É dal web, precisamente dal social del momento TiKTok, che arriva l’ultima mania, ma forse si tratta di una tendenza, della comunicazione.
Sto parlando del “corsivo” (cörsivœ), una maniera di parlare prolungando le vocali, le finali delle frasi e le tonalità delle sillabe che in questa maniera cambiano radicalmente, facendo ottenere un tono di voce acuto e inusuale. Si tratta di una maniera di accentuare e parodiare la parlata snob e sofisticata della peggior cadenza milanese, esasperando la presenza di termini in inglese, le vocali chiuse e il ritmo cantilenato.
Ed è proprio una giovanissima 19enne creator milanese, Elisa Esposito, che ha portato alla ribalta questa strana maniera di parlare, tenendo sul suo account TikTok addirittura delle lezioni di corsivo che sono diventate virali; ad oggi la professoressa di cörsivœ ha 700mila fan e ben 27 milioni di likes sulla piattaforma di proprietà di ByteDance, tanto che si sono interessati a lei anche giornali, quotidiani e la trasmissione televisiva Propaganda Live de La7.
Non so cosa pensare di questa nuova mania, che probabilmente durerà il tempo dell’estate, anche se non credo; la mia perplessità come giornalista 49enne appartenente alla “Generazione X” (occhio, non sono un boomer) è: ma davvero il “linguaggio” e la “comunicazione” più in generale stanno andando in questa direzione di cui per ragioni, origini e motivazioni diverse fanno parte sia il cörsivœ che lo scevà?
Sono cresciuto leggendo e formandomi sui libri di Marshall McLuhan, Noam Chomsky, Steven Pinker e soprattutto Paul Watzlawick che, per inciso, hanno posto le basi scientifiche di qualsiasi trattazione sul linguaggio e comunicazione interpersonale presente e futura.
Dall’affermazione che il “mezzo è il messaggio” e la fondamentale distinzione dei media in caldi e freddi di McLuhan, alla grammatica universale di Chomsky, dall’istinto del linguaggio di Pinker ai 5 assiomi della comunicazione di Watzlawick.
A questi capisaldi fondamentali, ho aggiunto altri testi ed autori “essenziali” come “La scimmia nuda” di Desmond Morris, “I volti della menzogna” di Paul Ekman e il sorprendente “La dimensione nascosta” di Edward T. Hall.
Insomma, la mia conoscenza del linguaggio e della comunicazione interpersonale non solo è tratta dai libri e dalla parola scritta, ma vede nelle interazioni in un ambiente fisico la sua dimensione di espressione ideale, ed è per buona parte di tipo “analogico”, mentre oggi, almeno dal 2010 in poi, la comunicazione è diventata prettamente “digitale” e si sta sempre più spostando verso l’immagine, sia essa fissa o in movimento.
In definitiva, rispetto ad un millennial ma ancor di più ad uno zoomer io ho prediletto quella che il linguista e filosofo Raffaele Simone, nel suo saggio “La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo”, uscito una 20ina di anni fa, definiva intelligenza “sequenziale” distinguendola da quella “simultanea” più primitiva.
Secondo Simone (ed altri studiosi), con l’avvento della scrittura l’intelligenza dell’uomo è diventata “sequenziale” perché ha imparato a tradurre la realtà vissuta in simboli o sequenze di lettere che non avevano più nulla a che vedere con l’oggetto a cui si riferivano. Mentre l’intelligenza “simultanea”, appunto più primitiva, era perfetta per una comprensione più immediata di immagini che per la loro natura non andavano tradotte. Adesso, osserva il linguista, complice la rivoluzione digitale che predilige le immagini, fisse ed in movimento, stiamo tornando nuovamente ad un’intelligenza “simultanea”, perdendo gran parte delle nostre capacità di astrazione e traduzione verbale del mondo che ci circonda.
Insomma, stando a quanto dice Raffaele Simone, il successo della vista e dell’udito oggi ha soppiantato quello della decodificazione linguistica, riducendo la comunicazione a ricezione di stimoli immediati, trasmessi tramite foto, gif, video, o emoji.
Stiamo, quindi, diventando tutti esseri umani digitali e simultanei lì dove fino a pochi anni fa eravamo prevalentemente umani analogici e sequenziali?
Ognuno di noi potrà rispondere come meglio crede a questa domanda, ciò dipenderà prevalentemente dall’età di chi risponde, con i zoomer schierati dalla parte dei digitali/simultanei, i boomer e quelli della Generazione X schierati nelle file degli analogici/sequenziali e con i millennials divisi dall’adesione ad uno o all’altro gruppo.
E forse è proprio dai millennials che dovremo prendere esempio: sospesi fra due culture, quella analogica e quella digitale, fra due intelligenze, quella sequenziale e quella simultanea, sono i figli di due maniere di concepire e tradurre il mondo che loro, i nati tra il 1981 e la metà degli anni ’90, hanno saputo integrare ed armonizzare al meglio.
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Perché ogni generazione, volenti o nolenti, ha qualcosa da lasciare in eredità a quella successiva ed è giusto che questa eredità non vada irrimediabilmente perduta.
Come ogni giugno, noi di Smart Marketing, torniamo a parlare di comunicazione presentando novità, tendenze, studi e ricerche di quell’ambito che più di altri ci contraddistingue come esseri umani.
Ricordando la lezione di Paul Watzlawick, che a prescindere che siamo, o ci sentiamo, digitali/simultanei o analogici/sequenziali, in quanto umani “è impossibile non comunicare”.
Buona lettura e buona comunicazione a tutti.
Raffaello Castellano
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