Lo scorso 27 luglio è stato respinto dal Senato l’emendamento sul linguaggio inclusivo che proponeva di introdurre i femminili professionali sugli atti ufficiali e nella comunicazione istituzionale di Palazzo Madama.
L’emendamento è stato proposto dalla senatrice Alessandra Maiorino per consentire la “distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche; ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”.
Con il no espresso dal Senato, la presidente, la ministra e la parlamentare dovranno essere declinate al maschile e la motivazione di tale scelta è da rintracciare in “una questione di etica e di coscienza”, così come dichiarato a seguito della decisione. Dunque, in Senato ci si rifà al maschile sovraesteso per indicare entrambi i generi che ricoprono una carica.
Questo scenario alimenta il dibattito sulla questione linguistica, mostrando i problemi legati all’uso dei femminili e le diverse resistenze messe in atto nei confronti della lingua stessa. I problemi ovviamente sorgono per i femminili professionali che fanno riferimento a ruoli di prestigio o cariche istituzionali e non per i lavori medi percepiti come normali.
Maestra e infermiera vanno bene, senatrice e ministra no. Nella maggior parte dei casi, il problema è sul come si percepisce il femminile nella società e non nel femminile della parola.
Risulta illuminante a tal proposito “Femminili Singolari – Il femminismo è nelle parole” di Vera Gheno, edito da Effequ nel 2019.
Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in comunicazione digitale e traduttrice dall’ungherese, insegna all’Università di Firenze, ha lavorato per lungo tempo per l’Accademia della Crusca e attualmente collabora con la casa editrice Zanichelli. Si occupa di lingua dei social e delle dinamiche linguistiche sui social e per questo motivo si definisce “social-linguista”.
Attraverso Femminili Singolari, l’autrice cerca di rispondere alle critiche più conservatrici dell’opinione pubblica, proponendo la tesi della lingua come fluida e che cambia in base ai parlanti e alle necessità. Si concentra sui femminili professionali e su tutte le critiche e le resistenze mosse ogni qual volta si tende a modernizzare il linguaggio, rendendolo più inclusivo.
Femminili Singolari
Il Femminismo è nelle parole
Autore: Vera Gheno
Editore: Effequ Editori
Anno: giugno 2019
Pagine: 216
Isbn: 9788898837663
Prezzo: € 15,00
Per Vera Gheno è importante la conoscenza e da un punto di vista sociale è fondamentale anche imparare a ricondividerla. Il suo libro, che si rivela essere un saggio di divulgazione scientifica a tutti gli effetti, è ricco di tanti spunti di riflessione, di esempi e di spiegazioni grammaticali utili a fornire gli elementi per avere accesso al tema dei femminili con consapevolezza e imparare a relazionarsi con la resistenza. L’autrice ci ricorda che il maschile non è neutro, che il neutro in italiano non esiste e che esiste il maschile sovraesteso.
Leggendo il libro ci si rende conto della percezione del femminile all’interno della società e della tendenza all’effetto Dunning-Kruger, ovvero la presunzione di sopravvalutare le proprie conoscenze rispetto a un tema, in questo caso linguistico, e a esprimersi su argomenti in modo superficiale, aggressivo e senza relativizzare.
Per una maggiore chiarezza in fatti di grammatica, in Femminili Singolari ritroviamo uno specchietto utilissimo che ci ricorda le diverse declinazioni di genere dei sostantivi.
Innanzitutto si distingue il genere grammaticale degli oggetti inanimati da quello delle persone e degli animali. Se per gli oggetti inanimati il genere del sostantivo non si collega alle caratteristiche dell’oggetto che denota, per gli esseri animati il genere grammaticale corrisponde al genere semantico, dunque si collega al sesso dell’animale o della persona che la parola indica.
Chiameremo il tavolo al maschile indipendentemente dalle questioni semantiche, invece presteremo attenzione a come indicare una persona in base al genere semantico che la rappresenta.
