“Cosa sarà” è il film che ci insegna le nostre fragilità di fronte alla malattia, ma pure ci istruisce su come poterla superare, ed ecco perché dovremmo vederlo

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Ti chiami Bruno Salvati e sei un regista di scarso successo che realizza “commedie che non fanno ridere” e film che “non vuole” e “non vede” nessuno, come ti rimprovera il tuo produttore.
Sei da poco, ed a malincuore, separato da tua moglie e sospetti che lei stia già frequentando un’amante (si, con l’apostrofo, perché è donna).
Hai due figli, Adele e Tito, la prima è una studentessa brillante e determinata, l’altro un ragazzo vago, un po’ apatico e cannaiolo.
Un giorno, per caso, in seguito ad un piccolo infortunio, scopri di avere una di quelle malattie con un nome impronunciabile ma con un significato terribile: la mielodisplasia.
La cura, che non è detto abbia successo al 100%, richiede un donatore di midollo compatibile da cui ricavare le cellule staminali, l’operazione è rischiosa, i donatori pochissimi e non tutti compatibili.
D’improvviso la tua vita subisce una di quelle svolte ad U radicali ed inaspettate a cui non sei preparato e che mettono a nudo tutte le tue fragilità, anche quelle più inconfessabili; tutto cambia, soprattutto i rapporti con la tua famiglia e gli amici.

Alcuni di voi avranno riconosciuto in questi pochi indizi il plot dell’ultimo film del regista Francesco Bruni, “Cosa sarà”, con Kim Rossi Stuart, Lorenza Indovina, Barbara Ronchi, Giuseppe Pambieri, nel quale il regista romano/livornese racconta con grande coraggio ed autoironia il suo “reale” incontro con la mielodisplasia.cosa-sara-3

Come si affronta una malattia terribile? Come fare i conti con il proprio passato? Come affrontare il rapporto con i figli? Con l’ex moglie? Gli amici? I medici e gli infermieri?

Dobbiamo abbatterci? Disperarci? Oppure possiamo provare con calma ma risolutezza a porre rimedio a questo destino infausto?

Quello della scoperta della malattia attraverso cui rileggere la propria vita è un tema caro alla storia del cinema, che lo ha affrontato in tanti straordinari film, fra i quali mi piace ricordare il mio preferito, lo splendido “My Life – Questa mia vita”, del 1993, scritto e diretto da Bruce Joel Rubin, con uno straordinario Michael Keaton, che mi pare avere diversi punti di contatto con la pellicola di Francesco Bruni.

Kim Rossi Stuart, il Bruno Salvati del film (e alter ego di Francesco Bruni), è perfetto con i suoi molteplici colori e la sua aria smarrita e spaventata a dare corpo e sostanza al protagonista del film, che attraverso la malattia riscopre il rapporto con i figli spesso trascurati, si riavvicina ad una moglie amorevole e determinata (la sempre intensa Lorenza Indovina) e scende a patti con un padre incompreso e libertino (il bravissimo Giuseppe Pambieri) che gli confesserà una verità che potrebbe rivelarsi una svolta salvavita.

Non voglio svelare troppo di questo film, la cui forza risiede principalmente in tre aspetti: in una solida sceneggiatura autobiografica scritta dal regista stesso (coadiuvato da Kim Rossi Stuart); in una bella fotografia di esterni girati fra Roma e Livorno; e soprattutto in un cast di ottimi attori che girano a meraviglia.cosa-sara-locandina

Quello che mi preme, in questa sede, è rivelare l’estrema attualità di questa pellicola: il tema della malattia inaspettata e dall’esito probabilmente nefasto, dello smarrimento del protagonista di fronte alla notizia, alla patologia, al decorso lungo e faticoso della cura, all’apparato sanitario, sono gli stessi che in quest’anno infausto all’insegna del Covid-19 molti, moltissimi di noi, hanno dovuto affrontare.

Questo film, come il cinema in genere fa, ci offre la possibilità di vedere rappresentate sul grande schermo le nostre paure più profonde, quelle legate alla morte, ma pure la maniera, se non proprio di risolverle, di scendere a patti con esse. Un insegnamento quanto mai attuale ed importante, in questa fase delle nostre vite, dove le parole malattia, morte, contagio, virus, ospedale, medicina, scienza, dottore, infermiere, non sono più solo astrazioni linguistiche, ma veri e propri agglomerati di significati e di sensi nuovi e profondi.

Il film di Francesco Bruni è quanto mai necessario oggi, in questo clima di sentimenti contrastanti che stiamo tutti vivendo a causa della pandemia da Coronavirus. Infatti sperimentiamo di continuo e alternativamente da una parte rabbia, sconforto e disperazione, e dall’altra menefreghismo, negazionismo e rassegnazione. “Cosa sarà” con delicatezza, tenacia e perspicacia ci dice due cose in particolare: che davanti all’ignoto dobbiamo fidarci della luce della scienza e che l’unica maniera che abbiamo non tanto per “risolvere” la malattia, quanto per dare un senso all’esperienza della stessa, è l’aiuto della famiglia.

Quindi il tutto si riduce a due termini, “scienza” e “famiglia”, due parole che abbiamo re-imparato ad apprezzare e valorizzare grazie proprio a questo infido virus che ci ha insegnato la fragilità, ma che pure ci ha istruito sulla nostra capacità di resistere, due lezioni non da poco che dovremmo sforzarci di non dimenticare, quando, e se, tutta questa emergenza sanitaria finirà.cosa-sara-1

Previsto inizialmente in uscita per il 19 marzo 2020, il film con il titolo quanto mai emblematico e profetico “Andrà tutto bene”, a seguito del primo lockdown per l’emergenza sanitaria, viene rinviato al 24 ottobre, con il nuovo titolo, esattamente in concomitanza con il DPCM di fine mese che di fatto gli ha consentito un solo giorno di proiezione nelle sale italiane. Il film sarà disponibile dal 31 ottobre on demand sulle principali piattaforme.

Andate a recuperarlo, non ve ne pentirete!

Sono contento che questo sia stato l’ultimo film visto in sala prima dell’ennesimo blocco, io e la mia compagna siamo usciti dal cinema con un po’ di paura in meno, con un pochino di consapevolezza in più e con una sana, e quanto mai opportuna, iniezione di speranza.

Il virus prima o poi verrà sconfitto (si spera), le nostre vite sicuramente saranno cambiate (forse), i cinema riapriranno (probabilmente), ma una cosa mi pare certa ed inevitabile, le storie che vivremo sulla nostra carne o su di uno schermo continueranno a essere necessarie per la nostra esistenza, la nostra sopravvivenza e il nostro sviluppo interiore.

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