Raffaello Castellano (533)
Immaginate un’invenzione tanto prodigiosa che è usata ininterrottamente dal 1856: una cosa eccezionale! Cercate di immaginare che cosa potrebbe essere: il cinematografo? No, è stato inventato nel 1895! Allora potrebbe essere l’automobile? No, la prima vettura con un motore a combustione endotermica fu sviluppata da Carl Benz nel 1886! Vabbé, allora sarà l’aeroplano? No, il Flyer dei fratelli Wright volò per la prima volta nel 1903!
Va bene, vi do un aiutino: è un’invenzione che permette di comunicare a distanza.
Se state pensando al telefono siete fuori strada: Meucci lo presentò solo nel 1871.
Ho capito, vi serve ancora un aiutino: allora sappiate che l’inventore di questo marchingegno è un abate italiano, tale Giovanni Caselli.
Ancora niente?
Allora ve lo dico: l’invenzione è il “Pantelegrafo”, antesignano di quello che noi oggi chiamiamo “Fax”!
Il fax è la metafora giusta per spiegare l’immobilismo delle pubbliche amministrazioni italiane che, alla faccia della sbandierata semplificazione e informatizzazione, continuano ad usare e prediligere questo strumento della vetusta età di 158 anni, chissà, forse per onorare l’inventore italiano.
Gran parte delle amministrazioni pubbliche, come l’INPS, Comuni, Province, Regioni, Catasto e Centri per l’Impiego continuano a prediligere la carta, spedita via fax, come supporto e documento principale per quasi tutte le pratiche che producono. Tutto questo crea problemi di inquinamento, archiviazione, pratiche perse ed inevase, etc., ma sopratutto fa della burocrazia italiana una delle principali palle al piede sul cammino dello sviluppo, del futuro e dell’uscita da questa Crisi.
Un problema molto sentito dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni nel nostro Paese. E’ di pochi giorni fa l’accorato intervento del primo ministro Matteo Renzi, invitato al Council on Foreign Relations di New York il 24 settembre scorso, nel quale ha parlato delle sfide comuni che spettano a Stati Uniti ed Europa.
Pensate che l’Italia è da sempre “avanti” nell’istituzione di commissioni, istituti di vigilanza, enti: aveva costituito già nel lontano 1993, con il decreto legislativo numero 39 del 12 febbraio 1993, l’ente AIPA (l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), che poi diventerà nel 2003 il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) sempre attraverso un decreto legislativo, precisamente il numero 196 del 30 giugno 2003 – art. 176. Ma non finisce qui: ai sensi di un ennesimo decreto legislativo (il n.177 del 1° dicembre 2009) quest’ultimo è diventato la DigitPA, che verrà soppressa dal Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012, dal titolo: “MISURE URGENTI PER LA CRESCITA DEL PAESE”, voluto dal governo Monti, diventando l’attuale “AgID” (Agenzia per l’Italia Digitale), un ente con sede a Roma, un bilancio di 220 milioni di euro, 95 dipendenti, guidato da Alessandra Poggiani dall’8 agosto 2014.
Ma a fronte di 21 anni, quattro cambi nome, ed un’infinità di decreti, leggi, clausole, cavilli, tutti rigorosamente stampati su carta, il fax resiste ed imperversa, tanto che il noto giornalista italiano Riccardo Luna sulle pagine di Repubblica, in un articolo dell’ agosto 2013, scriveva: “Il fax è vivo e lotta insieme a noi. O meglio, a loro. I burocrati. Quelli del ‘mi mandi un fax’, così poi lo impilo per bene fra le pratiche inevase e non se ne parla più. Alla faccia della produttività, dell’efficienza, dei risparmi di tempo e denaro che potrebbe garantire l’e-mail. Alla faccia nostra. Sarà così almeno fino a gennaio 2015.”
