Tante volte si è letto e scritto che con la morte di questo o di quell’attore, se ne va via un pezzo di storia del cinema. Alcune volte impropriamente, altre volte l’accezione contempla la nuda e malinconica realtà dei fatti. Ma con la dipartita di Lando Buzzanca, all’anagrafe Gerlando, se ne va davvero l’ultimo eroe di una generazione che continuerà a vivere nei nostri cuori e soprattutto nelle pellicole che ci hanno lasciato in eredità. Lando Buzzanca è stato un grande e sottovalutato talento, ma si sa, sottovalutare è sempre stato l’hobby preferito di una generazione di critici “criticoni”, che non ha mai capito in tempo, il vero valore di maschere “italiane” come quella del caro Lando.
Anche come uomo, Buzzanca, è stato uno dei migliori abitanti del nostro cinema: umile, riservato, schietto, diretto, tenace, e dotato di un grande cuore. Una schiettezza, ravvisabile in altri suoi amici e colleghi fraterni, come Renzo Montagnani, che lo ha portato anche ad essere boicottato da produttori e registi di sinistra, per le sue note simpatie di destra. Si badi bene, di destra, non altro di molto meno nobile. Però all’epoca, negli anni ’70, dichiarare simpatie sinistre (?) equivaleva ad avere protezioni, che alla lunga giovavano nel lavoro. Lando quindi, possiamo dire, che non ha mai svenduto la propria libertà artistica, e questa è una delle più grandi doti che gli si possa riconoscere.
Affianco alla schiettezza, in seconda posizione, troviamo la tenacia. Qualche anno fa dichiarò: “Ho interpretato 110 film, ma fin dall’inizio ho sempre scelto, ho sempre voluto fare l’attore. Anche quando non ero nessuno ed ero al verde. Avevo 500 mila lire in tasca che mi aveva dato di nascosto mia madre, ma sono finiti in fretta, ho dormito per strada, ho mangiato alla Caritas, volevo fare il cinema, facevo piccole comparsate, ma sapevo che non bastava”. Il giovane Lando era cresciuto in una famiglia dove si respirava cinema. Lo zio Gino Buzzanca lo ricordiamo come importante caratterista in film con Totò, Nino Taranto e anche Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, insomma con il gotha della comicità “made in Italy” degli anni d’oro del nostro cinema. Il papà, Ottavio, all’anagrafe Empedocle, era un operatore proiezionista a Palermo. Il piccolo Lando era spesso con il papà, in sala di proiezione, a guardare i vari film di Totò, di Fabrizi, di Macario e di tutti gli altri di quella generazione che di mese in mese, di giorno in giorno, ne sfornavano sempre di nuovi. E lui, in quella sala, osservava con gli occhi sbarrati la magia del cinema, così come farà il piccolo ragazzino di Nuovo Cinema Paradiso, quarant’anni dopo. Un giorno disse al papà che avrebbe volto fare l’attore, nient’altro che l’attore, e ricevette un bello schiaffone. Poi anche a scuola, professori e presidi del Liceo, dissero a papà Ottavio, sempre la stessa cosa: “è un attore nato”. E la caparbietà, si sa, molto spesso sfocia in talento. E così Lando dalla Sicilia, si fa strada e conquista Roma. A soli 17 anni, si trasferisce nella capitale. Era il 1952, quando a Roma si cominciava a respirare un’aria nuova, diversa. La guerra era finalmente alle spalle e il boom economico stava per irrompere furiosamente. Lo zio Gino, raccontava al giovane Lando, tante belle storie di cinema, e lui si appassionava ancora di più, finché non tocca anche a lui, far parte di quel sogno di bambino, che stava diventando realtà.
L’esordio al cinema arriva nel 1959 in un film storico, non solo per l’ambientazione. Si tratta di Ben-Hur, dove l’attore appare nella piccola parte di uno schiavo. L’occasione giusta arriva nel 1961 con Pietro Germi che lo sceglie per il ruolo di Rosario Mule’ in Divorzio all’italiana. L’anno dopo è ancora Pietro Germi a regalargli una grande parte, quella del fratello di Stefania Sandrelli in Sedotta e abbandonata. A poco a poco, l’attore inizia a crearsi un suo personaggio, quello del provinciale amante delle donne e spesso poco furbo. L’allentamento delle maglie asfissianti della censura, che avverrà a metà degli anni ’60, dà modo al cinema di percorrere altre strade, fino ad allora off limits. E sarà la fortuna cinematografica del nostro Lando, che diventa il re della commedia erotica all’italiana. Si badi bene, il termine non va inteso in senso dispregiativo, né la parola “erotismo” può essere considerata in maniera troppo estesa; significa soltanto la possibilità che, alla classica commedia all’italiana, possano essere finalmente estesi temi riguardanti le pulsioni sessuali e storie un pochino più maliziose. D’altronde un film molto famoso, come Vedo nudo, del 1969, diretto da Dino Risi, con Nino Manfredi, può essere definito uno dei precursori del genere. Dico questo perché, grazie a questa variante, Lando Buzzanca, sale prepotentemente e meritatamente sul carro della commedia all’italiana, soprattutto negli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70.
