Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi dello scorso millennio. E girando sui social, mi rimbombano in testa queste parole.
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
È passato poco più di un anno dal primo lockdown e siamo da capo. O meglio, quasi tutta l’Italia è in zona rossa e, ancor di più, durante il periodo pasquale, proprio come 12 mesi fa. E questo dejavu fa salire il malcontento.
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
Spopola su Facebook, questo post:
“Non muore nessuno se non si va dal #parrucchiere per due mesi. Al massimo muore quel salone (e magari il titolare è tua sorella, tua mamma, tuo zio). Non muore nessuno saltando la ceretta dall’#estetista. Al massimo chiude quello studio… che magari è di tua figlia, tua moglie. Non muore nessuno saltando due mesi di #Danza . Al massimo chiude quella Scuola … che magari è di tua figlia, tua moglie di tua sorella ed è aperta da 30 anni. Puoi anche non andare in #palestra per 60 giorni. Chissenefrega. Al massimo non riaprirà più. E magari è di tuo padre. Al #ristorante? Ma cucinate a casa vostra… che tanto quando saranno metà in ginocchio tu potrai ottimizzare l’arte dell’uso del lievito che hai messo a fuoco in questi mesi. Sperando che il ristorante non sia di tuo figlio. #Sartoria? Ma davvero vai ancora dalla sarta? Ma compra su Amazon come tutti! Anche se la sartoria l’ha fondata tua nonna. E che dire dei #bar? Meglio se chiudono, no? Così tuo marito torna a casa prima la sera. Sperando che tuo marito non sia il proprietario di quel locale. #Contadini? Ma dai!!! Che le mele dalla Polonia riusciamo ancora a prenderle e del sano vino all’etanolo lo importiamo senza problemi. Esiste un punto in cui le misure per contrastare il #virus uccidono più del virus stesso. È FACILE DIRE DI STARE A CASA QUANDO HAI LO STIPENDIO GARANTITO. MA #nonandratuttobene A CASA DI TUTTI.“
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
Oppure ancora, sempre dai social:
“Non ho paura del covid, che esiste come tante altre malattie. Sinceramente non è una cosa che mi fa paura più di un tumore o di patologie ben più gravi che sono praticamente sempre mortali.
Più che altro mi fa paura tutto quello che sta succedendo intorno a me. Mi fa paura che ieri pomeriggio passeggiavo per la mia città tra uomini e donne imbavagliati, come se fosse normale.
Mi fa paura la paura che state incutendo alle persone, senza avere un minimo di equilibrio, di senso della misura. Mi fa paura che nessuno parli mai della fine di tutto questo. Mi fa paura quando leggo che il mondo è cambiato per sempre, mi fa paura che non parliate di soluzioni che siano diverse dalla richiusura. Mi fa paura che da 12 mesi ormai siamo in scacco di una malattia di cui nessuno conosce la reale pericolosità, sulla quale ci sono troppi dubbi, troppe ombre, troppi non detti.
Documenti secretati, silenzi, mezze verità, non mi fanno stare tranquillo. Il punto però non è questo.
Il punto è che mi fa paura che qualcuno quasi si diverta a generare paura. Mi fa paura che parliate ancora di chiusure, lockdown, di chiudere i negozi, i ristoranti, le scuole. Mi fa paura che piano piano ci si stia abituando alla paura, ci si stia abituando a non abbracciarsi, a non darsi la mano, a non vivere. E mi fa paura che respirare con un bavaglio in faccia, che copre bocca e naso, stia diventando normale. Siete voi a farmi paura“.
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A distanza da un anno dal primo lockdown, siamo ancora qui a confrontarci con chiusure più o meno generalizzate e con abitudini di vita e di lavoro che fatichiamo ancora a fare nostre. Ecco i nostri suggerimenti per la vostra remote life.
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
Diventano virali le foto di bambini in braccio a mamme e papà che dicono #ioleregololehorispettate contro la chiusura delle scuole che blocca le famiglie e della DAD fin dalle elementari. E quando i social non bastano arrivano i flash mob, come a Torino, per dar voce ai piccoli.
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
Le partite Iva scioperano a Roma. Nella Marca cortei di auto manifestano bloccando il centro, e i ristoratori scendono in piazza anche Genova.
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
Poi ci sono gli esperti della didattica a distanza: gli adolescenti e i giovani. I dati però trovano una forte correlazione tra la riduzione dei contatti non mediati da strumenti informatici e i disturbi alimentari. Anoressia e bulimia sono cresciuti del 30% nell’ultimo anno (fonte Ansa) e, già nel 2019 si contavano oltre 3000 decessi ogni anno a fronte di circa 3 milioni di persone che soffrono di questi disturbi (Fonte Mi Nutro di Vita, Giornata del Fiocchetto Lilla, 15 marzo).
Di qualcosa bisogna pur morire, dicevano i vecchi.
L’altra grande piaga sono i disturbi dell’ansia e i suicidi. Secondo l’Ordine degli Psicologi questa ondata lunga potrebbe portare ad un aumento di patologie legate alla salute mentale. I dati che arrivano dal Giappone non rassicurano: un aumento del 70% dei suicidi nelle donne, rispetto ai dati dell’anno precedente, nell’inverno del Covid-19. Chi per depressione, chi per difficoltà economiche, chi nelle carceri (61 suicidi nel 2020, il dato più alto degli ultimi 20 anni – Fonte Antigone), i numeri aumentano. Da tenere in considerazione anche i giovani: 700 mila minori, secondo il rapporto 2020 sul Reddito di Cittadinanza, che sono a rischio criminalità organizzata, esclusione sociale, isolamento e, in alcuni casi, si tolgono la vita.
Il Covid ci ha convinti che la vita non sarà più come prima, e attaccarsi strenuamente a questo porta solo ad incrementare la difficoltà di accettare una nuova situazione. Ma bisogna correre ai ripari e cercare di pianificare verso cosa stiamo andando, per avere almeno qualcuno ancora da salvare.
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