Festival di Sanremo 2025: vince la “Balorda nostalgia” di Olly che ci mancherà già da stasera

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Si è appena concluso il Festival della canzone italiana, il 75esimo, e riavvolgendo il nastro di queste cinque serate, non poteva che finire così, con la vittoria della “Balorda nostalgia”.

La balorda nostalgia che ci ha portato a rimpiangere la conduzione delle ultime cinque edizioni, Amadeus e Fiorello, in cui si tirava fino a notte fonda, in cui sul palco dell’Ariston non si capiva mai cosa effettivamente stesse succedendo, in cui la polemica e lo scoop erano sempre in agguato; un festival molto diverso, forse più spontaneo, rispetto a quello del preciso, puntuale e affidabile Carlo Conti. 

Linearità, compostezza, professionalità, comunicazione efficace ed istituzionale, quasi chirurgica, il quarto festival di Carlo Conti, sembra un festival d’altri tempi, più minimalista, senza inutili fronzoli e dove non c’è più spazio per monologhi e balletti, solo la musica delle canzoni e pochi ospiti di spessore, ma allo stesso tempo un festival più moderno che strizza molto l’occhio al modo di fruire i contenuti video su social e piattaforme, sempre più veloce e sbrigativo e dove skippare, passare oltre, è ormai un’abitudine trasversale a tutte le fasce d’età.

Un festival moderno anche nei messaggi, con parole chiare e senza troppe chiacchiere, con contenuti inequivocabili su solidarietà, parità di genere e soprattutto sulla pace: messaggi che condividiamo appieno.

Il potere e la visibilità di una manifestazione come il Festival di Sanremo, seguita da tutto il mondo, non si può sprecare con siparietti da villaggio vacanze (con tutto il rispetto per chi ci lavora) e balletti al limite dell’imbarazzante, e questo Conti lo sa bene, lui che ha fatto della gentilezza la sua cifra stilistica e della sobrietà la sua firma; del resto, si chiama “Festival della Canzone italiana” e la centralità deve essere lasciata alle canzoni in gara.

Sicuramente, quest’ultimo non è stato un Sanremo per giovani, basti pensare agli ospiti nazionali ed internazionali che hanno solcato il palco, dai Duran Duran a Antonello Venditti, amatissimi dal pubblico più attempato ma poco apprezzati dai gen Z.

In questo senso, forse, il vero colpo di scena che non c’è stato durante le cinque serate è arrivato all’ultimo momento con la vittoria di Olly, giovanissimo e incredulo settantacinquesimo vincitore, talmente tanto incredulo da restare quasi senza parole.

La sua “Balorda nostalgia” è una canzone diretta che racconta un vissuto senza metafore e giri di parole; con la semplicità e la modernità dei suoi 23 anni, racconta di un amore finito difficile da accettare ed in cui a mancare sono le piccole cose, quelle naturali e quotidiane come ridere, piangere o fare l’amore ed in cui tutti si possono immedesimare perchè tutti, a tutte le età, abbiamo provato nostalgia per un amore finito pur sapendo che forse era meglio così.

E poi, chi l’ha detto che un giovanissimo non può farsi prendere dalla nostalgia? 

Forse la vittoria della canzone di Olly è anche un monito verso i più adulti, troppo inclini a criticare la superficialità e poco a mettersi in ascolto ed a prestare attenzione su come sia difficile vivere ed esternare i sentimenti nell’epoca in cui mostriamo ai social solo la parte migliore di noi stessi, nascondendo bene la faccia oscura ed i momenti più cupi; superficialità che non ci deve ingannare pensando ad una mancanza di valori o all’apparenza preferita all’essenza, del resto anche Settembre, giovanissimo vincitore delle Nuove Proposte con la sua “Vertebre”, ci fa riflettere sul fatto che “nessuno ci ha mai detto come si piange alla nostra età”, aprendo lo sguardo verso il dolore giovanile che c’è ma non riusciamo a cogliere.

“…La prima volta che vai a Sanremo sei una bomba che esplode in un convento, dalla seconda volta sei già un coglione che fa parte dell’arredamento…” cantavano così Lo Stato Sociale con Vasco Brondi  solo un paio d’anni fa, raccontando bene il clima sanremese dove tutto finisce poi per omologarsi. 

Ma cosa c’entra tutto questo con l’edizione del festival appena conclusa? Forse niente, forse tutto.

Nella conduzione perbene e politically correct di Carlo Conti abbiamo visto omologarsi persino bad boy come Tony Effe, che nasconde i tatuaggi per una forma di rispetto verso il Festival, mentre la bomba che esplode nel convento della canzone italiana è sicuramente rappresentata dal secondo posto di Lucio Corsi, fuori da ogni convenzione e schema precostituito, tanto da cantare nella serata delle cover “Nel blu dipinto di blu” insieme a Topo Gigio, esibizione onirica e surreale; lui e la sua canzone in gara, “Volevo essere un duro”, racconta la fragilità di non esserlo con la leggerezza di abiti e trucco da giullare in una canzone semplice ma profonda; una bomba dolce, gentile e silenziosa che racconta l’inadeguatezza della diversità dalla massa. 

A Lucio Corsi va anche, e giustamente, il premio della critica Mia Martini assegnato dalla sala stampa.

Profonda è anche l’aggettivo giusto per la canzone composta da Brunori sas, terzo classificato con  “L’albero delle noci”, che racconta l’amore incontenibile che si prova con la paternità, amore capace di cambiare persino l’architettura e le dimensioni del cuore e che ci spinge a riflettere sulla genitorialità in questi tempi difficili (che poi non è così diversa da altri tempi) e come venga spostata la prospettiva e la percezione del tempo al mutare del proprio progetto di vita.

“L’albero delle noci”, già apprezzata dall’Accademia della Crusca per il miglior testo, vince anche il Premio “Sergio Bardotti” proprio per il miglior testo, mentre a Simone Cristicchi vanno il premio “Giancarlo Bigazzi” alla miglior composizione musicale e il premio Sala Stampa Radio-TV-Web “Lucio Dalla”.

“Quando sarai piccola”,  il brano di Cristicchi plurivincitore dei premi collegati al festival (compreso il premio Lunezia), si è classificato solo quinto dietro al brano autobiografico e graffiante di Fedez, “Battito”.

Autobiografica anche la commovente storia raccontata nel brano di Cristicchi, riferita alla malattia di sua madre, che racconta dell’amore ma anche della rabbia e dell’impotenza di chi si occupa dei genitori non più autosufficienti; racconto di una grande forza emotiva e di una grande dolcezza che fa riflettere sulla ciclicità delle fasi della vita, in cui si nasce piccoli e si ritorna piccoli e fragili in vecchiaia. 

Fischi di rito e contestazioni da parte del pubblico dell’Ariston per gli esclusi, ma favoriti, dal podio come Giorgia e Achille Lauro, ma ricordiamo a tutti che la classica sanremese ha quasi sempre poco a che fare con il successo e le vendite, convinti che continueremo ad ascoltare ed amare ancora per molto le orecchiabili “Viva la vita” di Francesco Gabbani e “Cuoricini” de i Coma Cose, le energiche Serena Brancale con “Anema e core” e Rose Villain con “Fuorilegge”.

Intanto, la balorda nostalgia prende anche noi che ci chiediamo cosa faremo da stasera senza Festival, meme, gruppi di discussione sui social, chiacchiere al bar e critica musicale. E ci viene da pensare che questo festival è andato davvero troppo veloce, specchio dei tempi in cui non si può perdere tempo, neanche per assaporare una canzone.

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