“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza”. Lorenzo de’ Medici lo scriveva nel XV secolo, eppure queste parole, oggi, suonano più attuali che mai.
Per le giovani generazioni, l’idea che il futuro sia incerto non è solo una questione filosofica, ma una realtà concreta. Pensioni incerte, carriere sempre più fluide, una qualità della vita spesso sacrificata sull’altare della produttività. Dinanzi a questo scenario la domanda che sorge è: “perché allora aspettare i 70 anni per godersi il tempo libero?” È proprio su questo interrogativo che nasce il concetto di micro-retirement (Fonte: AdnKronos).
L’espressione è stata coniata nel 2007 da Timothy Ferriss nel suo libro The 4-Hour Workweek, ed è diventata il manifesto di una nuova mentalità: lavorare non deve essere un’eterna corsa verso il pensionamento, ma un percorso intervallato da pause strategiche.
In pratica, ogni tre o quattro anni, invece di proseguire senza sosta sulla lunga strada verso la “pensione”, ci si prende un periodo di pausa per viaggiare, dedicarsi a progetti personali o semplicemente rallentare. Una scelta che non è sinonimo di ozio, ma di consapevolezza: il tempo è l’unica risorsa davvero non rinnovabile.
Non è un caso che sia proprio la Generazione Z la più incline a questo nuovo trend. Hanno visto proprio sotto i loro occhi lo sgretolarsi di un paradigma che per anni è sembrato inscalfibile: studio (anche senza 3 master e conoscenza di 4 lingue), lavoro stabile (e ben pagato), pensione (in tempi umani e ben retribuita). Paradigma che ha funzionato molto bene per i Baby Boomer, per la Generazione X e contro il quale i Millennials si sono scontrati malamente. Loro, i Gen Z, hanno assistito allo schianto e hanno deciso di fare inversione di marcia.
In un mondo in cui non ci sono più certezze, il lavoro è tutt’altro che definitivo, gli stipendi non crescono da anni e il concetto stesso di pensione è totalmente da riscrivere, il micro-retirement si presenta quindi come un’alternativa concreta per migliorare la qualità della vita mentre si è ancora giovani e in salute e magari, evitare anche stress e burnout non giustificabili. Il lavoro passa dall’essere il fine al mezzo attraverso il quale costruire esperienze e dare valore al tempo.
Questa filosofia si sposa perfettamente con una nuova mentalità, non più figlia della produttività a tutti i costi, ma di chi ha interiorizzato i cambiamenti della società e non vede più la carriera come una strada obbligata e lineare, ma come un percorso fatto di tappe, deviazioni e pause consapevoli. Sono loro che dettano le condizioni, non viceversa.
Certo, il micro-retirement non è privo di sfide. Una su tutte quella economica.
E’ facile potersi permettere stacchi lavorativi se si hanno le cosiddette “spalle coperte”. Richiede senza dubbio buona pianificazione finanziaria, capacità di negoziazione con datori di lavoro o la volontà di crearsi una carriera autonoma e flessibile.
Ma a fronte di questi ostacoli, il guadagno è indubbio: una vita in cui il tempo non è solo un intervallo tra un lavoro e l’altro, ma una risorsa da vivere pienamente. E su questo aspetto i Gen Z possono contare su numerose testimonianze (social) di coetanei che vivono la vita in maniera più flessibile facendo anche lavoretti saltuari tra uno stacco e l’altro.
Forse i giovani di oggi non hanno certezze sul futuro, ma hanno ben chiaro un punto: di doman non v’è certezza. Meglio, dunque, iniziare a vivere adesso. E le aziende dovranno tenerne conto.