Nel silenzio assordante di un’Italia superficiale che non sa più guardare nel profondo, lo scorso lunedì 12 giugno, è andato via Francesco Nuti, e con lui un pezzo di quella malinconica e spensierata giovinezza degli anni ’80. Lui, che è rimasto legato nell’immaginario comune a quel decennio, non soltanto per il declino personale che lo colpì almeno dalla metà degli anni ’90, ma perché quelle storie, quelle poesie narrate al cinema e quel personaggio, erano tutti figli di un’epoca irripetibile, nel quale lui è stato uno splendido protagonista.
Fu definito, infatti, come il quarto grande attore-autore indipendente degli anni ’80, insieme a Massimo Troisi, Roberto Benigni e Carlo Verdone. Era il più poetico, il più trasognato, il più malinconico dei quattro; e probabilmente alla lunga questo lato “nascosto” del suo carattere, ha pesato in alcune scelte artistiche e in alcune situazioni private. Ogni tanto mi capita di pensarlo, quà e là, quando mi occupo del mio amato cinema italiano e dei suoi magnifici personaggi e delle sue folli avventure. Lo penso, perché il cinema è anche nostalgia, ricordo, poesia, malinconia, memoria, affetto, passione, riconoscenza. E Nuti tocca tutte queste corde. Ho pensato a scrivere un libro su di lui, ma non ho mai approfondito dentro di me, questa idea, forse perché lo pensavo ancora vivo, attivo, anche se immobile in un letto, l’ho pensato come me lo ricordo attraverso i suoi film, ovvero sognante, magari di alcune delle sue storie surreali e poetiche.
Probabilmente sognava splendide storie, grandi amori, come quelle commedie giocose, ma nello stesso tempo amare, per cui era diventato un beniamino del pubblico e che oggi ci passano davanti agli occhi mentre lo salutiamo per l’ultima volta. Ecco, ora credo che riprenderò quella vecchia idea, perché probabilmente so che ora finalmente è libero da quei demoni che lo hanno distrutto. Forse so che ora è libero da chi lo ha lasciato solo. Vedete, Nuti era un “uomo libero” e a me piacciono tanto gli “uomini liberi”, quelli che non si sono mai svenduti al potere, alle idee di qualcun altro. Mi piacciono gli uomini come Francesco Nuti, Renzo Montagnani, Walter Chiari, Lando Buzzanca, Alighiero Noschese, Lelio Luttazzi. Mi piacciono tutti quegli artisti, che in nome della dignità personale ed artistica non hanno mai ceduto alle logiche di potere. E si sa, un uomo libero ha sempre fatto più paura di un uomo “schierato”, per cui alla lunga un “uomo libero” diventa un uomo pericoloso, da colpire, da abbattere. Nulla a che vedere con l’arte e la dignità. Ed è per tutto questo che ora è necessario che la memoria di Francesco Nuti, non si disperda, ma soprattutto è ora che qualcuno restituisca la dignità ad uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi quarant’anni.
La sua è stata l’esistenza naturale del “fool” shakespeariano, non tracotante come Falstaff, semmai simile ad Ariel nella “Tempesta”, il fedele servo di Prospero che sa vedere oltre l’apparenza e condurre gli spettatori nel territorio del sogno. Nuti era capace come pochi altri, di toccare le storie e i personaggi e di trasformarli a sua immagine e somiglianza, creando una strana magia empatica per cui generazioni diverse si sono rispecchiate in quel Francesco detto “il Toscano” che poi si sarebbe nascosto dietro altri pseudonimi: Romeo, Caruso, Willy, Lorenzo, Dado, Pinocchio.
Che l’incontro con il suo conterraneo Collodi e il burattino discolo fosse da sempre un punto d’arrivo nei sogni di Francesco Nuti era chiaro fin dall’inizio: purtroppo quando i due si incontrarono davvero (Occhio Pinocchio, 1994) l’attore-regista era già preda del demone autodistruttivo, tra alcool e depressione, che avrebbe segnato il suo declino e il film resta ancor oggi una grande opera incompiuta in cui solo a tratto balugina il suo talento irregolare e ribelle.
Ma prima ci sono titoli memorabili.
