Contadini digitali: il ritorno alla terra nell’era della comunicazione 2.0

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Ho discusso di marketing, nuovi media, social e web2.0 con Daniele Pignone, giovane e talentuoso responsabile social media e brand manager di un’altrettanta giovane azienda agricola pugliese, Bio&Sisto. Questa azienda, che coltiva secondo i metodi biologici, e che pratica, attraverso una rete di punti di consegna diffusa nel raggio di 70km, la vendita diretta dei propri prodotti mi ha colpito per la sua capacità di innovare, creare relazioni autentiche sia on-line che off-line (Bio&Sisto organizza numerosi eventi e visite presso la propria sede), di auto-narrarsi ben sfruttando l’orizzontalità del web, e di superare le barriere rappresentate dall’intermediazione dei canali classici di vendita. Credo perciò che possano ben rappresentare un buon esempio di quale direzione abbiano preso le modalità di marketing e di come il discorso possa ampliarsi dalla vendita fino allo <<stare al mondo>> di un’azienda oggi.
1383941_565761283496907_701941263_nCi sono alcuni elementi chiave che sono emersi nella chiacchierata fatta con Daniele, e che contribuiscono a definire elementi utili soprattutto a descrivere un approccio innovativo alla tradizione, visto che l’agricoltura è una delle attività umane più antiche, e che ci aiutano a mettere meglio a fuoco una figura lavorativa come quella del brand manager ai tempi del web 2.0
Come prima cosa ho chiesto a Daniele di provare a definire il suo lavoro come se fosse un tweet, e questo è quello che mi ha risposto, rigorosamente in meno di 140 caratteri: “Prendo per mano i brand e li accompagno nel mondo del web aiutandoli a raccontarsi e a co-costruire relazioni”.
Detto questo però, vediamo un po’ di fornire qualche maggiore elemento rispetto al contesto in cui opera: il lavoro di Daniele Pignone, e di Bio&Sisto, si inserisce in un rinnovato interesse verso la produzione agricola e le sue dinamiche. Ne sono testimoni la diffusione di blog tematici, i numerosi eventi dedicati all’agricoltura e al mangiare sano, la spontanea condivisione sui propri canali social di notizie legate al benessere e ai stili di vita salutari e semplici. Sempre più spesso appaiono riferimento ad un diffuso desiderio di <<ritornare alla terra>>, di riscoprirne i valori, anche come risposta ad una crisi generale e come volontà di riappropriarsi di un proprio passato recente. Ma, al di là dei cambiamenti che riguardano gli aspetti più propriamente tecnici del lavoro contadino, quali sono quelli che invece riguardano come quel mondo si relaziona con clienti e consumatori? Quindi la prima domanda che faccio a Daniele è questa: dal tuo punto di vista privilegiato, come si spiega questo desiderio di <<tornare alla terra>>?1969116_639912689415099_1131504868_n
“Esistono una serie di motivazioni. Innanzitutto si sta rimettendo in discussione un sistema produttivo agricolo che ha finito per avere come unico obbiettivo il massimo sfruttamento possibile di un territorio, stravolgendo un sistema valoriale antichissimo e non generando per il piccolo produttore un ritorno economico adeguato. Esistono perciò le condizioni per cui si ripensino finalmente le logiche di produzione e distribuzione, accanto ad un’oggettiva necessità, specie per i più giovani, di trovare nuove possibilità occupazionali. Più in generale, l’innovazione tecnologica sta rendendo l’agricoltura, e in qualche modo la figura stessa del coltivatore, più attraente perché è possibile oggi, attraverso ad esempio nuove forme di distribuzione e con l’ausilio delle nuove tecnologie, anche aumentare da un lato i propri margini di profitto e dall’altro ritrovare una riconoscibilità sociale e un apprezzamento del proprio lavoro”.
Quelle modalità di dis-intermediazone proprie del web 2.0, se applicate alla relazione produttore-consumatore consentono, quindi, in maniera estremamente concreta per chi le sa utilizzare, di scavalcare, ad esempio, il ricatto della grande distribuzione e dei vari livelli di intermediazione che si arricchiscono del lavoro altrui e che così poche risorse lasciano a colori i quali stanno all’inizio della filiera.
