Vorrei dare avvio a questo omaggio, diviso in due parti, alla immensa Monica Vitti, deceduta all’età di 90 anni e qualche mese, partendo da un film, che ne ha indirizzato la carriera. Quel film del 1968, a sorpresa si era issato come la vera rivelazione dell’annata, conquistando la palma di pellicola campione di incassi, il suo titolo era La ragazza con la pistola, per la regia di Mario Monicelli.
Fu la consacrazione per una giovane rivelazione, come Monica Vitti, l’unica donna a diventare una vera e propria star comica nazionale. Da qui in avanti comincia per la Vitti una frenetica carriera nel genere comico- brillante, infatti la sua attività nel campo della commedia all’italiana, negli anni ’70, è paragonabile a quella dei cosiddetti “Mostri”; dopo La ragazza con la pistola la sua sarebbe stata una carriera in continua ascesa e per l’Italia cinematografica la Vitti ha rappresentato una vera rarità, se non addirittura un unicum.
Le donne “italiche della Vitti
Con La ragazza con la pistola, Monicelli aveva infatti ripetuto il miracolo dei Soliti ignoti, ossia la trasformazione di un attore poco popolare in un grande attore comico o comunque brillante. Era capitato con Vittorio Gassman e capitò 10 anni dopo con Monica Vitti, interprete dei non amati (dalle masse) film serissimi di Michelangelo Antonioni. La Vitti come già Gassman ai suoi tempi dovette in qualche misura cambiarsi i connotati, nella fattispecie occultare i caratteristici e molto bei capelli biondo-rosso sotto una parrucca corvina. Il film, divertente grazie alla scoperta di una Monica Vitti brillante, sviluppa le convenzioni sui pregiudizi sessuali del Meridione: una siciliana sedotta e abbandonata insegue in Scozia l’uomo che l’ha disonorata (Carlo Giuffré) allo scopo di lavare l’onta col sangue, ma quando alla fine lo trova, i contatti con quel mondo tanto diverso e nel quale bene o male è riuscita a cavarsela, le rivelano l’assurdità dei suoi propositi. Da qui in avanti, comincia per la Vitti, una frenetica carriera nel genere comico-brillante, che la porterà a vincere 9 David di Donatello, 3 Nastri d’argento, 12 Globi d’oro, un Leone d’oro A Venezia e un Orso d’Argento a Berlino.
L’attrice era infatti sufficientemente bella da non dover essere confinata nelle parti di zitella irrecuperabile o meglio opprimente con le quali aveva sempre dovuto combattere Franca Valeri; d’altro canto non risultava così formosa o prepotente nella sua bellezza fisica da suggerire uno sfruttamento come sex symbol, tipo Sophia Loren o Marisa Allasio. Era semplicemente una grandissima attrice dall’inconfondibile voce roca e portata al brillante, lontana anni luce dal divismo delle sue celebri colleghe. All’occorrenza sapeva imitare dialetti, fare la svampita, risultare credibile come popolana e come borghese. Una volta confermato il suo talento brillante in Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola, al fianco di Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini; ne L’anatra all’arancia (1971), dove è moglie in crisi di Ugo Tognazzi; e ne La Tosca (1973) di Luigi Magni, lungo tutti gli anni ‘70 sarà protagonista di numerose pellicole del filone della commedia all’italiana (l’esperienza accanto ad Alberto Sordi nei film con lui interpretati per la regia di quest’ultimo sarà quella che l’avvicinerà maggiormente al grande pubblico, nel senso più nazional-popolare del termine). Anche all’estero si accorgono di lei e molti registi di prestigio la vogliono sul set: Luis Buñuel in Il fantasma della libertà (Le fantôme de la liberté) (1974) e André Cayatte in Ragione di stato (La raison d’état) (1978).
Nel 1971 Monica Vitti, conferma la sua presenza come “prima donna” assoluta della commedia all’italiana, con un film in costume molto particolare, dal titolo Ninì Trabusciò, la donna che inventò la mossa, ispirato alla figura quasi “mitologica” dell’attrice teatrale Maria Campi, canzonettista di inizio ‘900, capace di attirare le attenzioni e l’ammirazione di personaggi come Trilussa e Petrolini. Diretta dal regista Marcello Fondato, l’attrice bissa il David di Donatello vinto per La ragazza con la pistola, aggiudicandosi la stessa statuetta, edizione 1971. Il film ha molti pregi, oltre alla presenza di Monica Vitti, mattatrice assoluta e “bellezza” diversa, che piace tanto anche al pubblico maschile, c’è anche una concreta precisione storico-sociologica: perfetta la rivisitazione del periodo storico che va dall’uccisione di Re Umberto I allo scoccare della Prima guerra mondiale. La “mossa” del titolo è quella che la Vitti, alias Campi, inventa per accattivarsi il pubblico maschile: ” la risposta plebea al conformismo repressivo plebeo”.
Alberto Sordi e Monica Vitti
Proviamo ora, a dire qualcosa di più, dell’esperienza artistica accanto ad Alberto Sordi, seppur numericamente limitata a soli 3 film (Amore mio aiutami-1968; Polvere di stelle-1973; Io so che tu sai che io so-1982), quest’accoppiata ha rappresentato una delle vette più elevate della commedia all’italiana, vuoi perché Sordi era uno dei massimi esponenti del genere, vuoi perché Monica Vitti era l’unico vero grande esempio femminile di spessore nella commedia. Li univa poi una grandissima amicizia, nonché un’ammirazione davvero fraterna. Come testimoniato nel corso della puntata speciale del “Maurizio Costanzo show” del 17 febbraio 1999. In quell’occasione erano ospiti sul palco Alberto Sordi, Monica Vitti e Vittorio Gassman. I tre “tenori”, ribattezzati così durante la puntata, della commedia all’italiana, diedero vita a numerosi ricordi, commossi di un’epoca intramontabile ormai passata.
