Raffaello Castellano (532)
“Leggendo quest’autore, veniamo vissuti da pulsioni che non riusciamo a controllare e veniamo letti da opere a cui non riusciamo a resistere. Dobbiamo sforzarci di leggere Shakespeare con tutta l’attenzione possibile, pur sapendo che i suoi drammi leggeranno noi con forza ancora maggiore. Ci leggeranno fino in fondo.”
È con queste parole che il più grande critico letterario contemporaneo, Harold Bloom, apre il suo saggio “Shakespeare. L’invenzione dell’Uomo” (BUR, Milano, 2001), uno degli studi più autorevoli sul pensiero del grande bardo ed insieme una delle dichiarazioni d’amore più incondizionate mai scritte da un critico.
Ma perché quest’autore è così importante per noi?
Perché i suoi drammi, le sue commedie, le sue poesie continuano ad affascinarci ed avvincerci come poche altre?
Perché i suoi personaggi sono immortali e universalmente riconosciuti al pari, e forse di più, dei grandi iniziati e profeti delle religioni mondiali?
Perché le sue opere sono ancora così estremamente contemporanee, a distanza di 400 anni dalla morte del loro autore?
Bloom, dall’alto della sua autorevolezza e competenza, cerca di rispondere, senza riuscirci completamente, come dichiara lui stesso, in un saggio di 560 pagine, quindi non mi cimenterò neanche per un attimo a cercare di rispondere a queste domande nello spazio limitato di questo editoriale, ma proporrò, come mia abitudine, solo delle suggestioni che i nostri lettori potranno approfondire e/o verificare leggendo sia il testo di Bloom che, e sarebbe meglio, le opere di Shakespeare stesso.
Ho conosciuto e poi letto per la prima volta Shakespeare abbastanza tardi, avevo 20 anni o giù di lì, e fu non leggendo le sue opere, ma, come spesso è accaduto nella mia vita, attraverso la visione di un film.
Fu l’“Amleto” (USA, Francia, Gran Bretagna, 1990) di Franco Zeffirelli a folgorarmi sulla via di Damasco. Avevo visto il film perché nelle vesti del protagonista vi era un giovane attore di film d’azione che allora era in forte ascesa, tale Mel Gibson, che fra “Arma letale 2” e “Arma letale 3” si cimentò con la prova più impegnativa per un qualsivoglia attore, interpretare il giovane principe di Danimarca tormentato dai dubbi: Amleto.
Un cast stellare contornava il giovane Gibson, attori come Glenn Close, Alan Bates, Paul Scofield, Ian Holm e Helena Bonham Carter, che rendevano ancora più impegnativa l’interpretazione di questo ruolo, nel quale comunque Gibson dette buona prova di sé.
Immediatamente andai a comprare alcuni testi teatrali di Shakespeare e mi misi a leggerli avidamente, scoprendo che molti modi di dire, di rappresentare le virtù e le miserie umane, le stesse personalità erano chiaramente di derivazione “shakespeariana”, insomma non avevo ancora letto il saggio di Bloom ma avevo intuito, anche io, che in qualche maniera il grande drammaturgo inglese non aveva creato dei semplici personaggi, ma delle vere e proprie personalità universali, meglio ancora, dei veri e propri archetipi.
Insomma, in un certo senso e come afferma lo stesso Bloom nel suo saggio, Shakespeare ci ha letteralmente inventato come essere umani; uso il termine letteralmente nelle sua doppia accezione, sia nel senso che Shakespeare ha inventato l’umano dal punto di vista “letterario”, sia perché lo ha fatto “materialmente”, scrivendoci come autentici “esseri umani”.
Senza di lui, senza di Shakespeare, noi forse non esisteremmo, o almeno non saremmo ciò che siamo.
Bloom arriva a dire nel suo saggio che “Amleto è l’unico rivale laico dei grandi precursori della personalità. Come loro (ndr. Yahweh, Gesù, Allah), non sembra essere solo un personaggio letterario o drammatico. Il suo effetto generale sulla cultura mondiale è incalcolabile. Dopo Gesù, Amleto è la figura più citata nella coscienza occidentale; nessuno lo prega, ma nessuno riesce ad evitarlo a lungo”; e noi non possiamo che concordare con la sua tesi.
Ecco perché questo numero di Smart Marketing, “Shakespeare: l’umano né più né meno”, è dedicato alla figura ed al pensiero di Shakespeare, ed oltre a raccogliere i contributi dei nostri collaboratori è impreziosito dalla bella copertina dell’artista Dario Agrimi che, attraverso un ironico autoritratto, gioca e scandaglia le nostre certezze sul concetto di personalità, rammentandoci forse che noi siamo ciò che siamo anche grazie al grande bardo.
Quindi vi lascio alla lettura del nostro magazine ed a quella delle opere di Shakespeare, che hanno contribuito non poco alla nascita di concetti come occidente, universale, europeo e personalità, contributi ancora più importanti se pensiamo che sono nati dalla cultura inglese, quella stessa Gran Bretagna che, ironia della sorte, il 23 giugno prossimo, attraverso un controverso referendum, deciderà se essere ancora europea o no.
L’invito migliore e più profondo a riscoprire l’attualità di Shakespeare mi è stato suggerito come al solito da un film: “Riccardo III. Un uomo, un Re” (USA, 1996) di e con Al Pacino, uno strano making of che, attraverso interviste, messe in scena e esplorazioni storiche ci racconta quanto sia fondamentale il pensiero del drammaturgo inglese. Ebbene, la dichiarazione più importante ci viene da un barbone che, intervistato da Al Pacino, dice: “Dovremmo parlare come Shakespeare! Dovremmo far studiare Shakespeare in tutte le scuole! E sai perché? Perché allora i giovani avrebbero dei sentimenti, noi invece non li abbiamo, è per questo che è così facile prendere una pistola e sparare al primo che incontri, non abbiamo affetto gli uni per gli altri, se ci avessero insegnato i sentimenti non saremmo così violenti.” – E tu pensi che Shakespeare ci possa aiutare in questo senso? – “Non ci ha soltanto aiutato, ci ha insegnato!”.
Buone letture a tutti!