Ivan Zorico (348)
A settembre abbiamo assistito ad una serie di successi sportivi tutti italiani che, per certi versi, hanno dell’incredibile.
Sabato 12, si sono sfidate a New York agli Us Open le italiane Flavia Pennetta e Roberta Vinci. Un evento che per la sua eccezionalità, un po’ come capita per il passaggio delle meteore e per le eclissi di sole o di luna, avverrà (forse) nuovamente tra un numero imprecisato di anni.
Tutt’un tratto ci siamo poi riscoperti, sempre a settembre, anche grandi appassionati di basket. Il merito è dell’Italbasket che, superando un girone considerato di ferro, è riuscita a coinvolgere un gran numero di fan, soprattutto sui social.
E, per finire, Fabio Aru, un ragazzo sardo di 25 anni, ha portato a casa la vittoria (se vogliamo inaspettata) della Vuelta, battendo gente del calibro di Quintana, Joaquin Rodriguez, Valverde e, soprattutto, Tom Dumoulin.
Questi grandi successi sono in qualche modo paradigmatici dell’attuale situazione italiana. Tutti e tre gli sport citati (tennis, basket e ciclismo) sono considerati, in un paese “calciocentrico”, sport minori. I loro protagonisti (fatte le dovute eccezioni) non hanno una grandissima notorietà tant’è che, se li incontrassero per strada, probabilmente in molti di noi (compreso il sottoscritto) non li riconosceremmo.
Chi poi pratica queste discipline sportive, comunemente, non viene ricoperto d’oro come avviene per gli omologhi del mondo del pallone, sempre per rimanere in tema. Ma, questi successi, rappresentano proprio la rivincita di chi vuole conquistare la ribalta, chi vuole dare un senso agli sforzi di una vita e di chi, in sostanza, crede in se stesso e nelle proprie capacità.
Il paradigma è proprio questo. Noi italiani, e mi vien da dire soprattutto i cosiddetti Millennials, ci troviamo ormai da anni a vivere una vita “minore” rispetto a chi è nato negli anni del boom economico; in costante ricerca del nostro momento ed in costante “lotta” per rivendicare il diritto ad avere un posto (non da eterni figli) nella società.
Dai protagonisti delle vicende sportive che tanto ci hanno fatto sognare, dovremmo quindi prendere la voglia di affermarsi e la voglia di dimostrare di essere i migliori. Sapendo sicuramente che, come loro, dovremo fare il doppio della fatica per perseguire i nostri obiettivi professionali e farceli riconoscere, rispetto (nel nostro caso però) ai nostri omologhi degli anni ’60.
Solo attraverso noi, l’Italia potrà ripartire e, solo con le nostre forze ed impegno potremo prenderci quello che ci spetta. A tutti noi è dedicato #ripartItalia: il nostro piccolo contributo per far ripartire l’Italia, per far ripartire noi.