Alla domanda di Maurizio Costanzo: “Quando facevate insieme quei film tipo ‘Amore mio, aiutami!’, quel vostro rapporto di coppia, quanto assomigliava a come tu eri nella realtà?”
Sordi rispose: “Io a Monica le voglio bene, come non si vuole bene alle mogli e alle fidanzate. Io ti voglio molto bene. La nostra è un’amicizia basata sulla stima professionale e su un amore sincero” Al che la Vitti, visibilmente commossa non seppe che dire, ma ricambiò con gli occhi e con le lacrime, quel gioioso e sincero attestato di stima di Albertone.
Si diceva sopra, che il loro rapporto cinematografico si esplicò in soli tre film, che peraltro hanno tutti Sordi anche come regista: Amore mio, aiutami! (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982). Tre soli film, comunque sufficienti per regalare agli italiani la sensazione che quei due, Alberto e Monica, fossero fatti per recitare insieme sul set e in cui la coppia Sordi-Vitti ha costruito un immaginario che a distanza di decenni mantiene intatto il suo fascino. Quel primo film, ovvero Amore mio, aiutami, mette soprattutto in evidenza la grandezza monumentale di Monica Vitti, certamente l’attrice italiana di commedia più importante della storia del nostro cinema. La pellicola, bisogna dirlo, verte più sul drammatico che sul brillante e racconta praticamente la fine di un amore, colpendo per la provocatorietà reale. Una provocazione che vuole andare a smuovere quanto di inconfessabilmente vero, e quanto meno possibile, c’è e c’è stato nei matrimoni. Un lavoro attuale anche oggi, alla luce degli stravolgimenti morali e sociali dei rapporti di coppia. Allora trattare queste tematiche era anche una innovativa, e a suo modo coraggiosa, maniera di scalfire i tabù dell’indissolubile sacralità del matrimonio, così come i pregiudizi e le illusioni dell’amore perfetto, sancito dal destino che si auspica sempre così benevolo nella sua provvidenzialità. Il film ha il suo merito nel mostrare la potenziale incontrollabilità totale dei sentimenti e dunque anche delle istituzioni che si erigono sopra questi sentimenti, proprio come quella matrimoniale.
Ma è poi nel secondo film che questo sodalizio artistico, sfiora le corde del capolavoro, con Polvere di stelle, secondo incasso annuale, con oltre 3 miliardi di lire al botteghino, dietro soltanto ad Altrimenti ci arrabbiamo. L’incipit del film senza dubbio si basa sul vecchio amore per l’avanspettacolo e e per la rivista, che Sordi frequentò in gioventù per almeno una decina d’anni. Inevitabile che quando Ruggero Maccari gli sottopose il soggetto di un film su una scalcinata compagnia di avanspettacolo che, trovatasi a Bari insieme ai liberatori americani, visse poche settimane di gloria prima di tornare nell’anonimato, inevitabile-dicevamo- che Sordi accettasse con gioia la proposta, decidendo anche di dirigerlo oltre che di interpretarlo. La storia di Polvere di stelle è tutta qui, nel sogno di un successo che arriva solo per qualche settimana e che poi trasforma la delusione in qualcosa di ancor più difficile da digerire e da accettare. Accanto ad Alberto Sordi c’è Monica Vitti, che interpreta la soubrette della compagnia, nonché la moglie del capocomico Sordi, e insieme si esibiscono in uno dei numeri musicali più celebri dell’intera filmografia italiana: “Ma ‘n do’…Haway”, trionfo del doppio senso e della volgarità (il testo continua così: se la banana non ce l’hai) ma anche della voglia di vivere e di divertirsi di un Paese che non sembrava ancora ben rendersi conto della libertà che aveva ritrovato.
Ma è tutta la ricostruzione degli spettacoli guitteschi di allora che merita di essere rivista: sono le scene più riuscite e divertenti e resta solo il rimpianto che per il montaggio definitivo ne siano state tagliate molte: “Girammo quasi cinque ore di spettacolo che poi il cinema ridusse a due. Mi ritrovai un film con tante edizioni: di un’ora, un’ora e venti, un’ora e quaranta. Lo tagliavano, lo vendevano, lo allungavano, a seconda delle esigenze, come farebbe un macellaio con la carne. Non solo, ma ciò che era stato accantonato senza essere montato fu gettato”. Il film è uno spaccato crudo e brutale di quel mondo ambiguo, che vivacchiava, ai margini nel sottobosco, dell’ambiente dell’avanspettacolo. Chi ha calcato il palcoscenico in quel periodo, sa cosa significa, vivere alla giornata e frequentare quei luoghi, squallidi, dove si aggiravano e sguazzavano, impresari da strapazzo e aspiranti artisti, falliti di fatto, disperati e alla fame, a caccia di una scrittura e quindi di una boccata dì ossigeno. In un divertente e amaro scambio di vedute, Dea dice al compagno” questi” ti danno solo il vitto, l’alloggio e niente da mettersi da parte” e allora risponde Mimmo, non ti basta? dopo che hai mangiato, dormito e fatto una bella fumata, che vuoi più”. I due attori Vitti e Sordi erano ai tempi del film, il 1973, al massimo della loro popolarità e successo e in questo film sono assolutamente esemplari. Due mattatori assoluti, in ruoli che calzavano loro a pennello.
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