Hic et nunc, recita il titolo del nostro magazine. Qui ed ora! Con questo numero, che esce in quello che potremmo definire un autunno caldo, vogliamo fare il punto della situazione sia attraverso le nostre direttrici usuali (comunicazione, marketing, social media ed economia) sia sui fatti di cronaca più stringenti e di attualità (politica, immigrazione, etc.).
Avevo intenzione di partire da un racconto sulla situazione degli immigrati, ma un recente fatto di cronaca locale, avvenuto nella mia città, Taranto, proprio mentre scrivevo questo editoriale, mi ha così profondamente colpito da farmi virare decisamente dai miei iniziali intenti.
Il fatto di cronaca, nera, molto nera per la verità, è avvenuto lo scorso 27 ottobre nel pieno centro di Taranto. La storia è presto detta: un inseguimento fra un paio di pattuglie della polizia e un noto pregiudicato locale, A. C., a bordo di una Smart, dipanatosi per il centro di Taranto, si è concluso proprio in via Plinio, a ridosso della zona Bestat, dove i poliziotti hanno tratto in arresto il pregiudicato, trovato in possesso di una mazza da baseball e di 16500, 00 euro in contanti. Fin qui niente di nuovo rispetto alla solita routine che vede contrapposti poliziotti e criminali.
Ma qui comincia la vera notizia, che poco o per nulla è stata ripresa dai media nazionali: mentre i poliziotti cercavano di arrestare il pregiudicato, una 70ina di persone della zona ha cominciato a protestare, prima verbalmente, poi con il lancio di oggetti, contro le forze dell’ordine, che, messe alle strette, hanno dovuto chiamare i rinforzi per cercare di sedare quella che sembrava una vera rivoluzione popolare.
Ora, io non credo che fra quelle 70 persone ci fossero solo parenti ed amici del malvivente, non è possibile, ed è questa la cosa che più mi inquieta e spaventa: in un quartiere centrale della città un gruppo nutrito di persone comuni si è frapposto fra le forze dell’ordine e delinquenza, fra Stato ed antistato! Da subito mi sono tornate alla mente le parole scritte e raccontate da Roberto Saviano, così come le scene di Scampia, Secondigliano, piuttosto che il film Gomorra di Matteo Garrone.
Come è possibile che dei cittadini, per la maggior parte onesti, si ritrovino a difendere un pregiudicato e, con ciò, un “sistema” ed ad aggredire dei poliziotti e dei carabinieri che rappresentano lo Stato e quindi in definitiva tutti noi? Quando è avvenuto uno scollamento così profondo e radicale fra cittadini e stato ed insieme un sodalizio così subdolo fra criminalità e consenso sociale? Quali sono state le cause? Chi sono, se ci sono, i colpevoli?
Più che provare a rispondere, voglio provare a riflettere insieme a voi lettori su tutta questa triste e allarmante pagina di cronaca. Ciò che è successo a Taranto non è avvenuto in una periferia, un “nonluogo”, come l’ha definita l’antropologo e etnologo francese Marc Augé, ma in pieno centro, nel cuore nevralgico della città. Una zona che è piena di negozi, scuole, istituti, abitazioni. Taranto, certo, negli ultimi 10 anni sta vivendo una delle sue peggiori crisi socio-economiche: il disastro ambientale, la dispersione scolastica, la disoccupazione giovanile alle stelle e la mancanza di prospettive future, si sa, forniscono alla malavita locale un esercito di manovali, giovani ed adulti, che pur di sbarcare il lunario, pur di portare la pagnotta a casa, diventano una forza lavoro perfetta: basse pretese, disponibilità infinita, turn over illimitato.
Ma davvero le condizioni socioeconomiche, per quanto dure, possono spiegare quello che è successo a Taranto?
Francamente credo di no!
Quello che è successo, se mai sarà possibile, potrà essere spiegato solo attraverso punti di vista più laterali, prospettive altre, approcci diversi.
In una società sempre più virtualizzata ed in parte distratta più che informata dai media come quella nostra, una società che, soprattutto nelle periferie, è alla ricerca di modelli umani che possano incarnare il mito del moderno eroe, la delinquenza, soprattutto attraverso i suoi boss più giovani, spregiudicati ed agguerriti, fornisce una “narrazione” che è insieme facile da capire e ricca di fascino oltre a proporci una intrinseca ed peculiare trama dal sapore mitico.
