Che la tecnologia, e in particolare l’avvento di internet e la diffusione capillare degli smartphone, abbia rivoluzionato il nostro modo di comunicare è cosa ormai nota ed evidente.
Lungi da me schierarmi contro: sono una grande fan del progresso tecnologico e non guardo mai indietro pensando a “quanto si stava meglio quando si stava peggio”. Al contrario osservo con grande entusiasmo ogni novità e opportunità appena nata o lanciata. Mi piace stupirmi, mi piace immaginare quale sarà lo step successivo e le sue potenzialità, adoro fantasticarci su, pensare a quale possa essere l’impatto di questa nuova introduzione nelle nostre vite.
Ad esempio Facebook ha appena lanciato la sua criptovaluta e ho subito pensato che non mi sarei mai fidata; eppure 10 minuti dopo mi immaginavo a spendere soldi (o Libre in questo caso) tramite Facebook con assoluta naturalezza e a trovare strano l’utilizzo delle banconote old style. E’ stato così per internet, che abbiamo iniziato ad usare senza sapere bene per fare esattamente cosa, è stato così con gli smartphone e con i social network, che ci hanno trasformato tutti in comunicatori, anzi che ci hanno fatto scoprire di essere tutti dei comunicatori.
Negli ultimi anni abbiamo reinventato il primo assioma della comunicazione, gli abbiamo dato un nuovo significato. Per chi non lo conoscesse, ovvero per i non addetti ai lavori (chi ha studiato comunicazione lo ha ben saldo in mente e lo ripete come un mantra) il primo assioma della comunicazione dice: “Non si può non comunicare”. Però quando i 5 assiomi furono enunciati dalla Scuola di Palo Alto, era il 1967 e di certo non si contemplava nè immaginava Facebook, Twitter, Instagram, tag, geolocalizzazioni ecc… Si parlava di comunicazione pura e semplice, di interazione, di comunicazione verbale e non verbale, di sguardi ed espressioni, del fatto che anche non rispondere è una risposta di fronte a un interlocutore.
“Non si può non comunicare” non era, fino a qualche anno fa, un concetto semplice da spiegare; servivano esempi, riflessioni e infine si era sempre d’accordo; perchè è vero, è proprio così, ma non risultava immediato perchè non ci rendevamo conto di essere tutti comunicatori, volenti o nolenti. Per anni mi sono trovata a spiegare questo concetto basico della comunicazione a persone inizialmente scettiche e poco convinte. Se dicessi oggi alle stesse persone “Non si può comunicare” loro non avrebbero nulla da obiettare, ma probabilmente sbaglierebbero ad interpretare la frase e l’intenzione della Scuola di Palo Alto.
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Oggi non possiamo non comunicare nel senso che l’interazione, per lo più digitale, è un must. Siamo, però, comunicatori consapevoli (vogliamo esserlo). Comunicatori di noi stessi, dei nostri punti di vista, della nostra vita sempre più spettacolarizzata, con dinamiche acchiappalike e dinamiche, ahimè, a volte di pochezza rivelata. I social network sono un po’ come dei riflettori, ma il palcoscenico non fa per tutti.
Il punto non è adattarsi alle novità, ma imparare ad utilizzarle.
Faccio parte di una generazione a cavallo tra il nuovo e il vecchio modo di vivere e di comunicare. Abbiamo assistito al lancio dei primi cellulari sul mercato italiano, li abbiamo visti cambiare, rimpicciolirsi sempre più, poi crescere ancora, diventare a colori, poi touchscreen, poi riempirsi di app e trasformarsi in una sorta di computer tascabili. Da quel momento non abbiamo più saputo farne a meno. Da lì in poi è cambiato il nostro modo di comunicare, persino il significato stesso e il valore che diamo alla comunicazione. Tutto questo nel bene e nel male.
Il paradosso è che abbiamo iniziato a comunicare di più ma in luoghi diversi, per lo più digitali, a discapito della comunicazione tradizionale, quella a tu per tu. La tecnologia ci ha trasformato in comunicatori a distanza.
Siamo quelli che escono per godersi momenti di socialità e poi, seduti al tavolo con amici, stanno con il capo chino sullo smartphone, a chattare con altri amici o a scorrere sul feed di Facebook o Instagram, perdendosi buona parte della comunicazione: quella non verbale, che completa e impreziosisce la comunicazione verbale. Siamo diventati così: comunicatori distratti, con la luce dello schermo riflessa in viso.
Il futuro sarà la riscoperta dell’offline; portare ciò che nasce online fuori dalla rete, dare valore alla presenza. Ne sono sicura: è vero che ci sarà sempre più virtual reality, automazione ecc.. Ma io immagino già gli “aperitivi senza smartphone”, lo switch off vero nel weekend o in vacanza… la libertà dal digitale che ci ha conquistati e allo stesso tempo ci ha resi un po’ suoi schiavi. Ammettiamolo, è solo colpa nostra! La comunicazione ci è un po’ sfuggita di mano. Ci siamo entusiasmati e forse basterebbe, di tanto in tanto, aggiustare il tiro.
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