Il cinema e la realtà virtuale

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Il cinema è sempre stato levigato dalla tecnologia, dall’avvento del sonoro nel 1927 al Technicolor tra gli anni ’40 e ’50, fino ai primi esperimenti del 3D negli anni ’50. Inizialmente liquidati come investimenti costosi e spesso poco compresi dal pubblico, dopo anni di perfezionamenti questi strumenti si sono diffusi. Il XXI secolo ha già visto una buona dose di audaci innovazioni (il 4D che si è infiltrato nei cinema tradizionali, la crescita delle piattaforme di streaming), ma in un mercato sempre più competitivo, la corsa alla ricerca della prossima grande scoperta non si ferma.

Tra le registe che più hanno intrapreso questa strada innovativa, spicca la figura di Tamara Shogaolu regista, artista e direttrice creativa della Ado Ato Pictures di Amsterdam. Il suo lavoro più recente è un documentario animato in “virtual reality” dal titolo Another Dream, che ha debuttato al Tribeca Film Festival, ed è un manifesto sul potere del formato. Attraverso l’uso di registrazioni audio, animazione 3D e illustrazioni a mano libera che si possono vedere tramite un visore oculus, segue una coppia lesbica egiziana che cerca asilo in Olanda dopo la rivoluzione del 2011. La novità di Another Dream è che lo spettatore non è un osservatore passivo: i partecipanti devono seguire la coppia e portare a termine delle prove per sbloccare il capitolo successivo della storia. Una delle scena più interessanti si svolge in un supermercato dove la coppia parla delle proprie esperienze legate all’omofobia in patria e anche di quelle legate al razzismo nel nuovo Paese. Durante la scena, lo spettatore è in piedi di fianco a loro, sente le loro voci e vede la gente intorno che si gira a guardare. È una cosa che riesce a coinvolgere nella narrazione molto di più che se si stesse guardando un film tradizionale.

Certo, l’industria cinematografica ha poi proseguito il suo cammino nella realtà virtuale. Il maggiore successo al momento è Black Mirror: Bandersnatch, di Netflix, frutto dell’ingegno dei creatori della serie Charlie Brooker e Annabel Jones. Il protagonista del film interattivo è Stefan, un programmatore nell’Inghilterra degli anni ’80 che sta adattando un librogame in un videogioco. Lo spettatore deve prendere decisioni che portano a diversi percorsi narrativi. L’elemento interattivo funziona perché aggiunge uno strato alla storia. Gli spettatori hanno l’impressione di poter controllare il personaggio o perlomeno di poter interagire o partecipare attivamente alla storia.

Il successo di Bandersnatch ha spinto il gigante dello streaming a commissionare più film e show televisivi interattivi. You vs Wild, una serie interattiva con Bear Grylls, è uscita nell’aprile del 2019 e nella seconda metà del 2020 Unbreakable Kimmy Schmidt tornerà con uno speciale interattivo. Ma questo processo di gamification sarà la nuova normalità delle produzione cinematografiche e televisive? Difficile dirlo, certo le produzioni di prodotti del genere sono ancora faticose, dispendiose e richiedono molto tempo. Funzionano bene se l’idea di partenza è originale, se può essere in grado di sconvolgere emotivamente il pubblico.

Certo, le possibilità di narrazione sono infinite, da quelle brevi di un cortometraggio a quelle infinitamente lunghe delle serie tv. Tutto sta nel creare idee originali che possano creare quell’alone di sorpresa emotiva, pari a quella che in quel lontano 1927, lasciò a bocca aperta il pubblico di una sala cinematografica di Los Angeles, il quale scoprì per la prima volta, che le gesta degli eroi del cinema, potevano essere comprese anche con l’udito e non solo con gli occhi.

E poi venne tutto il resto, che è Storia, con la S maiuscola.

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