Lo Specchietto Retrovisore – 24/04/2016

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Christian Zorico (162)

Immagine3Il meeting della BCE di giovedì 21 aprile è stato l’occasione per Mario Draghi di fare una lezione sul fenomeno dell’inflazione, soffermandosi soprattutto sul processo che porta alla formazione dei prezzi. È stato un intervento per ribadire con forza i risultati fin’ora raggiunti con il piano di Quantitative Easing, difendendo l’operato della BCE quale organo collegiale che agisce per l’interesse di tutti i paesi dell’Eurozona. In questo si può evidenziare una frecciatina alle parole di disappunto del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble che ad inizio mese aveva puntualizzato come le forze estremiste europee siano foraggiate anche da una politica monetaria che crea malcontenti.

A seguito di alcune domande dei giornalisti, il presidente della BCE ha potuto precisare che i rendimenti ai minimi storici in Europa non sono solo effetto dell’attuale massiccio piani di acquisti. È evidente come l’obiettivo di abbassare i rendimenti sia insito nel QE, tuttavia è un fenomeno con cui convivono o hanno convissuto anche altri Paesi nel Mondo. Non è pertanto un malessere solo Europeo con cui istituti finanziari e fondi pensioni devono raffrontarsi. Inoltre, appellandosi ai giornalisti, ha chiesto loro con l’ironia intelligente che lo contraddistingue, di aiutare la formazione di un’opinione pubblica che individui le differenze tra tassi nominali e tassi reali. A tal proposito ha evidenziato come oggi i tassi reali siano più alti di quelli che abbiamo avuto 20 o 30 anni fa. Mario Draghi (1)

Io partirei da quest’ultima considerazione e dalle parole che hanno spiegato le determinanti dell’inflazione per poter individuare dei temi da sposare in ottica di investimento.

Il futuro trend dell’inflazione sarà determinato, ribadisce Mario Draghi, dall’attuale politica monetaria espansiva (che resta tale almeno fino al raggiungimento dell’obiettivo target del 2%), dalla crescita e dalle aspettative di crescita, e infine dall’effetto base imputabile alle materie prime (in particolare all’OIL).

Tassi nominali così bassi trovano giustificazione solo qualora crediamo che la crescita subirà una frenata improvvisa, altrimenti questi rendimenti offerti dal mercato non trovano alcun riscontro nell’attuale contesto. Da un lato abbiamo infatti la Banca Centrale Europea intenzionata a continuare nella sua politica di supporto e dall’altro sembra verosimile che il petrolio abbia trovato un suo minimo nelle contrattazioni in area 26 dollari.

inflazioneTornando al nostro obiettivo di ricercare un tema benevolo, credo sia ancora il caso di cavalcare l’inflazione quale potenziale investimento, declinato nelle diverse salse. Probabilmente il modo più efficace resta quello di investire in obbligazioni il cui rendimento sia legato all’indice di inflazione e coprirsi dal rischio duration, per evitare che rendimenti più alti vadano ad inficiare la nostra scommessa che è, e resta, sugli spread. Anche alcuni settori dell’azionario troveranno beneficio da un livello di inflazione più alto. Penso soprattutto al settore delle Utilities che riesce a godere della leva su prezzi più alti. E penso al settore delle banche e assicurativi, magari in una seconda fase, dal momento che in questo contesto restano ancora in una posizione di sofferenza, non potendo sfruttare il differenziale di interesse tra la parte a breve e quello a più lungo termine. Insomma uno steepening della curva potrebbe normalizzare lo stato delle cose.
È evidente che Draghi si auspica esattamente uno scenario simile al fine di smorzare in maniera naturale eventuali bolle che si stanno materializzando.

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