Cosa può esserci di meglio di un giovane boss, che a cavallo della sua moto o automobile sfreccia lungo le direttrici di una città per sfuggire al poliziotto/carabiniere che cerca di arrestare la sua corsa anticonformista e ribelle?
Cosa può agli occhi dei più giovani, ed impressionabili, cittadini affascinare più profondamente dell’ostentazione del lusso e dello sfarzo che, di sovente, accompagna questi boss?
Cosa mai può fare più presa in un quartiere dove gli aggregatori sociali convenzionali, come chiese, parrocchie, associazioni culturali e società sportive dilettantistiche sono rari, se non addirittura assenti, dell’idea di appartenere ad un’organizzazione, malavitosa certo, ma che offre protezione, riconoscibilità, sostegno e soprattutto identità ai suoi adepti?
La risposta è nulla!
In un vuoto istituzionale, economico e sociale come quello delle periferie e di certe città, il modello, i valori e gli eroi proposti dalle organizzazioni malavitose sono la narrazione più autentica e più seducente che il mercato possa offrire, sono, per dirla con Giancarlo De Cataldo, il “romanzo criminale” che tutti hanno voglia di leggere, tutti vogliono comprare, tutti vogliono commentare.
Cosa ci rimane da fare allora?
Io non ho ricette magiche o risposte facili a queste domande, d’altronde non credo che ne esistano; quello che credo, anzi quello che so, è che di storie, di narrazioni, di romanzi alternativi a quelli criminali è pieno il mondo, credo che il problema dell’educazione civica, del rispetto della giustizia, dell’amore per lo Stato, sia un racconto che aspetta ancora la sua miglior stesura, la sua trama più arguta, il suo best seller, ma che questo racconto non è un’opera individuale, ma un’opera collettiva, un romanzo sociale, una poesia civile che richiede il contributo di tutti noi.
Credo, anzi sono sicuro, che i più grandi esperti di storytelling di domani siano tutti quegli operatori culturali, allenatori di calcio, parroci, presidenti di società sportive che riescono a strappare dalla strada e da un destino già segnato ogni singolo ragazzo/a che riescono a coinvolgere nelle loro attività. Forse il loro brand non sarà riconoscibile come quello della criminalità, forse la loro comunicazione sarà meno ammaliante, forse la loro mission aziendale meno alla moda, ma quanto è più profondamente necessaria la loro sola esistenza, il loro esserci a dispetto di tutti e tutto!
Allora, e chiudiamo finalmente il cerchio, cosa interessa a noi di Smart Marketing ed ai suoi lettori dei fatti avvenuti a Taranto?
Credo tutto, perché come operatori ed esperti di marketing, economia, comunicazione e social media, tutti noi dobbiamo fare la nostra parte! Se, ad esempio, sono un giornalista, è mio dovere raccontare questa storia; ma se sono un esperto di marketing o comunicazione, e fra i nostri lettori ce ne sono a centinaia, come posso partecipare e dare una mano? Innanzitutto potrei offrire il mio know how, magari pro bono, ad una delle associazioni, parrocchie, società sportive dilettantistiche, che sicuramente conosco; i risultati in termini economici saranno esigui o inesistenti, ma la soddisfazione di aver fatto la cosa giusta non avrà prezzo.
Come professionisti, immersi come siamo quotidianamente nei nostri lavori, sempre in competizione con i colleghi, la concorrenza, etc. dimentichiamo che le cose debbono crescere non solo al di fuori di noi, ma anche, e soprattutto, dentro di noi. Fare qualcosa per il gusto di farla, per dare il proprio modesto contributo alla società, per aiutare il prossimo sono le mission, gli obbiettivi professionali e le aspirazioni più alte che un individuo possa coltivare. Giacché siamo tanto più individui quanto più ci spendiamo e dedichiamo al miglioramento ed all’evoluzione della comunità di cui siamo parte.
Perché non basta indignarsi, perché essere cittadini è non solo un diritto ma un dovere, tutti noi siamo chiamati a fare la nostra parte, qui ed ora: Hic et nunc!