La svolta della carriera cabarrettista del non ancora Nuti attore di cinema, ha una data ben precisa, il 1978. Quell’anno Nuti diviene membro del trio cabarettistico dei “Giancattivi”, gruppo già composto da Alessandro Benvenuti e Athina Cenci, in sostituzione di Antonio Catalano. I “Giancattivi” partecipano a trasmissioni di grande successo, come la radiofonica Black Out e la televisiva Non stop e fanno il loro debutto cinematografico con Ad ovest di Paperino (1981), diretti da Alessandro Benvenuti. Paradosso, surrealismo e totale non-sense rappresentano gli elementi che scandiscono la giornata di tre giovani squattrinati, lanciati in direzione ovest rispetto a Paperino (una frazione di Prato) per poi essere coinvolti in avventure improbabili e prive di ogni logica. Dopo questo film, Francesco Nuti darà inizio alla sua brillante carriera solista, smarcandosi dal trio che di lì a tre anni si scioglierà definitivamente.
Nei primi anni ’80 Nuti instaura una proficua collaborazione personale ed artistica con il regista Maurizio Ponzi, con il quale realizza tre pellicole (Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983)), che gli conferiscono una certa notorietà, in particolar modo soprattutto la seconda pellicola, dove nel ruolo di Francesco Piccioli, si aggiudica il David di Donatello ed il Nastro d’Argento come migliore attore protagonista. Ognuno dei tre film con Ponzi, contribuisce a lanciare nel cinema che conta la figura dell’attore toscano, capace di emozionare e di far riflettere. Madonna che silenzio c’è stasera è ambientato a Prato, con tanto di critica rivolta alla sua celebre industria tessile, il film racconta l’epopea giornaliera dello stralunato Francesco (un grandissimo Nuti), diviso tra la ricerca di un lavoro, i litigi con la fidanzata e una madre ossessiva. Una commedia che più toscana non si può, piena di battute esilaranti e dai toni decisamente amari. Indimenticabile l’ormai proverbiale canzone “Pupp’a pera” eseguita dallo stesso Nuti. Poi venne Io, Chiara e lo Scuro, il film più riuscito della trilogia, ambientata nel mondo del biliardo, disciplina di cui Nuti è appassionatissimo (alcuni colpi ripresi nel film sono messi a segno da lui stesso). Protagonista un virtuoso del biliardo all’italiana che inizia una sfida con Marcello Lotti, detto “lo Scuro”, storico e abilissimo giocatore. Nel frattempo frequenta e s’innamora di Chiara (una straordinaria e bellissima Giuliana De Sio). Più che un film, una pietra miliare, coronata da uno straordinario successo al botteghino.
Terzo ed ultimo film con il regista romano è Son contento, non particolarmente riuscito, ma comunque importante nella maturazione artistica dell’attore. Al centro della pellicola la storia del cabarettista Francesco, colto da una crisi creativa dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, ma alla fine riuscirà a tornare sulla cresta dell’onda. Quello stesso anno si interrompe questa proficua collaborazione artistica e Nuti deciderà di fare il grande passo dietro la macchina da presa. Lo avevano già fatto artisti-amici del calibro di Troisi, Verdone e Benigni, tutti uniti da quello spirito autoriale ed indipendente, che sarà la prerogativa fondamentale delle loro carriere. Per il suo esordio alla regia l’attore pratese sceglie di girare il sequel di Io, chiara e lo Scuro, dal titolo Casablanca, Casablanca (1985) tornando alla sua storica passione fatta di stecche e tavoli verdi. La storia inizia da dove era iniziata, ovvero dalla rivalità sportiva del nostro con lo “Scuro”, il quale torna ad allenarsi nella sala fiorentina del Gambrinus, mentre Francesco, ormai in crisi con l’amata Chiara, viene invitato al mondiale di biliardo a Casablanca (Marocco) dove i due si sfideranno di nuovo. Il film è riuscitissimo e dimostra le qualità artistiche di Nuti, anche come autore, infatti vince il premio come miglior regista esordiente al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián ed il secondo David di Donatello come miglior attore.