10153812_650330851706616_8573504421332541989_nÈ chiaro quindi che nella cassetta degli attrezzi devono perciò entrare non solo nuovi strumenti del lavoro nei campi, che contribuiscono a migliorare la qualità dei propri prodotti, ma anche quelli che permettono di rendere il suo lavoro più gratificante e soddisfacente. Una figura che emerge nel racconto di Daniele è quella del cosiddetto <<contadino digitale>>. Chiedo direttamente a lui di darmi una definizione di questa figura.
Chi è il contadino digitale? “E’ il protagonista di un cambiamento, di un nuovo approccio alla terra, all’agricoltura, alla vita. Il contadino digitale stufo di essere assoggettato alle dinamiche e ai voleri delle grandi aziende alimentari, della grande distribuzione della filiera lunga e di tutte queste parolacce, un giorno ha deciso di andare verso il proprio campo con in una mano la zappa (quella del nonno) e nell’altra il tablet, per poter raccontare il proprio lavoro mediante il mezzo più orizzontale che ci sia: internet.”
Come utilizza gli strumenti offerti dal web il contadino digitale? “Il contadino digitale ha poi scelto di vendere i propri prodotti direttamente, senza intermediari di alcun tipo, perché così il proprio lavoro viene retribuito meglio e perché può offrire prodotti migliori e più sani a costi anche più bassi della regolare grande distribuzione. E lo fa sia fisicamente in campagna quando i suoi amici lo vanno a trovare e sia sul suo sito e-commerce (si, il contadino digitale ha un sito internet e persino un blog) dove gli amici di facebook, i follower di Twitter e Instagram possono, con un semplice click, fare la spesa per la settimana.”1982202_641196562620045_1132575401_n
L’esperienza con un’azienda agricola finisce per diventare perciò non solo esclusivamente legata alla compravendita di un prodotto, ma alla condivisione di una visione della propria vita e dei propri modelli di consumo, in relazione al territorio e a chi lo abita. La narrazione digitale, ad esempio attraverso le pagine dei social media, diventa quindi cruciale nella costruzione di un’immagine autentica del proprio operato.
Un esempio molto interessante che mi fa Daniele, e che va proprio a sostegno della necessità di non limitare il suo lavoro a trovare strategie per vendere più carciofi o salsa di pomodori, è quello di Vittoria. Un’utente molto attiva della pagina facebook di Bio&Sisto che, emigrata dalla Puglia in Veneto, ha trovato nei racconti digitali di questa azienda una modalità per mantenere vivo il proprio legame con la terra d’origine. Materialmente non può acquistare i prodotti, perché non raggiunta dalla vendita diretta messa in campo da Bio&Sisto, ha costruito nel tempo un legame affettivo con questa realtà lontana geograficamente, ma molto vicina da un punto di vista sentimentale. Finendo per condividerne costantemente i valori espressi e la filosofia di lavoro, anche con i propri contatti. Questo perché “la cosa che ci siamo sempre proposti” dice Daniele “è quella di non essere produttori di solo ortaggi o frutta ma produttori di cultura, di legami, di idee per uno sviluppo sostenibile”.
Mi permetto di banalizzare il ragionamento: i miei carciofi, se cambio modalità di lavoro e divento un contadino digitale, saranno buoni innanzitutto perché li coltivo in modalità biologica, rispettando la natura e riducendo l’impatto delle mie attività, ma saranno più buoni perché rappresentano il mio modo concreto di contribuire al miglioramento dell’esistente, perché saranno l’occasione per creare relazioni umane che mirano a condividere modelli di vita più rispettosi dell’ambiente e attenti al benessere di tutti, non solo al mio profitto.
981898_500345766705126_297654122_oA questo punto, credo sia chiaro che, in un contesto in cui ciascuno di noi diventa un creatore e un veicolo di messaggi significativi, in cui le relazioni tra persone si sono amplificate alla massima potenza, chi si occupa di gestire la comunicazione di un brand ha una grande responsabilità. Sono curioso perciò di capire meglio, come si svolge oggi il lavoro del brand manager?