Questa e altre interessanti informazioni sono contenute nei 14 capitoli che compongono l’ultimo libro “Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli – La guerra infinita alla burocrazia” (Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 192, 15 €) del noto giornalista e scrittore Gian Antonio Stella, che riesce a condensare in poco più di 190 pagine un grande lavoro d’inchiesta, una notevole quantità di dati e una serie di esempi che, se non rappresentassero la nostra tragica realtà, sarebbero divertentissimi.
Noi di Smart Marketing abbiamo deciso di fare della lettura di questo libro un diritto e un dovere civile, per scoprire quanto la burocrazia italiana sia responsabile del mancato sviluppo di questo Paese. Siamo convinti che nell’era dell’accesso, di internet 3.0, dei social network, un progresso ci potrà essere solo se l’Italia deciderà di puntare sulle nuove tecnologie, l’informatizzazione delle pubbliche amministrazioni e la banda larga, per colmare quel digital divide che ci fa essere la “cenerentola d’Europa”. Con una velocità media di navigazione di 4,9 megabit al secondo siamo, stando all’ultimo rapporto delll’americana Akamai, al 48° posto al mondo, dietro nazioni come la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria.
Ma prima di chiudere quest’articolo, permettetemi di riportare un’esperienza personale, accadutami di recente, che è emblematica di come la burocrazia possa rallentare, bloccare quasi, la semplice richiesta di un documento come lo stato occupazionale o C1. Questo documento, che da anni ha sostituito il Tesserino di Lavoro, rappresenta uno di quelli che si potrebbero tranquillamente richiedere e ricevere via mail o, in mancanza di meglio, potrebbero essere sostituiti da una semplice autocertificazione.
Nel comune dove risiedo, a Taranto, invece va richiesto al locale Centro per l’Impiego (ex Collocamento, avete notato quante cose cambiano nome in Italia). Fin qui niente di male, direte, ma le cose si complicano in una città come Taranto, ancora reduce da un dissesto economico e da un fallimento, con una crisi occupazionale fra le più alte del Paese, con il caso Ilva e le innumerevoli vertenze in atto che hanno rimpolpato notevolmente le file dei disoccupati.
La durata media, da me sperimentata, di una fila per ottenere il documento dura circa 4 ore, sempre che i desueti computer e terminali non si blocchino, vanificando ogni speranza ed ogni attesa. Gli sportelli sono aperti dalle 08.30 fino alle 12.30, ma la fila per ritirare i numerini dal distributore elettronico comincia già dalle 06.00 di mattina, con conseguente spegnimento del macchinario ben prima delle 10.00. Ma c’è dell’altro: degli sportelli, che sarebbero 8, ne funzionano in media solo la metà, con i dipendenti che si trovano ad affrontare, specie in questo periodo di inizio dei corsi di formazione e fine di lavori stagionali ed a termine tipici dell’estate, una mole di lavoro spropositata, con oltre cento utenti giornalieri.
Il problema è ancora più grave per quei lavoratori stagionali che senza questo documento non possono avviare le pratiche per la richiesta dell’ASPI o mini ASPI (altre due cose che hanno cambiato nome, si tratta rispettivamente della Disoccupazione Ordinaria e di quella con Requisiti Ridotti). Ora immaginate come sarebbe semplice sedersi davanti ad un PC, collegarsi ad internet, aprire un account personale sul sito del Centro per l’Impiego, compilare una richiesta e ricevere il proprio C1 in formato pdf, direttamente sulla casella di posta elettronica; tutta l’operazione potrebbe richiedere nel peggiore dei casi al massimo 20 minuti, nessuna fila, nessun numerino, nessuna levataccia, nessuno stress, nessun dipendente impegnato in questo lavoro.
Sarebbe un sogno, cerchiamo di trasformarlo in realtà dicendo #burocraziastop e cominciamo a farlo informandoci sul problema e leggendo il bel saggio che ha ispirato questo articolo. Perchè non dobbiamo cambiare semplicemente il nome dell’Istituzione, documento, legge, dobbiamo cambiare il sistema, le procedure e le dinamiche della macchina burocratica italiana; ne va del nostro futuro.