Ivan Zorico (348)
Non c’è politico, di destra e sinistra, che negli ultimi dieci anni non abbia pronunciato a gran voce la parola riforma. Riforma della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, del Sistema Sanitario Nazionale, del Senato ed infinite altre. Tutte riforme che, a loro dire, avrebbero dovuto avere un effetto positivo sulle nostre vite. Avrebbero…appunto!. Già perché per i più svariati motivi (leggasi, sostanziale immobilismo) queste riforme o non sono state attuate o sono state varate senza tuttavia sortire i risultati sperati. Però c’è stato un tempo in cui le Riforme sono state realmente incisive. Gli anni ’70, infatti, saranno sempre ricordati come il decennio dei diritti civili. In quegli anni sono stati approvati lo Statuto dei Lavoratori (di cui tanto si parla in questi giorni), la legge sul Divorzio, la “legalizzazione” dell’Aborto e la chiusura dei Manicomi.
Ed è proprio quest’ultima legge ad essere promotrice, in qualche modo, del film “Si può fare”, diretto da Giulio Manfredonia e scritto da Fabio Bonifacci. Il film è ambientato nel 1983 a pochi anni di distanza dalla Legge Basaglia del 1978, che rinnovò l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica tesa al miglioramento della qualità della vita dei pazienti. In questo scenario un sindacalista, Nello (Claudio Bisio), viene mandato a dirigere la Cooperativa 180, un’associazione di persone con problematiche mentali, impegnata in attività assistenziali dalla dubbia utilità. Dopo un’iniziale e non proprio facile periodo di ambientamento, Nello cerca di far capire loro che possono realizzare qualcosa di bello e, dopo un’assemblea nella quale tutti avevano la possibilità di esprimere la propria opinione, decidono di diventare una cooperativa di posatori di parquet. Ogni paziente ha un ruolo professionale ben preciso ed il loro lavoro è così tanto apprezzato, da ricevere commesse anche di un certo livello. Nel frattempo Nello si rende conto che i dosaggi a cui erano sottoposti non permettevano di esprimere al meglio le loro capacità e, dopo una lite con il dott. Del Vecchio (Giorgio Colangeli) che si opponeva a tale idea, si affida al dott. Furlan (Giuseppe Battiston). Sotto la guida di quest’ultimo le cose sembrano andare per il verso giusto: le medicine vengono via via diminuite, i pazienti attraverso il lavoro canalizzano le loro forze e peculiarità, e gli appalti aumentano sempre più. Insomma, pian piano, i pazienti stavano recuperando pienamente la loro dignità di persone “sane”. Poi, come un lampo a cielo aperto, una sciagura si abbatte sulla cooperativa e sulle loro vite: un paziente, Gigio (Andrea Bosca), si suicida a causa di una delusione d’amore che non riesce a sostenere. Tutto sembra precipitare. La morte di Gigio e la reazione violenta del suo amico Luca (Giovanni Calcagno) vengono imputate alla riduzione del dosaggio delle medicine. Nello, turbato e carico di rimorsi, molla tutto. I pazienti ritornano sotto la supervisione del dott. Del Vecchio. In questo caso, però, le sue convinzioni cambiano. Riscontra un effettivo miglioramento del loro stato psicologico dettato sia dal dosaggio inferiore che dall’essere stati impegnati attivamente in un lavoro produttivo e gratificante. Convince quindi Nello a continuare nella sua opera e, dopo essersi aggiudicati un grosso appalto per decorare la nuova linea della metropolitana di Parigi, riescono a coinvolgere anche altri pazienti
In un numero come #ripartItalia, abbiamo scelto di recensire questo film perché ci sembra, anzi ne siamo convinti, che sia una bella storia (tra l’altro vera) da raccontare. Una storia che parla di persone che (pur con dei disagi) attraverso il lavoro ed il recupero della dignità, hanno cambiato il corso delle cose e modificato persino il modo di essere percepiti dall’esterno. Sono riusciti, quindi, ad avere una vita “normale”.
L’autostima ci sembra la chiave di lettura per interpretare questo film. L’autostima ha permesso a quei ragazzi di sentirsi nuovamente parte della società e finalmente utili. Perché diciamoci la verità, probabilmente uno dei mali di questo particolare periodo storico è proprio la mancanza di fiducia nelle proprie possibilità e il non sentirsi inseriti nella società. Questo film invece insegna, qualora ce lo fossimo dimenticati, che proprio credendo fermamente in noi e lavorando sodo, si possono ottenere risultati (impensabili) e ripartire! Modificare le nostre esistenze si può e si deve fare. Dobbiamo solo iniziare da noi stessi e, aldilà del risultato finale, alla fine del percorso avremo comunque qualcosa per cui gioire, proprio come i protagonisti del film.