È il 1980 quando il Whitney Museum di New York, in una vendita con trattativa privata, si aggiudica l’opera “Three Flags” (Tre Bandiere) di Jasper Johns per la cifra stratosferica di 1 milione di dollari, la cifra più alta mai pagata, fino ad allora, per un’opera di un artista vivente. Possiamo dire che è questa, senza ombra di dubbio, la data in cui il mercato, la finanza e l’economia prendono possesso del mondo dell’arte contemporanea. Sulla scia del neo-liberismo di stampo reaganiano e thatcheriano dilagante ed imperante, in quegli stessi anni, l’arte contemporanea scopre che il “mercato” è il suo più grande alleato e che tutte le regole fino ad allora accettate e condivise stavano per essere stravolte e cambiate. Fino a questa data, infatti, ciò che consacrava un’artista era un sistema composto principalmente da curatori, critici, mostre internazionali, alle quali l’artista veniva invitato ad esporre, e musei. Era la combinazione di questi quattro fattori, scanditi in sequenza, che rendeva famoso un artista: il curatore importante che organizza una mostra di respiro internazionale, il critico o i critici che inquadrano e concettualizzano le opere del singolo artista o degli artisti invitati ad esporre, le grandi
Three Flags (1958) di Jasper Johns
mostre internazionali che, alla fine o durante i processi appena decritti, avevano il compito di consacrare e rendere mediaticamente rilevante non solo l’opera dell’artista o degli artisti invitati, ma, ancora più importante, quello di anticipare e suggerire le nuove tendenze ed i gusti dei collezionisti e del pubblico più in generale, ed infine il museo, al quale spettava il compito di storicizzare il lavoro dell’artista stesso.
È in questo mondo pressoché chiuso che irrompono, come abbiamo detto, il mercato, la finanza e l’economia. Proprio in questi anni fanno la loro comparsa i primi “artisti manager”. Forse non proprio il primo, ma certamente il più capace ed emblematico, è, guarda caso, un ex agente di borsa, Jeff Koons, che prima di tutti i suoi colleghi capisce quanto sia importante costruire la propria immagine pubblica, la sua identità mediatica, il suo brand insomma. La sua strategia di marketing era potente e virale (diremmo oggi) e prevedeva inserzioni pubblicitarie, a pagamento, sulle principali riviste del settore, una cura del proprio look quasi maniacale (il suo make up artist è lo stesso di Michael Jackson), una tendenza alla provocazione ed all’irriverenza nient’affatto spontanea, ma calcolata e manipolatoria, come quando dedica tutto un ciclo della sua produzione artistica al suo chiacchierato matrimonio con la pornostar Ilona Staller, che lo consacra e lo rende immediatamente riconoscibile presso il grande pubblico. Jeff Koons è il prototipo del nuovo artista contemporaneo globale, inventato, a dire il vero, verso la fine degli anni ‘60 da Andy Warhol, ma portato a maturazione ed alla ribalta proprio da Koons e definitivamente consacrato da alcuni artisti successivi, come Damien Hirst e Maurizio Cattelan. Oggi assistiamo sempre più di frequente ad aste milionarie alle quali i prezzi più alti sono spuntati proprio da artisti moderni e contemporanei e a grandi rassegne internazionali, come la Biennale di Venezia o Documenta di Kassel, nelle quali vengono consacrati nuove tendenze ed artisti sempre più provocatori e irriverenti. Ma allora l’arte di oggi è tutta una questione di marketing? Oppure, proprio perché contemporanea, rispecchia fedelmente il nostro gusto, il nostro essere, i nostri tempi?
Come molti lettori avranno certamente notato, i temi culturali, e quello dell’arte in particolare, sono particolarmente cari ed importanti per la nostra linea editoriale, soprattutto quest’anno in cui, a cominciare dal numero di Gennaio e dalla copertina di Giulio Giancaspro, abbiamo deciso di inaugurare una nuova rubrica e di affidare la copertina, a tema, del nostro magazine alla sensibilità di un artista diverso ogni mese; dodici copertine, dodici artisti che a fine 2015 confluiranno in una mostra collettiva e in un numero speciale di Smart Marketig, a
Jeff and Ilona (Made in Heaven), 1990 di Jeff Koons
metà strada fra un catalogo ed un’antologia del meglio di, che sarà stampato e costituirà l’apparato critico e il cuore dell’evento espositivo stesso.
Questo numero di Smart Marketing, insomma, continua ed esaurisce i discorsi cominciati sul numero precedente, quello sul Marketing Culturale, declinando gli articoli ed i punti di vista dei nostri collaboratori, proprio dalla prospettiva dell’arte contemporanea, che inesorabilmente, dagli anni ottanta in poi, ma ancor più dalla grande crisi del 2008, è sì diventata terreno di speculazione e nuovo giocattolo di trader e investitori spregiudicati, ma anche un bene rifugio per quei fondi di investimento e piccoli risparmiatori che confidano e credono, come Dostoevskij, che “la bellezza salverà il mondo”, o almeno i loro portafogli.
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