compiuto senza l’intervento dell’uomo. Credo che passerà anche questa. Ma, certo, così com’è messa la società, non puoi evitare di esprimerti…”.
Domanda: Per concludere, lei è un esperto riconosciuto di comunicazione, soprattutto economica, che attraverso i suoi vari programmi, in particolare con POP Economy, ha reso divulgativa e chiara; secondo lei, guardando agli ultimi mesi, come si è comportata la comunicazione scientifica sul web ed in tv? Gli scienziati hanno avuto un approccio divulgativo, sono ancora troppo complicati, o hanno sprecato un’occasione, anche per eccesso di vanità e protagonismo? E, alla luce della pandemia di Covid-19, quanto è e sarà importante la “comunicazione scientifica” nelle nostre vite?
Risposta: “La comunicazione scientifica del Covid, volgarizzandosi, diventando seriale e adeguandosi alle esigenze televisive, ha senz’altro perso un po’ in autorevolezza, spesso rendendo narcisi personaggi di un’austerità di solito invincibile. Ma tornerà a riacquisire i propri spazi e le propria ineluttabilità quando passerà il Coronavirus e gli Italiani torneranno ad essere – a secondo dei momenti – soltanto un popolo di poeti, santi, navigatori, allenatori di calcio, costituzionalisti, espertoni di fondi europei…”.
Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d’adozione è giornalista, scrittore e autore tv.
Ha una laurea in legge e una specializzazione in comunicazioni di massa e antropologia criminale, ma non gli sono servite a nulla. Tra i fondatori del quotidiano “Libero” dove scrive di politica, cultura, tv e mass media, ha lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Angese assieme ai grandi satirici italiani. Per anni titolare del “Telebestiario” sul TgCom, in radio ha firmato trasmissioni per Radio Monte Carlo e R101 e “Prima pagina” su Radio3 Rai; e partecipato alla fondazione di “Agorà” su Raitre. Ha scritto e condotto programmi televisivi disparati e disperati, tra cui i talk show politici “Iceberg”, “Alias” , “Versus”, e “I Tartassati- Storie di fisco e dintorni”. Tra i suoi libri: saggi tra cui “Diario inedito del Grande Fratello” (Gremese), “Gli Inaffondabili” (Marsilio), “Terrorismo -L’altra storia” e “Giulio Andreotti-Parola di Giulio” (Aliberti). Bazzica spesso la tele, in programmi seriosissimi.
Tifa per la Fiorentina, i film di genere e i fumetti d’autore. Ha due figli; il suo primogenito si chiama Gregorio Indro (e ancora si chiede il perché, ma quando sarà grande capirà…).
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