Di tanto in tanto mi ritorna nitida alla mente una frase pronunciata da un’amica diversi anni fa (a dire il vero ormai molti anni fa) in un caldo pomeriggio agostano. Era uno di quei tanti momenti passati ad immaginare il futuro, a cercare di capire cosa ne sarebbe stato di noi, e quali scelte sarebbe stato più giusto prendere. Bene, in uno di quei pomeriggi, esaminando le varie proposte universitarie e arrivando a confrontarci sull’opportunità di frequentare o meno Scienze della Comunicazione, sentenziò: “in futuro staremo tutti a comunicare”.
Detta così, a suo modo, fu profetica. Ma il suo intento era tutt’altro. Non dico denigratorio, ma beffardo certamente.
Erano gli inizi degli anni 2000, i mezzi di comunicazione erano quelli tradizionali (radio, stampa e tv), non c’erano gli smartphone, internet era agli esordi, i modem per funzionare emettevano strani rumori, erano in uso i floppy disk e le ricerche “online” si facevano su Encarta (qui siamo nel pieno della nostalgia). Da qualche tempo nelle università italiane prendeva piede un nuovo percorso di studi multidisciplinare che metteva insieme sociologia, psicologia, comunicazione di massa, marketing, letteratura: Scienze della Comunicazione.
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Il ruolo della comunicazione è fuori discussione. Gli effetti di questa sovraesposizione un po’ meno. Abbiamo iniziato a conoscere le fake news, la post verità, le dipendenze dai social. Il mondo in vent’anni non è solo cambiato, si è trasformato completamente. E’ altro.
Accanto alle lauree più blasonate, Scienze della Comunicazione appariva come un corso sicuramente strano, che si faceva fatica a capire prima, e a vederne la spendibilità nel mondo del lavoro poi. Per quello, si diceva, era molto meglio, nell’ordine: Medicina, Economia, Ingegneria e Giurisprudenza. Insomma, Scienze della Comunicazione era la Cenerentola delle lauree. Da molti era collocata persino dietro a Scienze Politiche che, vista da chi frequentava Giurisprudenza, era a sua volta già considerata di serie b.
Ecco, questo era il contesto nel quale avveniva la conversazione con la mia amica e quello che realmente voleva esprimere era ben lontano dall’essere un sostegno a chi – poverino – decideva di frequentare Scienze della Comunicazione.
Ricordo, un po’ meno nitidamente, cosa le risposi. Al tempo non avevo le idee molto chiare sul mio futuro. Mentre le sue convinzioni erano forti: i suoi argomenti avevano una storia ben consolidata. Non ho memoria di aver detto niente di memorabile: probabilmente sorrisi, abbozzai una mezza battuta e, di fatto, le diedi ragioni. Sarà anche per questo che, dopo qualche anno da quel caldo pomeriggio agostano, quando poi decisi di frequentare quella facoltà, le sue parole mi risuonarono come uno spauracchio. Mi dicevo: ma starai facendo la scelta giusta?
Nota a margine: a distanza di tempo, e con qualche consapevolezza in più, ho capito che quella domanda, messa così, non aveva un granché senso. Ma tant’è, a vent’anni, si hanno tante domande e pochissime risposte.
Tornando a noi, penso di poter dire che se facessi oggi quella conversazione, non apparirebbe per nulla strano prendere in considerazione una facoltà che mette al centro il marketing, i nuovi linguaggi della comunicazione, il digitale, i social media, gli aspetti sociologici e molto altro. In un caldo pomeriggio agostano, oggi, le cose andrebbero diversamente. Probabilmente la conversazione verterebbe su altro, magari su quali lavori l’intelligenza artificiale andrà a sostituire in futuro.
“In futuro staremo tutti a comunicare”.
Passati una ventina d’anni, in quel futuro sarcasticamente prospettato dalla mia amica – ossia oggi – ci siamo davvero. Siamo tutti immersi nelle comunicazioni. Sia come utenti sia come generatori di contenuti.
Il ruolo della comunicazione è fuori discussione. Gli effetti di questa sovraesposizione un po’ meno. Abbiamo iniziato a conoscere le fake news, la post verità, le dipendenze dai social. Il mondo in vent’anni non è solo cambiato, si è trasformato completamente. E’ altro.
Probabilmente non abbiamo avuto il tempo, o il libretto di istruzioni, per comprendere questa rivoluzione tecnologica. In breve tempo, brevissimo tempo, ci siamo ritrovati a nuotare in mezzo al mare avendo fatto un paio di lezioni di nuoto in piscina. Sempre immersi nell’acqua siamo, salvo poi accorgersi che non è proprio la stessa cosa.
Tutto è Comunicazione, e tornare indietro non si può. E’ ora di farci i conti. Magari tornando a studiare. La facoltà, quali discipline studiare o libri leggere, sceglieteli voi. Io qualche indizio ve l’ho dato.
Ivan Zorico