“Oggi, grazie al web, qualsiasi brand deve confrontarsi con il fatto che la propria immagine pubblica non è più sotto il proprio esclusivo controllo, ma si compone certamente delle campagne e dei messaggi generati dal marchio, ma anche di tutte le opinioni di tutti quegli utenti che si documentano, si informano, ma che soprattutto condividono il proprio punto di vista e rendono pubbliche le proprie ricerche. Quindi oltre alla necessità di controllare e gestire a tutti i livelli questi diversi universi comunicativi e quello di essere il più possibile trasparenti e onesti nel proprio raccontarsi online, l’altro elemento di novità che influenza in maniera positiva il mio lavoro è che sul web ciascuna azienda ha (almeno in potenza) le stesse possibilità di far arrivare a chiunque il proprio messaggio. Le piccole aziende raccontano quello che fanno, come lo fanno, con la massima trasparenza possibile.”
E questo poi ha delle dirette conseguenze con quello che è il mondo off-line di un’azienda: come dicevamo, il modo stesso di produrre, la relazione con il territorio e con la propria comunità devono corrispondere al racconto che avviene on-line sui canali web, pena una colossale e tragica perdita di credibilità. “Ogni brand, dal più piccolo al più grande, deve lavorare oggi costantemente e in maniera coordinata tra off-line e on-line, anche perché entrambe gli aspetti si influenzano a vicenda.” Oggi più che mai, ad una buona comunicazione deve corrispondere un buon prodotto, ad ogni racconto di un valore deve accordarsi un concreto miglioramento nei processi produttivi.1960049_637897549616613_1024010086_n
Un termine che inizia ad essere sempre più diffuso oggi proprio in relazione ai cambiamenti nell’ambito del marketing è quello di societing: cosa sta ad identificare per te? “È un nuovo approccio al marketing, in cui il valore non è più esclusivamente riferito al mercato ma alla capacità di incidere sul proprio territorio di riferimento. Le aziende stanno iniziando a capire di far parte di un contesto più ampio, che comprende non solo gli aspetti economici ma anche quelli sociali e ambientali, e che possono (o meglio devono) essere uno degli attori di un più generale processo di miglioramento delle condizioni generali.”
La responsabilità d’impresa è perciò uno di quei valori primari che vengono valutati dai consumatori e che influenzano le loro decisioni. Siamo tutti in fondo alla ricerca, anche nelle scelte che facciamo al momento dell’acquisto, di una sorta di adesione e identificazione con un sistema valoriale a cui ciascuno sente in una certa misura di appartenere. Una bella sfida insomma, tutta da affrontare per chi vuole continuare ad essere competitivo oggi: sapere coniugare sempre alla capacità di innovare la propria offerta, quella di costruire, con gli strumenti della comunicazione digitale, un proprio ruolo attivo nel cambiamento che tutti, a livelli diversi, ci aspettiamo di vivere da protagonisti.

Hai letto fino qui? Allora questi contenuti devono essere davvero interessanti!

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Gianluca Sciannameo
Giornalista pubblicista e critico cinematografico, laureato al Dams di Bologna e con un master in Comunicazione sociale e sanitaria presso l’università di Bari. Da un decennio si dedica allo studio del patrimonio documentaristico italiano, sul quale ha pubblicato le monografie Con ostinata passione. Il cinema documentario di Cecilia Mangini (Dal Sud, 2011) e Nelle indie di quaggiù. Ernesto De Martino e il cinema etnografico (Palomar, 2006) oltre ad alcuni saggi e articoli. Esperto di produzione low-budget, autore di documentari sociali e lavori di video-documentazione, ha conseguito la specializzazione come producer di documentari. Svolge attività di promozione e organizzazione culturale, è formatore in laboratori di cinema e fotografia nelle scuole, e come professore a contratto, ha insegnato nei corsi di cinema dell’Università della Basilicata e dell’Università di Bari. Nel 2011 ha co-fondato l’Associazione Comunicareilsociale.it