I 100 anni di Alberto Sordi, l’attore simbolo di un’epoca che fu la perfetta maschera dell’italiano medio e che, oggi, sembrerebbe un esempio di virtù

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2026

Cento anni fa, il 15 giugno 1920, nasceva a Roma, per la precisione nel rione di Trastevere, Alberto Sordi, ultimo figlio di Pietro Sordi, professore di musica e strumentista, e Maria Righetti, insegnante elementare.

È considerato, insieme a Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, uno dei “4 Mostri della commedia italiana”, o anche uno dei “4 Colonelli” dello stesso genere.

Di sicuro, dei quattro era il più popolare e vicino alla gente. Meno sornione di Tognazzi, meno impegnato di Gassman, meno eclettico di Manfredi, Sordi fu, nei 200 film che interpretò nella sua carriera, la vera maschera dell’Italiano medio, la cartina tornasole dei nostri tanti vizi e delle nostre poche virtù.

Nessuno come lui riuscì ad impersonare i vizi, i tic, le manie, le idiosincrasie degli Italiani dal dopoguerra fino al boom economico; di un popolo che in poco più di venti anni era passato dalla dittatura alla democrazia, dalla guerra alla pace, dalle macerie alla ricostruzione, da un’economia prevalentemente agricola ad una industriale, dalla fame degli anni ’50 all’abbondanza, anzi al boom, degli anni ’60.

Attore molto fisico, Sordi cominciò fin da giovanissimo a mostrare talento per le arti: alle elementari mise su un teatro di marionette e cantò come “soprano” nel coro di voci della Cappella Sistina, fino alla precoce trasformazione della sua voce, che diventò quella di un “basso” e che caratterizzerà tutta la sua futura carriera.

Al 1937 risale la sua prima esperienza con Cinecittà ed il cinema; fu infatti una delle comparse nel film “Scipione l’Africano” e, sempre in quell’anno, vinse il concorso della Metro-Goldwyn-Mayer che cercava una voce che potesse doppiare Oliver Hardy, componente del famosissimo duo comico Stanlio ed Ollio.

Il doppiaggio contrassegnò l’inizio della sua carriera, sua la voce di importanti film come “La vita è meravigliosa” (1946), “Ladri di biciclette” (1948) e “Prima comunione” (1950). Diverse le esperienze nel teatro e nella rivista. Benché arruolato nel 1940 nella banda musicale del Regio Esercito Italiano, è proprio durante la guerra che concentra il meglio della sua attività teatrale, che si concluderà con la stagione 1952-53.

Ma il medium che lo renderà famoso e lo avvicinerà al cinema sarà la radio, dove lavorerà dal 1946 al 1953.

Poi arriverà il cinema che, dopo alcuni ruoli minori in una ventina di pellicole, lo porterà a lavorare da subito con grandi maestri, a cominciare da Federico Fellini, che prima lo dirigerà nel surreale “Lo sceicco bianco” (1952) e poi nei “Vitelloni” (1953), che gli regalerà una certa notorietà ed ottime critiche. Ma è il sodalizio artistico con Steno che lo renderà famoso presso il grande pubblico: su tutti sarà “Un americano a Roma” del 1954, dove interpreta il Ferdinando “Nando” Mericoni, borgataro romano ossessionato dalla cultura pop americana.

Poi verranno oltre 150 film girati da protagonista, che lo renderanno l’attore più amato dalle masse. Alla critica nostrana non andò mai particolarmente a genio: probabilmente il motivo principale era da ricercare nel fatto che mostrandoci il perfetto prototipo di “italiano medio”, ma anche le “dinamiche del potere” e le “egemonie di una certa classe dirigente”, molti critici faticavano a comprendere, e il più delle volte se ne risentivano, le interpretazioni caustiche ed irreverenti di alcuni memorabili personaggi di Sordi.

Eppure oggi, a distanza di 100 anni dalla nascita e a 17 anni dalla morte, avvenuta nel 2003, sentiamo un vuoto incolmabile, che il cinema contemporaneo non ha saputo riempiere adeguatamente e avvertiamo forte il fatto che, ad eccezione di Carlo Verdone, la sua immensa eredità non sia stata adeguatamente raccolta.

