Ennesimo colpo di scena al Festival del cinema di Venezia, spesso accusato di trascurare i titoli statunitensi in gara, che poi puntualmente vanno a vincere Oscar importanti nel marzo successivo, mentre privilegia film che spesso nonostante la vittoria non riescono nemmeno ad uscire in sala. Neanche quest’anno il Festival di Venezia si è smentito, e dunque l’ambitissimo Leone d’oro è andato al cineasta filippino Lav Diaz per la pellicola “The woman who left”, maratona cinematografica di 226 minuti, quasi 4 ore di film. Lav Diaz è peraltro un regista abituato all’essere prolisso, ben più di Sergio Leone, che al confronto è un maestro dell’arte del riassunto. Un suo film, datato 2003 infatti, considerato in Asia un autentico capolavoro, dal titolo “Evoluzione di una famiglia filippina”, dura ben 595 minuti, e senza interruzioni.
La giuria presieduta dal regista Sam Mendes ha dunque premiato un film a sorpresa, a detta dello stesso regista “fuori dalla comfort zone”, e sicuramente fuori dagli schemi e dalle previsioni. Quella di “The woman left” è la storia di una donna che ha passato trent’anni in prigione per un crimine non commesso, e viene descritto il suo ritorno ad una vita impossibile da ricostruire se non rievocando e vivendo nuovi lutti, tragedie e sconfitte.
Il Leone d’Argento alla miglior regia va invece, ex aequo a due registi: al visionario ed inquieto sguardo del messicano Amat Escalante per La region salvaje, e al russo André Konchalovsky, autore di un discutibilissimo film sull’Olocausto, Paradise. La miglior attrice del Festival, che si aggiudica l’ambitissima Coppa Volpi è Emma Stone, protagonista del musical d’apertura La La Land, dove interpreta una cameriera che prova a sfondare nel mondo del cinema. Miglior attore è l’argentino Oscar Martinez, fulcro del racconto di El Ciudadano illustre, eccellente nella sua interpretazione di un premio Nobel per la letteratura che decide di tornare nella piccola cittadina di provincia che gli ha dato i natali.
Il Premio Mastroianni per il miglior attore/attrice emergente va alla tedesca Paula Beer, protagonista Frantz di Francois Ozon; mentre il premio Luigi De Laurentiis alla miglior opera prima (50mila dollari al regista, 50mila al produttore ndr) va a The last of us, diretto da Ala Eddine Slim. A bocca asciutta rimangono i tre titoli italiani: Spira Mirabilis, Piuma eQuesti giorni; come i favoriti alla vigilia: Une Vie di Stephan Brizé e Arrival di Denis Villeneuve. L’Italia si “accontenta” con la vittoria come miglior film nella sezione Orizzonti andata al documentario Liberami, ideato e diretto da Federica di Giacomo, full immersion antropologico nella quotidiana pratica degli esorcismi di Padre Cataldo, uno dei sacerdoti più richiesti in Sicilia.
Il Festival di Venezia si conferma dunque, dei quattro principali festival del cinema ( Cannes, Venezia, Berlino e Locarno ), quello più avvezzo alle sorprese e a confutare ogni pronostico della vigilia. Momenti di grande cinema, con il Leone d’oro alla carriera per Jean-Paul Belmondo e per la presenza elegante e sensuale di Monica Bellucci, che per un attimo ha fatto riecheggiare in platea le sensazioni e le atmosfere di quando sul red carpet di Venezia sfilavano stelle del cinema italiano del calibro di Sophia Loren, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida o Silvana Mangano. Meno glamour di Cannes, ma più elegante di Berlino, Venezia ha spesso premiato film impopolari, che poi sovente si sono dimostrati dei veri e propri flop nelle sale. Certo nella storia non sono mancato le eccezioni, ma questa edizione del Festival non ha aiutato Venezia a scrollarsi di dosso questa nomea che ormai si porta da sempre.