Ci eravamo lasciati nel febbraio 2017 con il secondo capitolo, “Smetto quando voglio – Masterclass”, della trilogia del regista Sydney Sibilia, “Smetto quando voglio”.
La storia ormai la conosciamo: il protagonista, il neurobiologo Pietro Zinni, forma una banda di “menti brillanti” per realizzare una smart drug ritenuta legale, perché non ancora inserita dal Ministero della Salute nell’elenco delle sostanze stupefacenti.
Perché trasformarsi da cervelloni laureati in spacciatori? Perché in Italia queste teste geniali non sono riuscite a realizzarsi con i loro alti titoli accademici e svolgono lavori improponibili con stipendi da fame.
Vogliono svoltare e tentano questo cambio di vita, ma qualcosa sfugge loro di mano e se nel primo capitolo in carcere finisce solo il capobanda Pietro, nel secondo ci finiscono tutti, dopo la promessa, non mantenuta, dell’ispettore Paola Coletti di ripulire la loro fedina penale, in cambio del ritrovamento di 30 smart drugs ancora legali e degli spacciatori che le producono.
Così abbiamo lasciato i nostri protagonisti dietro le sbarre, dopo aver scovato la più popolare e pericolosa banda di spacciatori del momento e la loro tanto famosa droga “SOPOX”.
Si apre proprio con questa banda il terzo ed ultimo episodio della saga, “Smetto quando voglio – Ad Honorem” e, facendo nuovamente un salto indietro nel tempo, si ripercorre il loro percorso fin quando Pietro scopre che il capobanda suo antagonista vuole causare un’esplosione con il gas nervino, non capendo però il motivo.
La banda è tutta divisa in diverse prigioni e dovrà riunirsi per fermare questo pazzo a piede libero, che non è il solito spacciatore a cui il gruppo è preparato, ma un uomo, Walter Mercurio, che ha sete di vendetta.
Se il primo film ha mostrato il paradosso di ragazzi per bene, laureati e colti, trasformati in spacciatori con abiti e auto di lusso, che cercavano una rivincita sociale ed economica, e il secondo ha raccontato il loro sfortunato passaggio dalla parte della legge, tra inseguimenti e strumenti futuristici, il terzo capitolo cambia registro.
“Ad Honorem” dedica spazio anche ai cattivi, Er Murena e Walter Mercurio, al loro passato e alla loro trasformazione umana e professionale; privilegiando il lato umano, vengono raccontate le vicende dei nemici e le motivazioni dietro le loro azioni.
Al tema della precarietà, della fuga dei cervelli all’estero, della disoccupazione italiana, della diffusione della droga, qui si aggiunge anche il problema della mancanza di fondi per l’università, per le strutture e per la ricerca.
Punto di forza di queste pellicole è anche, indubbiamente, la musica, sempre utilizzata egregiamente dal regista Sibilia, nel modo e nel momento giusto, con meno brani rock rispetto a “Masterclass”, proprio per sottolineare la differenza di tematiche e di stati d’animo di questo episodio conclusivo. Sibilia si tiene fuori dalla grande pecca che tocca la maggior parte dei registi italiani, quella dell’utilizzo inutile di brani commerciali, spesso hit del momento e spesso a sproposito; in questa saga, invece, anche le canzoni più famose sono finalizzate a coinvolgere il pubblico con intelligenza, senza prendere il sopravvento sulle immagini e senza correre il rischio di rendere la scena uno spot televisivo banale e ripetitivo.
Oltre alla forza della storia, al ritmo, alla fotografia, alla colonna sonora, il successo di “Smetto quando voglio” è sicuramente anche dovuto alla bravura di tutto il cast di attori, che scatenano risate ad ogni scena e si amalgamano alla perfezione, pur mantenendo le loro differenti caratteristiche.
Argomenti importanti e di forte attualità quelli che la trilogia, purtroppo giunta al termine, ha raccontato in modo innovativo, leggero ma anche profondo, ispirandosi alle serie tv americane e portando una ventata di novità nel cinema nostrano.
Non possiamo, quindi, che augurare al capace regista salernitano, di proseguire la sua carriera, inaugurata con questa saga, sulla strada del successo e di regalarci numerosi altri film, sempre più stupefacenti.