Corroborato da un periodo d’oro per la sua carriera artistica, Nuti fino al 1991 vive i suoi momenti migliori, sempre come autore e attore di se stesso. Realizza infatti, tra la seconda metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, altre pellicole di grande successo, a partire dal mini sodalizio artistico con Ornella Muti, che dirige in Tutta colpa del paradiso(1985) e Stregati(1986). Il primo dei due film verte troppo sul lato malinconico, infatti più che una commedia è quasi un melodramma dove Nuti interpreta un ex-galeotto appena uscito di galera, che vorrebbe rivedere il proprio figlio. Questo intanto, è stato affidato ad una nuova famiglia, che riesce a raggiungere in incognito, conoscendo il “nuovo” padre del figlio e la sua bella mamma (Ornella Muti). Inevitabile rinunciare al bambino perché non debba perdere quel paradiso. Meglio allora la romantica e classica storia d’amore di Stregati, dove Ornella Muti, qui nei panni di una ragazza sul punto di sposarsi, finisce in confusione quando conosce Lorenzo (Francesco Nuti), conduttore di un’emittente radiofonica e amante delle scorribande notturne. Il periodo d’oro continua con Caruso Pacoski di padre polacco (1988), forse il film più famoso, amato e in parte rappresentativo della poetica di Francesco Nuti, fatta di ironia, un pizzico di non-sense e tragica leggerezza. Al centro della storia il matrimonio tra uno psicanalista fiorentino e la bella Giulia (Clarissa Burt), che all’improvviso decide di lasciare il marito per rifarsi una vita con uno dei suoi pazienti. Scene epiche, esilaranti e che ben rappresentano tutte le difficoltà delle relazioni coniugali.
Meno riuscito risulta Willy signori e vengo da lontano (1989), troppo melenso e ridanciano; mentre uno dei migliori della carriera dell’attore sarà il successivo Donne con le gonne (1991). Strizzando l’occhio a Dramma della gelosia – tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola, Nuti dirige un film ricco di citazioni, dove torna ad indagare il rapporto – sempre complesso e mai lineare – uomo/donna. Nella funesta cornice degli anni di piombo il protagonista incontra una femminista convinta (interpretata dalla splendida Carole Bouquet), che decide di sposare ugualmente, arrivando a segregarla in un casolare di campagna. Un must per chi desidera avere un quadro definitivo sulla poetica, per la verità un pò scostante, di Francesco Nuti. Ma lui si sa, era così. Era un incostante di talento, talmente di talento che è impossibile, quando lo conosci, non farti prendere, con un misto tra commozione e riconoscenza, sapendo quel che poi negli anni successivi ha dovuto passare. A metà degli anni ’90 Nuti comincia a soffrire di depressione e di altri gravi problemi personali, Il motivo del suo crollo emotivo è comunque certamente inquadrabile anche in seguito al flop dei suoi film successivi, che lo gettano in un profondo stato di crisi artistica, dal quale non si riprenderà mai più.
Lo abbiamo visto per l’ultima volta sullo schermo nel 2005, attore in Concorso di colpa, poliziesco troppo poco visto di Claudio Fragasso. A quel punto l’appuntamento col destino è già dietro l’angolo: sempre meno presente a se stesso, l’anno dopo cade dalle scale di casa e il trauma cranico è gravissimo. Entrerà in un tunnel di faticosa rieducazione, ricadute, tiepide speranze che non gli consentirà più di riprendersi la scena anche se gli amici della giovinezza non smetteranno di stargli vicino, il fratello Giovanni lo aiuterà a scrivere una biografia molto personale (Sono un bravo ragazzo – Andata, caduta e ritorno, 2011, Rizzoli) e si moltiplicheranno spettacoli e monologhi di cui è l’indiretto protagonista. Francesco Nuti ha attraversato il cinema come una luminosa e scintillante meteora, sempre inclassificabile tra passione per il biliardo, la musica (ha calcato il palco di Sanremo e la sua discografia fa da controcanto alle sue regie e alle sue interpretazioni), gli amori, le delusioni private. Ci lascia in eredità 10 film da regista e 15 da attore, premi di primissimo livello (due David di Donatello vinti come migliore attore protagonista per Io, Chiara e lo Scuro e Casablanca, Casablanca; un Nastro d’Argento come migliore attore protagonista vinto per Io, Chiara e lo Scuro; e un Globo d’Oro vinto come miglior attore rivelazione per Io, Chiara e lo Scuro) e troppi sogni ancora da realizzare.
La sua parabola assomiglia a quella di altri grandi attori che ho citato sopra: Noschese, Chiari, Montagnani, Buzzanca e possiamo estendere anche alla musica citando Rino Gaetano. Tutti personaggi dello spettacolo, che avrebbero meritato di più in vita; tutti artisti che non meritano l’oblìo; tutti uomini liberi che meritano di essere ricordati per sempre.
E Nuti merita che finalmente qualcuno ritorni ad appassionarsi alla sua arte.
Il vero grande lutto italiano, del 12 giugno 2023 dovrebbe essere anche il suo, perché chi dona sogni, arte ed emozioni, non può morire dimenticato. E io te lo prometto, non ti dimenticherò.
Ciao Francesco.
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