La scalata di quest’attore, con gli occhi dello storico, appare inevitabile, se consideriamo il successo commerciale della Sicilia arcaica, ancora ancorata a desuete tradizioni antiche, descritta da Pietro Germi in capolavori già citati come Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata. Buzzanca era dunque perfettamente adeguato a rappresentare le pulsioni sessuali riferibili comunque non solo al ristretto ambito siciliano, ma a tutto il territorio nazionale. Fu così che Buzzanca, si fece un nome da primo attore, puntando molto sul suo aspetto fisico “buffo”, elemento molto tipico nella storia della comicità. Esasperò quindi, il grottesco della sua maschera utilizzando una mimica facciale molto accentuata: fisicamente molto più caratterizzato dei “Mostri” della commedia all’italiana, si propose insomma come una parodia marionettistica del maschio meridionale, con titoli di successo come Quando le donne avevano la coda e Operazione San Pietro, quest’ultimo parodia dichiarata, fin dal titolo, di Operazione San Gennaro, portato al successo dalla ditta Risi-Manfredi, nel 1966. Proprio in questi anni a cavallo dei due decenni Buzzanca raggiunge l’apice della propria carriera, con film che incassano stabilmente tra il miliardo e mezzo e i due al botteghino. Di seguito, rapida carrellata sui film che hanno consegnato alla storia l’attore siciliano. In Homo ereticus, di Marco Vicario (due miliardo e trecento milioni di incassi) Buzzanca è un siciliano superdotato sessualmente, che viene assunto al nord-Italia da un industriale guardone e qui ha parecchie disavventure erotico- sessuali che coinvolgono anche la sua bella moglie. Poi vi è Il merlo maschio, di Pasquale Festa Campanile, in cui Buzzanca è un violoncellista di fila all’Arena di Verona. Soggiogato spesso nella vita, trova un motivo di rivalsa quando si accorge che la moglie (Laura Antonelli), possiede doti erotiche fuori dal comune. Decide di fotografarla di nascosto, mostra le foto in pubblico, e arriva ad esibirla nuda davanti a migliaia di spettatori nell’Arena, finendo infine in manicomio.
Nei primi anni ’70 poi, la sua maschera disinibita, si fonde perfettamente con gli elementi di denuncia sociale, tipici della commedia all’italiana cupa degli anni di piombo. Va così citato, soprattutto Il sindacalista, film del 1972, dove Buzzanca è diretto da un maestro come Luciano Salce, dotato della sua classica e sardonica verve autoriale, sempre destinata a lasciare il segno. La storia è quella di Saverio Ravizzi, alias Lando Buzzanca, operaio siciliano con il mito del sindacalista Giuseppe Di Vittorio che, dopo essere sfuggito alla morte per caso, trova lavoro a Bergamo in una fabbrica guidata dal goffo e viscido Tamperletti (Renzo Montagnani). Simpatico, spaccone, vincente, qui Lando Buzzanca, diretto con grazia da Luciano Salce, è ormai all’apice della sua carriera, in un film che pone l’accento sugli sfruttati e sulle insoddisfazioni della classe lavorativa.
Visto che abbiamo nominato Renzo Montagnani, apriamo una parentesi sulla grande umanità di Lando Buzzanca, sul suo rispetto per la parola “amicizia” e sulla sua grande umiltà. Me lo ha raccontato il figlio Massimiliano Buzzanca, intervistato dal sottoscritto per il mio libro Renzo Montagnani, un uomo libero, pubblicato la scorsa estate: “c’è stato un periodo nel quale Renzo, aveva grossi problemi economici, probabilmente prima che iniziasse a guadagnare cifre astronomiche nella commedia sexy, e papà, saputa di questa necessità non ci ha pensato due volte ad aiutare l’amico. Gli ha dato tutto quello che poteva dargli. Quando Renzo poi, ha iniziato ad ingranare economicamente, voleva restituirgli tutto e mio padre disse ‘non ti azzardare, ne hai bisogno più tu di me’”. Tutto questo fa capire il rispetto, che Lando, aveva per le amicizie vere, davvero inquantificabile a parole.
