Il tema relativo al rapporto tra media e politica è ormai quasi senza tempo.
In ordine sparso dalla nascita e dalla diffusione della stampa, della radio, della fotografia, della televisione, dei social media e del cinema, ogni qualvolta sulla scena pubblica si è presentato un nuovo mezzo di comunicazione ci si è dibattuti sulla pervasività dei media come strumento di comunicazione politica (e non solo).
Di certo il ‘900 è stato il secolo che più di tutti ha visto il proliferare di studi sulle teorie e tecniche della comunicazione di massa dato l’enorme impatto ed uso che soprattutto i regimi totalitari (di destra e di sinistra) ne hanno fatto.
Quelli erano gli anni della comunicazione politica intesa come propaganda, che si poggiava su 3 fattori principali:
- censura forzata;
- mistificazione della realtà;
- esaltazione del regime.
E per realizzare questi obiettivi, i regimi utilizzavano scientificamente i mezzi di comunicazione che avevano a disposizione. Ovviamente la Stampa, ma soprattutto la Radio e la Comunicazione visiva, ossia la Fotografia e il Cinema. La radio aveva il potere, immutato tutt’ora, di poter esser praticamente ovunque, mentre cinema e fotografia potevano far leva sul potere delle immagini, che tutto semplificano e tutto rendono immediato.
Oggi, fatta eccezione che per qualche latitudine del mondo, non si parla più di comunicazione politica in termini di propaganda, ma comunque ci si interroga ancora sul ruolo e sulle interconnessioni esistenti tra politica e media. Tra l’altro, questo filone di letteratura, ha ripreso nuovo slancio con la diffusione di internet e dei social media, Facebook in primis.
Ed è proprio questo il tema che Sergio Pargoletti decide di affrontare nel libro “FACEBOOK E IL PRINCIPE – Appunti di politica e comunicazione al tempo di Internet” (edito da Scorpione Editrice, 2016).
Nel mondo, ad essere connessi, siamo in oltre 3 miliardi di persone e, solo in Italia, circa il 60% della popolazione è collegata alla rete tramite Pc, smartphone o tablet.
E siamo connessi anche per molto tempo: in Italia, superiamo le 2 ore di connessione al giorno, con l’80% del traffico che viaggia su mobile. Ed una fetta importante del tempo speso sul web, neanche a dirlo, va appannaggio dei social network (dati Audiweb, Total Digital Audience – rilevazione di dicembre 2017).
È questo contesto che Pargoletti con il suo “FACEBOOK E IL PRINCIPE” – il libro è sì del 2016, ma i trend e la situazione illustrati erano già ben consolidati – analizza per cercare (riuscendoci) di portare alla luce il tema della visibilità mediatica e della comunicazione politica che oggi non viaggia più, o quantomeno non solo, sui media tradizionali (come ad esempio la cara e vecchia TV generalista), ma anche, visti i numeri esposti, soprattutto sul web e sui social.
Per farlo si avvale di un corposo lavoro bibliografico e di rilevanti testimonianze e contributi che, a vario titolo, personalità quali Maurizio Ferraris, Umberto Eco, Ilvo Diamanti, Alessandro Baricco, Giuseppe De Rita e Zigmunt Bauman, hanno dato a questa materia.
Come dicevo il libro, edito nel 2016, è ancora assolutamente attuale e preminente.
Scopriamo il perché.
Tutti gli addetti ai lavori sono concordi nell’affermare che la campagna elettorale italiana del 2018 è fondamentalmente povera di contenuti, all’interno della quale non si stanno davvero attaccando i veri problemi del paese, e non sta riuscendo a generare un dibattito pubblico in grado di produrre una vera partecipazione ed un confronto attivo.
In un passaggio del libro “FACEBOOK E IL PRINCIPE – Appunti di politica e comunicazione al tempo di Internet”, Pargoletti sembra individuare (due anni prima) i motivi di questo impasse ponendo in risalto un concetto molto forte, già ripreso da Alessandro Baricco. Il tema in questione è la contrapposizione tra la velocità del web e dei social e la lentezza delle idee e della politica.
Se è vero che in rete si diffondono più rapidamente gli slogan semplici che i contenuti ragionati e che, più in generale, viviamo nell’epoca dell’immediatezza, potrà capitare che riuscirà ad ottenere più consenso non il politico capace di esprimere una soluzione complessa ad un problema complesso, ma colui il quale darà soluzioni semplici a problemi complessi.
E non solo. Il politico “affamato” di consenso sarà quindi “costretto” a rincorrere i rumors dei social per non perdere i like tanto faticosamente guadagnati. In questo modo, quindi, la stessa azione politica avrà, presumibilmente, sempre il respiro corto.
Come fare quindi per ristabilire un equilibrio?
Pargoletti risponde alla domanda del lettore rispolverando ed attualizzando Machiavelli ed il suo Principe: “la classe dirigente di uno Stato – deve sapersi assumere la responsabilità di quelle scelte giudicate necessarie anche se risultano impopolari nel breve periodo. Molto spesso invece accade però il contrario: si preferisce il consenso immediato, passando dall’incasso elettorale, rinviando l’adozione di misure e decisioni strategiche”.
L’analisi di Pargoletti è chiara.
La comunicazione politica è uno strumento e non il fine. È la politica che deve riscoprire la sua centralità e utilizzare le giuste leve della comunicazione per informare e creare un clima partecipativo all’interno del paese. In caso contrario si rischia il paradosso che è la politica ad essere al servizio della comunicazione.
Ma come possiamo immaginare, e spero tutti condividere, non è con gli slogan che si risolvono i problemi e non è con gli slogan che si vincono le sfide del futuro.