Il quattordicesimo film da regista di Leonardo Pieraccioni è uscito a quattro anni di distanza dalla sua ultima fatica, che fu Se son rose, pellicola che portava quel personaggio ingenuo e sciupafemmine verso l’età matura. Questa volta, quello che fu il “Golden Boy” del cinema italiano, fa qualcosa di diverso. Intanto per il ruolo interpretato, ovvero quello di Don Simone, parroco della Chiesa degli Angeli, nella sua Firenze, popolata quasi solo da donne anziane che recitano il rosario. Cerca di avvicinare in ogni modo i giovani verso la Chiesa, e in questo, inusuale per il tipo di cinema leggero e di svago sempre proposto dall’artista toscano, dà un cenno di una certa critica alla società d’oggi.
Questi giovani così svogliati, così vuoti di stimoli e di interessi, attratti sempre di meno a ciò che nutre la testa e lo spirito. Don Simone utilizza metodi poco ortodossi per avvicinare i giovani, ha un sagrestano Giacinto che lo aiuta come può, mentre la sua Chiesa cade a pezzi. In questo sembra prendere tanto spunto, dal vivacissimo personaggio di Don Fumino, inventato e portato al successo dal suo compianto e mai dimenticato compaesano Renzo Montagnani. Ad un certo punto il prete interpretato da Pieraccioni, riceve un’inaspettata notizia: un notaio lo informa di aver ricevuto in eredità da uno zio un immobile di lusso a Lugano e un’attività avviata e redditizia. L’ultima volontà di zio Waldemaro, uno strepitoso Massimo Ceccherini, nei panni di un libertino impenitente e sessualmente aperto, è che entro sette giorni Don Simone accetti l’eredità: ma solo dopo essersi recato in Svizzera a fare un sopralluogo.
Leonardo Pieraccioni, arrivato a Lugano, scoprirà che l’immobile lasciato dallo zio è in realtà una casa di appuntamenti, e la lucrosa attività che ospita è la prostituzione di un gruppo di bellissime squillo d’alto bordo, capitanate da una tenutaria di nome Lena che ha le gradevoli fattezze di Sabrina Ferilli. Il dilemma è dunque quello fra accettare l’eredità e fare fronte ai problemi economici della Chiesa degli Angeli, o rifiutare in nome dell’etica personale e religiosa. Cosa deciderà di fare?
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Tra il 2020 e il 2021, complici le varie restrizioni, abbiamo giocoforza acquistato più libri e acquisito un’abitudine alla lettura; certo i dati del 2022 sono in calo, ma sono ancora superiori a quelli non dopati pre-pandemia del 2019. Vogliamo pensare che questo sia un risultato tangibile del fatto che, probabilmente, questa pandemia qualcosa di positivo ce l’ha lasciata.
Pieraccioni, con la sua vena malinconica da clown triste e l’energia comica da giullare, è stato sempre un po’ bistrattato e sottovalutato, in quella che è la sua carriera di autore-attore. Se quel trittico inaugurato da I laureati (1995) e proseguito con Il ciclone (1996) e Fuochi d’artificio (1997), lo ha issato a livello nazionale, come il massimo fenomeno cinematografico e commerciale degli anni ’90, il prosieguo della sua carriera rappresenta la dignità di un’artista che ha sempre perseguito un preciso percorso artistico, scevro (e questo è fondamentale) dalle imperanti volgarità dei tempi moderni. Il segreto del suo successo e quello per godere dei suoi film, è l’immedesimazione del suo personaggio con l’italiano medio di mezza età, con grandi sogni e altrettanto grandi speranze.
Ora questo film procede, con l’aggiornamento ai tempi moderni di questo personaggio, più grande, più maturo, ma ancora “Peter Pan” nell’animo. Eppure sembra che manchi sempre qualcosa al Pieraccioni-autore, per poter affermare davvero il suo credo cinematografico.
Alcuni la definiranno un’ennesima occasione persa; altri considerano Pieraccioni quello che è, con i suoi pregi e i suoi difetti. Questo film è esattamente lo specchio dei suoi limiti, però è candido e delicato e regala un’ora e mezza di sana allegria. E sappiamo tra problemi privati, pandemie e guerre forse “mondiali”, quanto tutti noi abbiamo bisogno di un pizzico di spensieratezza.
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