Il Diavolo veste Prada – Il Film

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Andy Sachs è una brillante neolaureata un po’ trasandata in cerca di lavoro, appena giunta dalla provincia a New York.

È ambiziosa e preparata e, da grande, vorrebbe fare la giornalista ma, nella Grande Mela, non conosce nessuno e non ha i contatti giusti, così decide di presentarsi per il colloquio per l’ambito ruolo di seconda assistente di Miranda Priestly, sacerdotessa e tirannica direttrice della rivista di moda più importante ed influente: “Runway”.locandina

Pur non possedendo nessuna inclinazione per il mondo della moda, ma anzi non nascondendo quel senso di superiorità e sufficienza tipico degli intellettuali su questioni frivole come scarpe, vestiti e passerelle, verrà assunta e da allora assisteremo alla sua lenta ma inesorabile discesa agli inferi (o ascesa al paradiso a seconda dei punti di vista) che la porteranno a trasformare dapprima il suo look e poi, inevitabilmente, la sua anima.

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Molti di voi avranno riconosciuto in queste poche righe l’incipit di uno dei film più celebri e di successo sul mondo della moda degli ultimi tempi: stiamo parlando di “Il Diavolo veste Prada” del 2006, del regista David Frankel, lo stesso di molti episodi della celebre serie tv Sex and the City.

Nel ruolo della trasandata ed impegnata aspirante giornalista troviamo l’attrice Anne Hathaway che, nonostante l’ottima performance, risulta, a causa di un fisico statuario, poco credibile nei panni di quella che dovrebbe essere una sorta di goffa Bridget Jones della moda. Ad interpretare la gelida e tirannica direttrice di Runway vediamo una strepitosa Meryl Streep, che tratteggia un personaggio che ricorda quella Crudelia Demon de “La carica dei 101” in salsa fashion, velata di una nota malinconica che solo una grandissima attrice come lei riesce a far trapelare. Il ruolo di Miranda Priestly varrà all’attrice una candidatura all’Oscar più un’altra decina di nomination a vari premi internazionali, nonché la conquista del Golden Globe nel 2007 come miglior attrice per un film di commedia. Almeno altre due le interpretazioni degne di nota, quella del primo fidato consigliere di Miranda, Nigel, uno Stanley Tucci ispirato ed in stato di grazia, e quella della prima assistente, Emily Charlton, interpretata dalla sempre brava Emily Blunt.

Anne Hathaway, Meryl Streep e Emily Blunt in una scena del film.
Anne Hathaway, Meryl Streep e Emily Blunt in una scena del film.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico della giornalista e scrittrice Lauren Weisberger, che aveva lavorato nella redazione newyorkese Vogue America, negli anni in cui la più importante rivista di moda del mondo era il regno dalla celebre direttrice Anna Wintour, cui il personaggio di Miranda Priestly è fortemente ispirato, tanto che sia all’uscita del romanzo nel 2003 che a quella del film nel 2006 vi fu più di qualche grattacapo per l’autrice e per il regista.

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Una curiosità: l’autrice Lauren Weisberger fa una breve apparizione in un cameo come governante delle gemelle di Miranda Priestly.

Il film è un prodotto solido e ben costruito, con gli attori e la storia che girano bene e divertono con almeno tre elementi degni di nota: il primo è la splendida fotografia che immortala, oltre al mondo della moda, anche una splendida città, quella New York glamour e chic che è la vera co-protagonista della pellicola; il secondo il sontuoso guardaroba dell’intero cast, opera di Patricia Fields, estrosa costumista anche della serie di Sex and the City; terzo, una colonna sonora straordinaria, opera di Theodore Shapiro, in cui spiccano pezzi di Madonna, Jamiroquai, Moby, Alanis Morissette e degli U2.

Meryl Streep in una foto di scena del film.
Meryl Streep in una foto di scena del film.

Un film che pone sotto i riflettori l’universo della moda, illuminando i suoi lati più oscuri e che ci permette attraverso una commedia divertente e solo apparentemente leggera di scoprire l’importanza e la profondità di un mondo, spesso e volentieri criticato, di superficialità e frivolezza.

Un film lontano anni luce da “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, che consacrò come icona di stile una meravigliosa Audrey Hepburn, ma anche da “Prêt-à-porter” di Robert Altman, del quale risulta più critico, riflessivo e meno accondiscendente rispetto ad un mondo, quello della moda, pieno sia di luci che di ombre. Una visione da recuperare per divertirsi per un’ora e mezza e magari riflettere una mezza giornata.

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