Altro grande sodalizio artistico e profondo rispetto amicale, era quello che lo univa a Raimondo Vianello. Quando a distanza di pochi mesi, nel 2010, se ne vanno prima Raimondo e poi Sandra Mondaini, Buzzanca è ai funerali in prima fila a rendere omaggio agli amici di una vita. Il sodalizio artistico tra Buzzanca e Vianello, forse è un po’ misconosciuto, ma davvero è fondamentale nella carriera dell’attore siciliano. Insieme interpretano, a metà degli anni ’60, due parodie western divertenti ma di poche pretese (Ringo e Gringo contro tutti e Per qualche dollaro in meno), ma soprattutto collaborano alla riuscita di quelli che saranno i migliori film di Lando Buzzanca come protagonista assoluto. La genesi di tutto ciò, nacque a fine anni ’60, quando Vianello stanco di essere sempre relegato nei soliti cliché, abbandona il cinema davanti alla macchina da presa, per dedicarsi alla sceneggiatura, che a quanto sembra da alcune interviste rilasciate nel corso degli anni, era la sua originaria passione. E così Vianello, al di là della televisione, dedica gli anni ’70 alla scrittura cinematografica, spesso scrivendo per Lando Buzzanca, perché considerava quel viso così curioso, adatto per storie umoristiche pruriginose, rimanendo comunque nell’alveo della commedia all’italiana. Nascono quindi, dalla sua penna e da quella del fido Giulio Scarnicci, quelli che saranno i migliori lavori di Buzzanca degli anni ’70: Il vichingo venuto dal sud, L’uccello migratore, La schiava io ce l’ho e tu no, L’arbitro, Il domestico, Il gatto mammone.
Qualcosa va detta anche sul successo televisivo, che lo colse negli anni ’70, in coppia con Delia Scala in Signore e signora con il tormentone “mi vien che ridere” del quale Buzzanca ha parlato come di una ”delle cose piu’ belle della mia vita”. Ma non va neanche tralasciato quello che è stato l’anziano Lando Buzzanca. Gli anni 2000 sono stati forieri di successi, con uno stile interpretativo, che per ovvie ragioni di cose, è diventato più verbale e meno fisico, ma con un alone di malinconia, tenuto così perfettamente in bilico, da regalarci alcune dei più bei momenti della sua carriera. Lo troviamo, ad esempio, nel 2005 con il trionfo della miniserie di Rai Uno, Mio figlio, nata da un’idea dello stesso Buzzanca che interpreta un poliziotto, il Commissario Vivaldi, padre di un ragazzo gay (oltre 8 milioni di spettatori e 30%). Nel 2007 raccoglie il plauso anche della critica per la sua interpretazione nel lungometraggio I Viceré di Roberto Faenza, che gli garantisce la vittoria di un Globo d’Oro e la nomination al David di Donatello come miglior attore protagonista. L’ultimo lavoro rilevante è la serie tv de Il Restauratore dove interpreta il sensitivo Basilio, ex poliziotto, che vendicatosi di due criminali che gli avevano ucciso moglie e figlio, si fa quindici anni di carcere. Qui “restaura” la propria vita e quando esce trova lavoro in una bottega di artigianato nel cuore di Roma. Scopre di aver ricevuto dei poteri sovrannaturali grazie ai quali, toccando un oggetto, è in grado di vedere eventi futuri: in questo modo sarà in grado di salvare vite ed evitare tragedie. L’anziano, ma ancora stupendo Buzzanca, in questo ultimissimo lavoro, realizzato in due serie, dal 2012 al 2014, ci regala tutta la grandezza del suo stile interpretativo, costantemente in bilico tra grottesco, comico e drammatico, in linea con l’estrema poliedricità, che è sempre stata la cifra stilistica più importante del suo immenso talento.
Abbiamo esaurito lo spazio a disposizione. Ci sarebbe ancora tanto da parlare su Lando. Ma in un articolo commemorativo come questo, non è indispensabile necessariamente essere esaustivi su tutte le interpretazioni della sua carriera; piuttosto va considerato come un omaggio che insieme tratti l’uomo e l’artista, facce diverse, ma uguali, della stessa medaglia. Lando Buzzanca meriterebbe un libro intero sull’uomo e sull’artista. Dirigendo una collana editoriale che si occupa dei grandi attori del cinema italiano, ingiustamente poco celebrati, intitolata “Cine-Suggestioni”, fondata dall’Associazione culturale “Cinema italiano degli anni d’oro”, credo che ben presto ci saranno delle novità. Dopo le uscite su Renzo Montagnani e quella dell’inverno 2023 su Mario e Memmo Carotenuto, credo sia doveroso accelerare i tempi, e almeno per il primo anniversario di morte, celebrare degnamente Lando Buzzanca, con una pubblicazione a lui dedicata.
E’ stato un grande artista e un grande uomo, che ha attraversato da assoluto protagonista gli anni più belli del nostro cinema, e per questo mi sento di dirgli soltanto GRAZIE LANDO…per tutto quello che ci hai regalato.