Il Cinema e le implicazioni socio-economiche negli anni del Boom

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Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia è un paese profondamente ferito dai bombardamenti anglo-americani e dalle distruzioni lasciate dai nazisti, stanco, sfiduciato, senza prospettive precise, incerto addirittura sulla sua stessa unità. L’economia è prostrata; la società è sostanzialmente la stessa di inizio secolo: agricola, arretrata e provinciale; la presenza di un fortissimo partito comunista rende incerta la posizione dell’Italia sullo scacchiere internazionale.

Siamo nel 1946. Quarant’anni più tardi, con due “miracoli economici” alle spalle, lo stesso paese è uno dei sette più industrializzati del mondo, saldamente integrato nel sistema occidentale di mercato, il tenore di vita dei suoi cittadini si può a buon diritto definire tra i più elevati del mondo. Il volto dell’Italia è dunque decisamente cambiato da allora, e per certi aspetti è addirittura irriconoscibile, trasformato da un processo di accumulazione, di urbanizzazione e di secolarizzazione così rapido e profondo da avere pochi altri riscontri nella storia europea del dopoguerra. In questo clima culturale di ammodernamento, fondamentale risulta essere il ruolo svolto dal Cinema, che mai come in Italia, ha rappresentato e rappresenta lo specchio della società.

Il Cinema infatti, ha accompagnato i profondi mutamenti socio-economici del nostro Paese con tempismo e precisione sociologica di straordinaria efficacia.

Primi scampoli di benessere economico si registrano già a partire dai primi anni ’50 in due capisaldi della commedia all’italiana: “La famiglia Passaguai” di e con Aldo Fabrizi; e “Pane, amore e fantasia” con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, due film leggendari che ironizzano splendidamente sui comportamenti di una piccola borghesia che si confronta a fatica con i primi segni del benessere, ma che guarda con rinnovata fiducia verso il futuro. E poi venne la fine degli anni ’50 e pellicole leggendarie come “Poveri ma belli”, con Maurizio Arena e Renato Salvatori; “I soliti ignoti” con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e ancora Renato Salvatori; e “La dolce vita”, che contribuirono a lanciare nel mondo il mito della “dolce vita” italiana, sinonimo di spensieratezza e di benessere economico. In particolare quel 1960 de “La dolce vita” di Fellini e Mastroianni e de “La ciociara” di De Sica e della Loren, è il nostro anno mirabilis: ciliegina sulla torta le Olimpiadi di Roma ’60, il punto più alto dell’Italia del secolo scorso.

E poi, in pieno clima di benessere economico, venne la commedia all’italiana, vera e propria rappresentazione dei nostri vizi e delle nostre virtù, supportata da attori di eccezionale livello artistico: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Walter Chiari…

Venti anni dopo sopraggiunse il secondo boom economico, quello degli anni ’80, un decennio che ha portato con se una inimitabile ventata di ottimismo, modernità e spensieratezza. Un decennio che arriva dopo i cupi anni ’70, dopo le stragi delle Brigate Rosse, dopo un’epoca di tumulti nella società e nella politica italiana. Solo pochi anni prima erano accadute alcune gravi tragedie che avevano scosso l’opinione pubblica: la strage di Piazza Fontana a Milano, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, il suicidio “sospetto” di un grande e popolare artista come Alighiero Noschese.

Eppure quando arrivano gli anni ’80, cambia tutto. Un rinnovato clima di spensieratezza riavvolge l’Italia, come se ci fossimo ricatapultati venti anni addietro, ovvero negli anni ’60. E il Cinema ancora una volta si ripropone di raccontare quegli anni, così come aveva fatto fino ad allora. Infatti, negli anni ’70, in sintonia con i tempi, la commedia all’italiana si era fatta cupa, triste, sconsolata (“Una storia triste è meglio per l’Inverno”, dice il piccolo Mamilio in The Winter’s Tale, di William Shakespeare); e quella più popolare era diventata irrimediabilmente volgare, trita e ritrita di seni al vento e di parolacce sconce, in linea con l’involgarimento culturale della società italiana. La ripresa del decennio successivo, nasceva da una buona situazione dell’economia mondiale, favorita soprattutto dal ribasso dei prezzi del petrolio, e da una nuova disponibilità interna degli imprenditori ad investire. L’”urbanizzazione” e la “nuclearizzazione” nonché una maggiore ricchezza delle famiglie italiane comportò la nascita di un “terziario” come non era mai avvenuto prima, il quale da una parte offriva servizi ad una famiglia non più in grado di essere autosufficiente e dall’altra offriva servizi alla persona in ragione delle nuove esigenze e bisogni.

E nel cinema riprende dunque, a marciare la “nuova” commedia all’italiana, finalmente epurata da quegli elementi tristi che l’avevano caratterizzata nel decennio precedente. Arrivano anche le cosiddette “nuove leve”: Paolo Villaggio, Enrico Montesano, Massimo Troisi, Carlo Verdone, Lino Banfi, Jerry Calà, Adriano Celentano, Diego Abatantuono, Christian De Sica…tutti attori brillanti, in sintonia con il determinato periodo storico. Vale la pena qui, citare alcuni titoli, destinati a rimanere nella storia degli anni ’80: “Vieni avanti cretino”(1982), con Lino Banfi; “”Ricomincio da tre”(1982), con Massimo Troisi; “Sapore di mare”(1983), con Jerry Calà e Christian De Sica; “Bianco, rosso e Verdone”(1982), con Carlo Verdone; “Aragosta a colazione”(1980), con Enrico Montesano.

In conclusione, un saggio come questo, ha l’obiettivo di far capire come il Cinema sia parte integrante del processo socio-economico del nostro Paese, e come quest’ultimo addirittura sia influenzato dal Cinema stesso, subendone mutamenti al passo con i tempi. Per il rapporto tra Cinema, società e storia, vale ancora quella famosa citazione, che semplifica in maniera esaustiva la valenza che il Cinema ha nelle nostre vite: “Il Cinema è la maniera migliore per rivivere una fetta importante della storia del nostro paese, meglio di qualsiasi trattato sociologico”.

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