Raffaello Castellano (533)
È un settore che muove 443.458 aziende, pari al 7,3% dell’economia italiana; i lavoratori impegnati in queste imprese sono 1,4 milioni e rappresentano il 5,8% dell’economia italiana; il valore generato da questo settore è di 80 Miliardi di euro, ossia il 5,7% dell’intera economia nazionale; inoltre il settore in questione vanta un moltiplicatore pari a 1,67 euro, ossia per ogni euro investito ne vengono generati 1,67, quindi agli 80 miliardi si aggiungono 134 miliardi di euro, per un totale di 214 miliardi di euro (pari al 15,3 % dell’economia italiana) e tutti questi dati si riferiscono al 2013, un anno che, a causa della crisi, ha visto una forte contrattura degli investimenti.
Ma di quale settore produttivo stiamo parlando?
Del manifatturiero? No. Dell’industria pesante? Neanche. Dell’agroalimentare? Neppure.
Il settore che vanta queste performance di tutto rispetto, soprattutto in un periodo di recessione, è la Cultura; ho scritto appositamente questo termine con la lettera maiuscola per marcarne l’importanza.
Questi dati e queste cifre emergono prepotentemente dal Rapporto Annuale 2014 “Io sono Cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere, che in poco meno di 300 pagine fotografa, anzi fa una radiografia, un settore che, nonostante questi numeri impressionanti, potrebbe fare ancora meglio, se la politica, ma anche noi cittadini comuni, gli riconoscessimo l’attenzione e l’importanza che merita.
Ma adesso facciamo un salto alla strettissima attualità. Questo 2015 è cominciato con l’attentato a Charlie Hebdò e continuato con l’ISIS che, occupando la Libia, sta bussando a suon di armi, attentati e propaganda alle porte dell’Europa, anzi dell’Italia, vista la sua dislocazione strategica nel Mediterraneo.
Stiamo tutti quanti assistendo ad un fenomeno che presenta due facce: da una parte abbiamo l’Islam, integralista e non, che si rafforza sempre più, non solo con le armi ma attraverso un processo che possiamo definire “identitario”. L’identità dell’Islam e di tutti i paesi mediorientali non è mai stata così forte come lo è oggi, o almeno lo è per noi “spettatori” occidentali.
L’altra faccia della medaglia è la perdita di “identità” dell’Occidente: mai come in questo inizio di millennio l’Occidente si è dimostrato fragile ed immaturo, pensiamo agli attentati dell’11 settembre, che qualcuno ha definito come un’invasione barbarica ai danni dell’America.
L’Occidente, che sembrava dovesse cavalcare per sempre la Globalizzazione, sta perdendo potere, anzi è stato già disarcionato. Un tempo, non troppo lontano, i paesi in via di sviluppo, e non solo quelli africani, sognavano di vestirsi all’occidentale, di mangiare all’occidentale, di bere all’occidentale, di vivere all’occidentale; oggi, apprendiamo con stupore che due ragazzi francesi, quindi degli occidentali, di seconda generazione diventano jihadisti e compiono efferati attentati. Che cosa è successo?
Una possibile risposta è che nella smania di conquistare il mondo, di egemonizzarlo, di globalizzarlo, tutti i Paesi occidentali hanno dimenticato di coltivare, curare e far prosperare i propri “valori” all’interno dei propri confini nazionali. E qual è il miglior fertilizzante per coltivare questi valori e questo bisogno di identità se non la cultura, l’unico comune denominatore che ha permesso a tutti i Paesi Occidentali, e soprattutto all’Italia, di diventare non solo esempi e pietra di paragone, ma pure l’invidia del resto del mondo?
Quindi, per tornare alle cifre ed ai numeri con cui ho aperto questo “pezzo”, noi dobbiamo assolutamente nutrire la nostra identità attraverso la cultura, ricordandoci che la cultura è sì il nostro immenso patrimonio artistico ed i nostri 50 siti Unesco, ma la cultura è anche l’ultimo libro che abbiamo letto, cultura è il vestito che indossiamo, cultura è il cibo che mangiamo, cultura è l’ultimo film che abbiamo visto, cultura è l’ultimo concerto al quale siamo andati, la cultura sono Arnoldo Foà, Claudio Abbado, Virna Lisi, Francesco Rosi, Carlo Mazzacurati, Francesco Di Giacomo, Cesare Segre, Giorgio Faletti, Mango, Pino Daniele (solo per citare alcuni italiani illustri che ci hanno lasciato di recente).
La Cultura, quella con la “C” maiuscola, insomma, è parte fondamentale di ogni aspetto della nostra vita, anche di quello economico, e noi italiani dovremmo smetterla di provare quasi vergogna se decidiamo di farne l’asset economico-finanziario dal quale ripartire e sul quale progettare il nostro futuro.
Noi di Smart Marketing ci crediamo, la cultura ci ricorderà chi siamo e quale è il ruolo che ci compete, come Italia, come Europa, come Occidentali.