Lo Specchietto Retrovisore – 21/02/2016

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Christian Zorico (162)

 

 

 

 

Immagine3Quello che abbiamo imparato da questa settimana finanziaria è quasi una conferma: il vero mercato azionario resta quello statunitense. L’Europa, negli indici azionari, è rappresentata da troppe banche, risente dell’assenza di una politica fiscale aggregata e paradossalmente, quale paese importatore, non beneficia neanche del prezzo del petrolio ai minimi storici. Anzi tra i titoli che hanno affossato gli indici europei nella giornata di venerdì, segnaliamo BP con un -2.2%, Royal Dutch Shell con un -1.6% e Repsol con un -2.4%, quelli ovviamente legati al mondo energetico. Segnale che quando il mood positivo sul petrolio si raffredda e i timori legati alla redditività delle banche continuano ad esser vivi, l’Europa appare seriamente affaticata.

Oltreoceano la sessione negativa del petrolio, -3.7% nella giornata di venerdì, avrebbe dovuto condizionare pesantemente gli indici americani ed invece abbiamo assistito, forse per la prima volta, ad una reazione delle borse: l’indice S&P500 ha chiuso quasi flat, in recupero dai minimi di giornata, e l’indice tecnologico del Nasdaq ha addirittura chiuso in territorio positivo, +0.38%. E allora sembra giusto evidenziare che un recupero dell’Europa rispetto all’America, in termini di prezzo per gli utili futuri, resta probabilmente solo un discorso da bar, neanche da salotti finanziari. Sembra quasi che gli amanti del “value” debbano considerare l’Europa come il mercato di riferimento, forse però con la certezza che il mercato potrebbe restare “value” per un tempo indeterminato.Trivellazioni-petrolifere

Segnaliamo invece su tutte, la performance settimanale dell’indice S&P 500, +2.9%, la migliore settimana dallo scorso Novembre.

Diamo uno sguardo ai dati macro: vorrei concentrarmi sui dati dei prezzi al consumo rilasciati dal Dipartimento del Lavoro, lo scorso venerdì a Washington. L’indice che esclude il prezzo del cibo e degli energetici è salito nel mese di gennaio dello 0.3%, l’apprezzamento più sensibile dall’agosto 2011. Il rialzo più forte degli ultimi quattro anni è anche frutto di un’omogenea salita dei prezzi e non dipendente solo da alcuni prodotti. Su base annua l’indice core dell’inflazione segna un +2.2% ed è ancora un numero da record: non si vedeva un simile apprezzamento dal giugno 2012.

E allora se consideriamo l’ottima condizione del mercato del lavoro negli Stati Uniti, per quanto essa sia solo una fotografia e che abbia poco potere preditivo circa il futuro scenario, è lecito domandarsi sul potenziale che le spinte salariali insieme ad una stabilizzazione delle materie prime possa avere sull’inflazione.

federal-reserve3Una Federal Reserve che pur preoccupata dello stato attuale dell’economia globale e delle turbolenze dei mercati finanziari, ma che ha più volte ribadito la volontà di osservare i dati macroeconomici, potrebbe ritrovarsi nella condizione di alzare i tassi ancora nel 2016, sia pur gradualemente. Un rischio recessione, nelle settimane passate, aveva toccato la probabilità del 50%; il mercato ora sconta una probabile recessione solo al 30% / 35% di probabilità. È evidente che più si va avanti e la derivata seconda dei dati a sostegno dell’economia sarà decrescente. La FED ha perso la possibilità di alzare i tassi ad inizio 2015; abbiamo già toccato questo argomento e abbiamo sottolineato più volte come la politica monetaria sia stata troppo accomodante e posizionata “dietro la curva”. Oggi risulta ancora più ardua la missione di staccarsi da quanto il mercato sta prevedendo. Ma a questo punto se vogliamo evidenziare un rischio, probabilmente quello che il mercato sconta meno è un incremento improvviso dei prezzi al consumo. I rendimenti del decennale americano a quel punto non offrirebbero alcuna protezione contro l’inflazione.

Nel corso dei precedenti numeri dello “Specchietto Retrovisore” abbiamo cercato di offrire al lettore spunti di riflessione riguardo le asset class che meno incorporassero dei rischi latenti. Quanto al timing in questo caso potremmo essere un po’ troppo anticipatori, ma resta tuttavia l’idea di fondo di identificare i rischi che al momento il mercato sembra scontare con poca convinzione.W020151201522232490621

Appuntamento alla prossima settimana e nei prossimi giorni occhi puntati alle numerose dichiarazioni dei presidenti delle Federal Reserve locali: attesi martedì il presidente della FED di Minneapolis Neel Kashkari e Rob Kaplan presidente della FED di Dallas e soprattutto le dichiarazioni del vice presidente della Federal Reserve Stanley Fischer. Mercoledì atteso Jeffrey Lacker, presidente della FED di Richmond e James Bullard presidente della FED di St. Louis. Nella giornata di giovedì atteso Dennis Lockhart, presidente della FED di Atlanta e John Williams presidente della FED di San Francisco.

L’evento che comunque caratterizzerà la settimana in corso si terrà a Shanghai giovedì e venerdì: durante il G-20 sono attese per l’occasione delle linee guida sulla politica monetaria cinese a sostegno dell’economia, la discussione del tema BREXIT ed ancora il petrolio sarà al centro delle discussioni.

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