Alberto Sordi fu senza alcun dubbio il principale interprete della commedia all’Italiana; i suoi personaggi, benché profittatori, meschini, vili, cialtroni, oltre ad essere simpaticissimi mantengono una grande umanità con la quale è impossibile non empatizzare. Pensiamo ai ruoli che interpretò a cominciare dagli anni ’60, quando alcuni registi illuminati e visionari capirono che la maschera di Sordi era perfetta pure per il registro drammatico. Primo della serie è sicuramente “La Grande Guerra”, del 1959, di Mario Monicelli, che lo affianca ad un romano, d’adozione ma doc, come Vittorio Gassman, un film nel quale Sordi interpreta il soldato pavido ed imboscato Oreste Jacovacci, che il contesto storico e una lenta ma inesorabile presa di coscienza porteranno a diventare un vero eroe.

Od ancora il disilluso sottotenente Innocenzi di Tutti a Casa del 1960, di Luigi Comencini; od ancora il giornalista idealista ed impegnato Silvio Magnozzi di “Una Vita difficile”, capolavoro del 1961, di Dino Risi; o il disperato imprenditore Giovanni Alberti del cinico e crudo “Il Boom”, del 1963, di Vittorio De Sica, film sottovalutato che parla a noi oggi, forse ancora di più di quanto non facesse all’epoca, di debiti, apparenze e capitalismo parassitario; od ancora il medico senza scrupoli disposto ad ogni compromesso pur di fare carriera Guido Tersilli de “Il medico della mutua” del 1968, di Luigi Zampa, un personaggio talmente ben riuscito ed amato dal pubblico da tornare un anno dopo nel sequel “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue” di Luciano Salce.

O, andando avanti, pensiamo ad alcuni memorabili ruoli che interpretò negli anni ’70, primo fra tutti il tragico e disperato Giuseppe Di Noi del kafkiano “Detenuto in attesa di giudizio”, del 1971, di Nanni Loy, ruolo che varrà a Sordi l’Orso d’Argento al Miglior Attore al Festival di Berlino del 1972; fino ad arrivare a quello, che quasi tutti ritengono il vertice della sua capacità recitativa, del modesto impiegato, prossimo alla pensione, Giovanni Vivaldi, che si trasformerà in un sadico e risoluto giustiziere per vendicare la morte dell’amato figlio, avvenuta durante una rapina, nel capolavoro di Mario Monicelli “Un borghese piccolo piccolo” del 1977, che varrà a Sordi la vittoria sia del Nastro d’Argento che del David di Donatello per il Miglior Attore; film epocale che segna, per molti critici e storici del cinema, la fine della commedia all’italiana.

Poi ci saranno tantissimi altri film, 19 dei quali anche da regista, come il primo “Fumo di Londra” del 1966; il melanconico omaggio al teatro di rivista “Polvere di Stelle” del 1973; il crudo e cinico “Finché c’è guerra c’è speranza” del 1974; l’irriverente e dissacrante “Le Vacanze intelligenti” del 1978, dove l’Albertone nazionale si scaglia contro un certo tipo di establishment culturale tipico di quegli anni, ma presente ancora oggi.

E poi ci sarebbero “Io e Caterina”, “Il Marchese del Grillo”, “Il Tassinaro”, “In viaggio con Papà”, “Tutti dentro” e tanti, tantissimi altri film che nessun articolo, tantomeno questo, possono elencare esaustivamente.

Insomma, un attore straordinario ma pure un regista, un doppiatore, un autore e presentatore radiofonico e televisivo, un attore di teatro, un cantante, insomma un artista vero ed a tutto tondo, capace come pochi altri di dare corpo e volto alle idiosincrasie dell’italiano medio dagli anni ’50 agli ’80.

Un italiano pieno di vizi e con pochissime virtù, ma in fondo umano e generoso, un italiano medio di cui sentiamo la mancanza soprattutto oggi, quando il radicalismo politico, sociale e culturale del nostro Paese ha prodotto un italiano medio ben peggiore: populista, razzista, misogino, omofobico e corrotto tanto che, a confronto, i personaggi di Sordi, che vi invitiamo a riscoprire, ci sembrano, se non proprio esempi da seguire, di sicuro ben altra pasta di “mediocri”, che oggi potrebbero essere addirittura scambiati per “uomini virtuosi”.

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