“Oh, ma certo, ho capito: tu pensi che questo non abbia nulla a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo, e sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent se non sbaglio a proporre delle giacche militari color ceruleo. […] E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni. Tuttavia quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori dalle proposte della moda quindi in effetti indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti… in mezzo a una pila di roba”.
(Dal film “Il diavolo veste Prada”)
Quella qui sopra proposta è forse una delle scene più note e citate de “Il diavolo veste Prada”; un film del 2006, tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger e diretto da David Frankel. In questa scena e in questi dialoghi tra Miranda (Meryl Streep) e Andy (Anne Hathaway), prenda forma quel retro pensiero che vede la moda accostata all’effimero ed al futile. Retro pensiero che Miranda smonta, con tono risoluto, compiendo un esercizio di verità.
Senza nasconderci dietro ad un dito, a tutti sarà capitato almeno una volta di pensare che la moda, in fin dei conti, sia qualcosa di a noi distante. Che, in fin dei conti, attiene al superfluo e che, la sua rilevanza, sia oltremodo sopravvalutata.
Niente di più sbagliato.
Studiando la storia della moda, ad esempio, si possono meglio capire ed approfondire non solo gli usi e costumi che hanno segnato una determinata epoca storica, ma anche dare maggiori significati alle evoluzioni politiche, sociali ed economiche.
Parlando di economia, e quindi di numeri, di certo non possiamo, ancora una volta, avvallare l’idea che la moda sia qualcosa di poca importanza. E se guardiamo al solo comparto della moda italiano, non possiamo che confermarlo.
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Nel 2017, il sistema moda italiano, presentava un fatturato di €70,4 mld, equivalente all’1,3% del Pil nazionale; negli ultimi cinque anni sono aumentati il fatturato aggregato (+28,9%) e l’occupazione (+19,7%), con una crescita media delle vendite che si attesta al +6,6% annuo. Nello specifico l’abbigliamento rappresenta il 40,5% dei ricavi totali, seguito dal 20,9% della pelletteria e dal 16,2% dell’occhialeria. Un forte impulso è dato dalla gioielleria, con un tasso di crescita media annua pari al +13,3%. (Fonte dati: “Il Focus Moda” a cura dell’Area Studi di MedioBanca).
Come già ci ricordava Miranda, dietro la moda ci sono numeri che supportano la creazione di posti di lavoro e investimenti. Sarebbe bene ricordarcene quando, magari con la medesima leggerezza mostrata da Andy, saremo tentati di emettere un giudizio affrettato e critico sulla moda. Farlo, sarebbe al limite del comico (cit.).
Ivan Zorico
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