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Durante le ferie cerchiamo di rilassarci e di vivere esperienze nuove e il libro in questo senso rappresenta un valido alleato: riduce lo stress, apre la mente, ci distoglie dal pensare a problemi e incombenze.
In quest’ottica, Vera Gheno ci segnala quattro tipi importanti di coppie di sostantivi maschili e femminili:
- i sostantivi di genere fisso – in cui il maschile e il femminile sono indicati con parole diverse (madre/padre)
- i sostantivi di genere promiscuo – esiste un unico sostantivo a cui si aggionge maschio/femmina (la femmina del tasso/il maschio del tasso)
- i sostantivi di genere comune – hanno il maschile e il femminile uguale, cambia solo l’articolo (il docente/la docente, la farmacista/il farmacista)
- i sostantivi di genere mobile – il femminile e il maschile sono espressi tramite la desinenza (gatto-gatta, attore-attrice, revisore-revisora)
[Vera Gheno, Femminili Singolari Il Femminismo è nelle parole, Effequ, 2019, pag. 49]
Rispetto a parole come senatrice, ministra, ingegnera, architetta e tutte quelle forme femminili che nei mestieri suonano strane, non è corretto parlare di neologismi e Vera Gheno parla di forme dormienti:
“Da un punto di vista linguistico, i femminili ‘inediti’ sono forme previste dal sistema dell’italiano, che fino a tempi recenti erano come rimaste ‘dormienti’ perché non servivano. Dunque forse è proprio fuorviante pensarli come neologismi: dronista, pilota di droni, è un neologismo, come lo era, a suo tempo, spoilerare, ‘svelare un particolare essenziale della trama di un film, un romanzo, una serie tv, rovinando al lettore/spettatore il piacere della sorpresa. Ingegnera mi sembra un caso diverso dato che, in potenza, quel femminile è sempre esistito come infermiera. Solo che, mentre c’erano da sempre le infermiere, fino a tempi recenti hanno scarseggiato le ingegnere.”
(Vera Gheno, Femminili Singolari Il Femminismo è nelle parole, Effequ, 2019, pag. 52)
Oggi la presenza delle donne in determinati ambiti lavorativi e in diversi settori non rappresenta più un’eccezione ma è diventata la norma.
Tra le opposizioni che vengono fatte sull’uso dei femminili si ritrovano commenti del tipo “sono cacofonici, inutili e brutti.” L’estetica non è un parametro di giudizio per l’acquisizione delle parole, la lingua cambia e si evolve seguendo i cambiamenti della realtà.
“Nomina sunt consequentia rerum – i nomi sono conseguenza delle cose”
“Succede che ciò che non viene nominato tende a essere meno visibile agli occhi delle persone. In questo senso, chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio, ma il riconoscimento della loro esistenza […]. E pazienza se ad alcuni le parole ‘suonano male’: ci si può abituare. Pazienza anche se molti pensano siano solo sciocche velleità: le questioni linguistiche non sono mai velleitarie, perché attraverso la lingua esprimiamo il nostro pensiero”
(Vera Gheno, Femminili Singolari Il Femminismo è nelle parole, Effequ, 2019, pag. 17)
Le inclinazioni, i giudizi e i pregiudizi sono naturali, ma dovrebbero rappresentare il punto di partenza e non di arrivo. Dovrebbero aiutare a costruire un pensiero più avanzato per non perdere la complessità: imparare a pensare alla lingua come lo specchio della società e non come un qualcosa di astratto. Approfondire quello che comporta l’adozione o meno di una parola significa prendere parte alla società e contribuire al suo cambiamento con il linguaggio. Riconoscere i femminili singolari significa accettare le nuove posizioni che le donne hanno preso all’interno della società e del mondo del lavoro. Chiamare le donne che fanno un certo lavoro con dei sostantivi femminili serve a riconoscerne l’esistenza.
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