Vi siete mai accorti che le guerre sembrano sempre tutte uguali?
Da una parte c’è l’aggressore, dall’altra l’aggredito, difensori della patria e disertori, chi si difende e chi scappa per mettersi in salvo, e poi ci sono i crimini di guerra, le fazioni dell’una e dell’altra parte, e le crudeltà inflitte o subite, “e noi che siamo esseri liberi – un ciclo siamo macellati – un ciclo siamo macellai – un ciclo riempiamo gli arsenali – un ciclo riempiamo i granai” (1987 – “Guerra e pace” dei CCCP – Fedeli alla linea).
Forse ha ragione lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón, che afferma che “Le guerre negano la memoria dissuadendoci dall’indagare sulle loro radici, finché non si è spenta la voce di chi può raccontarle. Allora ritornano, con un altro nome e un altro volto, a distruggere quel poco che avevano risparmiato.”
Allora, poco importa che sia “La guerra di Piero” (1966 – Fabrizio De André) o quella di “un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” (1966 – Gianni Morandi), oppure quella de “Il disertore” (1954 – “Le Déserteur” canzone scritta da Boris Vian ed interpretata in italiano da moltissimi cantanti, tra cui Ivano Fossati, Ornella Vanoni e Gino Paoli), che si rifiuta di obbedire a “Follie preferenziali” (2003 – Caparezza), “quando si va in guerra c’è’ l’elmetto – che si mette proprio sulla testa – serve a riparare dagli spari – serve a riparare dal pensiero – il pensiero che dall’altra parte c’è qualcuno come te – che potrà soffrire e anche morire – esattamente come te – e gli han detto che tu sei un bastardo proprio come l’hanno detto a te e gli hanno parlato ancora di patria e d’ eroi” (2002 – All’est niente di nuovo (L’elmetto) – Gino Paoli).
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Con le nuove tecnologie le guerre sono diventate globali, prima ancora che mondiali (e per fortuna!). Nella sfera informativa, iperconnessa e pervasiva, siamo tutti protagonisti. Siamo tutti chiamati in causa.
Giochi di parole e versi che in questi giorni in cui la guerra ci appare spettacolarizzata, un programma come un altro da seguire, una storia da guardare su Instagram e da condividere su Facebook, mi rimbalzano nella testa e mi spingono a riflettere su “mezzo universo senza pace – ed io che sto di qua – sull’altro piatto della bilancia” (1967 – “Il mondo va così” cover di Franco Battiato del brano “Et moi, et moi, et moi” del cantautore francese Jaques Dutronc) e continuo a ripetermi che il mondo non dovrebbe andar così, che forse ci potrebbero essere altre soluzioni, per questa e per tutte le guerre.
In fondo, “Io non lo so chi c’ha ragione e chi no – se è una questione di etnia, di economia, oppure solo pazzia” (1999 – “Il mio nome è mai più” di Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù) ma so che, forse, basterebbe mettere da parte l’avidità, le religioni o le ideologie e sforzarsi ad essere più umani, sforzarsi di guardare i conflitti attraverso gli occhi de “Il Caduto” (1996 – Francesco Guccini) che ci esorta dicendo: “Guarda la guerra che beffa, che scherzo puerile, io che non mi ero mai spinto in un lungo cammino ho visto quel poco di mondo da dietro a un fucile, ho visto altra gente soltanto da dietro a un mirino…” riflettendo sul fatto che “la pace è l’unica vittoria – l’unico gesto in ogni senso – che dà un peso al nostro vivere”, sperando di non far la fine di quei bambini, cantati da De André, unici superstiti di una folle guerra che ballano un macabro “Girotondo” (1968) sul mondo ormai distrutto dall’inevitabile stupidità dei grandi.
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