Fase 2: contactless precari

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Fase 2: contactless precari

Mentre il Covid tarda ad esaurirsi, si preannunciano nuovi scenari di convivenza con il virus, ripartenze difficili e posti contingentati dai bus alla spiaggia. I rapporti umani sono cambiati, ma ciò che è stato profondamente rivoluzionato è il cervello delle persone. Ciò che viene chiesto a tutti, ma che più spaventa l’essere umano è abituarsi all’incertezza.

Siamo ormai giunti all’ultimo stadio della precarietà.

Dopo la precarietà del posto di lavoro, con i contratti a termine a un anno estremizzati nei voucher per una manciata di ore, dopo la precarietà dell’abitazione, con il mutuo diventato un miraggio lontano esasperato da un lavoro nomade che rende impossibile rimanere nella città d’origine, dopo la precarietà dei rapporti in cui si sta insieme finchè l’amore dura, ora si arriva alla precarietà del Covid.

Se per le nuove generazioni cambiare Stato, lavoro, azienda (partner?) è ormai normale, per la vecchia guardia diventa difficile abituarsi a questa società liquida.

Il cambio di mentalità richiede una flessibilità che oggi è ben vista in numerosi ambiti ma poco si addice all’essere umano che per evolversi dalle grotte ai grattacieli ci ha messo millenni. La velocità dell’epoca moderna ha trasformato anche le malattie in pandemie e la capacità di adattamento deve essere rapida e affrontata da soli. Quarantena docet.

Ciò che l’isolamento forzato ha evidenziato è come sia importante far leva su se stessi o sul proprio piccolo nucleo familiare, senza aiuti esterni. Ma quel piccolo nucleo familiare è quello che da anni si sta cercando di smantellare. Il concetto di famiglia da alcuni decenni tende ad andare stretto alla modernità per privilegiare invece l’ottica della tribù, del gruppo di interesse, della cerchia per elezione, non per prossimità. E invece il Covid ha ribaltato tutto. Ha ristretto i confini al negozio di quartiere, ai 200 passi da casa, a frequentare solo i congiunti ad evitare le dispersioni che la long tail aveva cercato di favorire.

Scopri il nuovo numero > Upgrade

Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso, anche attraverso esperienze concrete.

Mentre la tecnologia si diffonde a macchia d’olio dalle scuole agli home worker (che a volte mi ricordano i lavoratori a cottimo, rinchiusi in casa, senza orari e finché l’obiettivo non è raggiunto, si prosegue) fino ai nonni high tech in video chat per vedere i nipoti, le connessioni umane si riducono a pochi. Troppo pochi? Di quanti contatti non virtuali con altri esseri umani ha bisogno una persona per non impazzire? Saremo tutti presi dalla skin hunger? (Ci sarà un motivo se oggi tutti ne parlano ma la teoria è vecchia di almeno 15 anni.) O vincerà in nostro bisogno di certezze fatte di disinfettanti e mascherine?

La resilienza oggi diviene una scelta obbligata. Aumentano i divorzi, visto che ora basta una mail. C’è chi pur di non rimanere in casa preferisce il carcere. Lo stesso Governo, emanando decreti di settimana in settimana, rigorosamente in notturna per favorire il sonno, certo non aiuta la pianificazione e il controllo, né della propria vita né della propria azienda.

Sopravviveranno solo i migliori? Forse.

O forse quelli che si sono accaparrati più dosi di ansiolitici. Mai avrei pensato di vedere spot in prime time che reclamizzano farmaci naturali o integratori per combattere “ansia e insonnia”. Se c’è chi arriva ad acquistare 236 passaggi su Mediaset forse è perchè prevede un buon mercato di sbocco e un discreto ritorno dell’investimento. E forse sarà un caso, ma uno di questi farmaci porta lo stesso nome di un Chatbot per una prediagnosi di Covid. Rimarcare il nome fa ricordare? Chissà!

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