E’ sempre bello quando qualcosa arriva all’improvviso e scardina positivamente tutto, aprendo nuove strade e nuovi punti di vista.
E’ il caso di questo editoriale. Per un numero dedicato al futuro, avevo già scritto buona parte dell’articolo parlando di intelligenza artificiale e dintorni, ma poi qualcosa ha rovesciato tutto.
Jannik Sinner è entrato nella storia. Ha vinto gli Australian Open in una partita incredibile con Medvedev, uno che per capirci ha conquistato 20 titoli ATP. E ha riportato in Italia uno Slam dopo 48 anni. A 22 anni.
Eccolo il qualcosa. Un’impresa sportiva (nostrana) come non se ne vedevano da un po’, in uno sport – il tennis – che non è proprio il più nazionalpopolare di tutti.
Eppure, in questi giorni, tutta Italia si è trovata a parlare di questo ragazzo dai capelli rossi, con il sorriso, gentile ed educato. Un ragazzo normale. A suo modo, rivoluzionario; in un tempo in cui l’eccesso è divenuto normalità.
La sua storia è ormai patrimonio comune.
Nato a San Candido, un paesino dove si parla prettamente tedesco, Sinner a 13 preferisce la racchetta e agli sci e, a 14 anni, lascia la casa natale per trasferirsi a Bordighera, in Liguria, per lavorare sul suo tennis (e sul suo italiano). Da lì, tanto lavoro, match vinti, sino alla consacrazione negli Australian Open.
Una storia bella, che parla certamente di talento, un immenso talento, ma anche di qualcosa che spesso si lascia ai margini: impegno, costanza, mentalità.
Con il talento, lo sappiamo, si nasce. Ed è quello l’elemento che più fa sognare. Lui c’è. E’ innato. Splende. Ed è consolatorio. Come si dice: il talento, o ce l’hai o non ce l’hai. Non devi fare nulla. Nel bene e nel male. Se ce l’hai, buon per te. Se non ce l’hai, pazienza. Giusto? No, Sbagliato.
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Il futuro tecnicamente non esiste. Lo possiamo immaginare, disegnare, raccontare e poco altro. Anzi no, possiamo anche viverlo proiettandoci in un tempo lontano da noi con il rischio, però, di perdersi tra i vari farò e dirò. L’unica cosa che si può fare è stare nel presente per costruirselo, il Futuro.
Il mondo è pieno di talento sprecato. Se restiamo sul tennis possiamo citare Fognini, se passiamo al calcio possiamo parlare di Balotelli. Entrambi atleti strabordanti di talento, capaci di farci sognare quando riuscivano a farlo risplendere. Ma il talento da solo non basta. O, meglio, non basta solo quello che viene riconosciuto tale da tutti. Doti atletiche, artistiche, eccetera.
Sì perché il talento è anche saper sviluppare tre caratteristiche molto meno affascinanti delle precedenti, ma fondamentali: impegno, costanza e mentalità.
Se infatti allarghiamo il campo d’azione oltre gli eroi dello sport e lo riportiamo a noi, ci accorgeremo di quanto i nostri successi spesso siano dipesi più dalla cura e dalla passione che abbiamo dedicato per raggiungerli, piuttosto che da qualcosa di trascendentale.
Certo, avere una certa predisposizione naturale aiuta. E’ innegabile. Ma se non ti alleni puoi anche avere doti fuori dal comune, non sarà comunque sufficiente. Se non lavori sulla tua capacità di restare in focus, disperderai le tue energie.
Nella finale, Sinner ha avuto il talento di stare in partita sino all’ultimo. Di ribaltare un esito che sembrava sfavorevole. Ha vinto con la testa, più che con il corpo. Ecco qual è stato il suo vero talento.
Per cui, in un editoriale che parla di futuro credo davvero che molto più che l’intelligenza artificiale sia la persona il campo d’azione e d’indagine. Anche perché tutto quello che si crea non è altro che un’estensione umana. Pensa solo ai social, al web o al fantomatico metaverso.
Il Futuro è aperto per chi saprà mettere in tutto quello che fa dedizione, perseveranza e anche pazienza. Tutte doti straordinarie e, volendo, alla portata di tutti perché allenabili. I risultati non arrivano subito. Ma possono essere raggiunti (la certezza purtroppo non ce la può dare nessuno) con la giusta mentalità. Diversamente è come lanciare in aria una monetina e sperare. Fai tu.
Per aspera ad astra e buona lettura,
Ivan Zorico