L’autunno (e settembre in particolare), è il periodo delle ripartenze e dei buoni proposito. Dopo le vacanze estive si ricomincia più carichi, (forse), intenzionati ad attuare tutti quei comportamenti che potrebbero portarci benefici, e che nel periodo estivo abbiamo abbandonato.
La dieta è probabilmente uno dei primi “to do” della lista per molti.
Ma dieta non è solo sinonimo di dimagrimento, ma anche e soprattutto, di benessere fisico. E se si potesse unire il benessere personale a quello dell’ambiente?
Cos’è il consumo sostenibile
Oltre a richiedere un comportamento sostenibile da parte dell’impresa, il consumatore dovrebbe esigere altrettanto da sé stesso.
Nell’obiettivo numero 12 dell’Agenda 2030 (programma ideato nel 2015 dalle Nazioni Unite per la salvaguardia del pianeta), si specifica che ogni anno, nel mondo, 1,3 miliardi di cibo vengono sprecati, ovvero il 30% della produzione globale.
Il settore alimentare, inoltre, è responsabile del 22% delle emissioni gas a effetto serra, che ha ricadute negative sull’ambiente e sulla salute.
Cosa può fare il consumatore?
Spesso si pensa che acquistare un prodotto definito “green” sia sufficiente. Non è così.
Nella convinzione generale si ritiene che, nella catena produttiva, sia la trasformazione industriale ad avere il peggiore effetto inquinante. In realtà, la produzione agricola e l’allevamento hanno addirittura un impatto maggiore, così come risulta importante l’impatto determinato dalla fase di consumo, nella quale il nuovo consumatore deve assumere un ruolo attivo.
Nel libro “Il cibo perfetto. Aziende, consumatori e impatto ambientale del cibo” Ed. Ambiente, 2022, gli autori Marino e Pratesi, evidenziano gli errori comuni nei quali il consumatore, se pur in buona fede, incappa, invitandolo a riflettere:
- Prodotti km zero: nell’immaginario collettivo prodotto a km zero equivale a dire prodotto a basso impatto ambientale. A volte però si tratta di una visione semplicistica: se si considera la quantità di merce trasportata da un grande tir (che comunque ha un’elevata emissione di CO2), l’impatto singolo di ogni pezzo potrebbe essere inferiore rispetto a quello della macchina del contadino che si sposta molte volte portando pochi pezzi. Nel libro degli autori viene riportato un chiaro esempio, coltivare fragole in Svezia richiederebbe un costo energetico per le serre che le renderebbero più impattanti rispetto alle fragole coltivate in Romagna e trasportate via camion;
- Cottura dei cibi: si vocifera molto negli ultimi tempi della cottura della pasta a fuoco spento, come affermato dal Premio Nobel per la Fisica 2021, Giorgio Parisi. Questo perché la cottura richiede ovviamente energia elettrica. L’indicazione generale è quella di cuocere nella minor quantità possibile di acqua utilizzando il coperchio per ridurre i tempi, un’attenzione che potrebbe ridurre l’impatto ambientale di circa il 10%;
- Occhio allo spreco: l’educazione al consumo è la giusta via per evitare gli sprechi. Si stima che in Italia, il cibo sprecato sia corrispondente all’8% della produzione complessiva, e la maggior parte avviene proprio tra le mura domestiche.
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Se vogliamo ripartire come individui e come collettività dobbiamo cercare di prendere piena consapevolezza di noi stessi per esprimere il nostro massimo potenziale e vivere una vita piena.
La sostenibilità a tavola
A partire dagli anni ’80 la FAO ha promosso la relazione innovativa fra dieta e sostenibilità, definendo le diete sostenibili come “diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale, nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane”.
Da allora i programmi alimentari internazionali hanno cercato di individuare i principi guida per i migliori regimi alimentari. In particolare spicca la Dieta Mediterranea, considerata una delle migliori al mondo, non solo dal punto di vista nutrizionale.
Nel 2010 l’UNESCO l’ho inserita di diritto tra i patrimoni culturali immateriali dell’umanità, “la dieta mediterranea rappresenta un insieme di competenze conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le culture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo”. Viene riconosciuto a questa tipologia di dieta la capacità di creare delle conoscenze intorno al consumo.
La doppia piramide dell’impatto ambientale
Per comprendere la relazione tra dieta e impatto ambientale, nel 2010 il Barilla Center for Food and Nutrition, ha creato la rappresentazione grafica della piramide alimentare rovesciata: quest’ultima mostra come tutti i cibi più salutari per l’uomo corrispondano anche ai cibi che hanno il minore impatto ambientale. I cibi per i quali è consigliato un consumo moderato (come carni e formaggi), hanno un impatto ambientale maggiore, rispetto ad alimenti come frutta e verdura.
L’esempio è stato seguito, nel 2013, dalla Coop Italia, con la “clessidra ambientale”, in cui mostra il rapporto fra la sostenibilità delle loro carni bovine.
L’intento delle rappresentazioni grafiche è quello di rendere consapevoli i consumatori non solo nell’atto dell’acquisto, ma proprio nell’atto del consumo.
Comprendere che il nostro benessere è legato anche alle scelte compiute a tavola è fondamentale, e per gli italiani, definiti popolo dalla buona forchetta, non è un aspetto da trascurare.
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