Christian Zorico (162)
Più di una volta abbiamo provato a descrivere il potenziale dirompente che avrebbe potuto avere il timore di un ritorno di inflazione.
Ebbene, le aspettative di inflazione in US sono salite all’1.95% rispetto ad un breakeven poco superiore all’1.7% del giorno precedente le elezioni di Trump.
Chiamiamolo pure effetto Trump-Inflation quello che ha portato i rendimenti sul decennale US a segnare l’incremento settimanale più ampio dal 2001; affinché sia chiaro l’effetto, stiamo parlando di ben 58 punti base che ha portato il rendimento del Treasuy a quota 2.35%.
La fame di “inflazione” è stata palesata anche dalla bontà dell’asta di sottoscrizione del 10 anni TIPS (Treasury Inflation-Protected Securities), 11 billions di dollari emessi contro una delle richieste più ampie dal gennaio di quest’anno.
E la Federal Reserve ringrazia.
Già perchè le promesse del nuovo Presidente degli Stati Uniti hanno permesso alla Yellen di mostrarsi confidente per un imminente rialzo nel discorso tenuto presso il Congress’s Economic Committee a Washington. È stata l’occasione buona per ribadire che il suo mandato terminerà nel gennaio 2018 e che ha intenzione di continuare a servire la sua carica malgrado le critiche emerse durante la campagna elettorale da parte di D. Trump. Ha ancora ribadito che l’economia mostra segnali incoraggianti per un rialzo dei tassi e che spetta all’amministrazione il compito di valutare l’impatto in termini di costi e benefici di politiche fiscali aggressive.
Comunque quello che conta è la reazione del mercato. Un disegno nell’apparenza perfetto. I FED funds rate che scontano ormai con certezza un rialzo al prossimo FOMC del 13/14 Dicembre, l’equity che festeggia e forse ancora non si sveglia dalla sbornia post elezione; in tutto questo la forza del dollaro che in qualche modo peserà sull’S&P. In effetti, nell’ultimo “Specchietto Retrovisore” si ribadiva quanto importante fosse parcheggiare la propria liquidità in equity americano rispetto ad altri mercati, almeno nel lungo termine, privilegiando ovviamente le small/mid cap tipiche dell’indice RUSSELL 2000. Un mercato che si avvantaggia dalle politiche protezionistiche dei dazi, di una rinvigorita domanda interna e di una propensione all’export davvero limitata. Discorso evidentemente opposto se consideriamo le grandi aziende che con la forza del dollaro dovranno comunque abituarsi. I primi beneficiari sono ovviamente l’Euro e lo YEN, e i rispettivi mercati di riferimento.
Quello che però vorrei che giungesse dopo questa lettura è un senso di cautela.
Stiamo tornando nuovamente in uno scenario in cui la forza del dollaro potrebbe essere controproducente nella dinamica materie prime/paesi emergenti. Se è vero infatti che i paesi esportatori possono beneficiare della loro valuta più competitiva in chiave relative, è anche vero che parte del loro debito emesso in hard currency ha improvvisamente assunto un peso più ampio. E i corsi delle stesse materie prime, subiscono una correlazione negativa con il dollaro, se non supportata dai fondamentali. Insomma, un’economia globale più debole è un detrattore per le commodities che vivono molto più direttamente le dinamiche di domanda e offerta. Per tutto questo, dobbiamo approcciarci a questo finale di anno con molta cautela. Dinanzi a noi abbiamo ancora il referendum italiano, il meeting della BCE e della FED. E non scordiamo l’importanza dei flussi. Dal mondo obbligazionario a quello dell’equity. Al momento ha riguardato il settore dei governativi; l’onda si è portata dietro anche i prezzi del mondo corporate ed emergente, ma non abbiamo visto ancora i flussi veri in uscita dalle due asset class.
E allora cautela, perchè questa calma apparente dell’azionario, con il VIX nuovamente a livelli bassi (sotto i 13), può nascondere un movimento in fase di strutturazione. Evitando scommesse in anticipo, sarà più semplice poterlo cavalcare questo movimento. Qualora in effetti le aspettative su poltiche fiscali a livello globale diventino il nuovo mantra, allora lo spazio per gli amanti dei trend è potenzialmente ampio. Nel frattempo, continuo a suggerire di impostare trades relatives, in modo da mitigare gli effetti di errori di valutazione. Una valutazione che per il momento si basa su promesse. Non abbiamo nulla di più che promesse e ancora, non sappiamo nulla dell’attegiamento delle banche centrali.
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