In questi mesi di emergenza Covid-19 che ha stravolto completamente le nostre vite, abbiamo imparato che è possibile lavorare completamente in smart working. Almeno per alcuni settori, quelli che non necessitano di una imprescindibile presenza fisica. Nel nostro Paese, sempre molto conservatore e poco avvezzo a farsi da promotore di cambiamenti tecnologici, si è scoperta questa particolare forma di lavoro, proprio a causa del lockdown che ci ha costretti a ripararci tra le nostre mura domestiche. La direzione e insieme la sfida futura del mondo del lavoro dovrà necessariamente, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, fare i conti sempre più con una vera e propria rivoluzione dei modelli organizzativi e aziendali. E come al solito però, è nel campo dell’Arte e in questo caso del Cinema, che il nostro Paese dimostra, ancora una volta, di essere in grado di “fare scuola” nel mondo. E’ tutto italiano infatti, il primo film girato completamente in smart working. Il padre del primo “smart film” è Daniele Vicari, regista di “Diaz”, che ha terminato di girare il suo “Il Giorno e la Notte” con l’aiuto soltanto della tecnologia a 360 gradi.
Le riprese sono cominciate nella Fase 2 e sono state rese possibili dal fatto che gli attori – in alcuni casi si tratta di coppie nella vita oltre che sulla scena – si riprendono da soli da casa propria, grazie alla propria attrezzatura tecnica. L’idea non è solo quella di fare un esperimento cinematografico ma anche quella di tradurre, dal punto di vista creativo, questo particolare momento storico, caratterizzato da isolamento e restrizioni della libertà, con tutte le conseguenze del caso, nel bene e nel male. Vicari porta con sé un cast d’eccellenza: Vinicio Marchioni e Milena Mancini (coppia nella vita, in quarantena insieme alla famiglia), Dario Aita, Elena Gigliotti, Barbara Esposito. Francesco Acquaroli, Isabella Ragonese, Matteo Martari. Giordano De Plano. Tutti comunicano tra di loro in video attraverso le varie piattaforme online, così come gli attori anche il regista è a casa sua e dirige il cast a distanza.
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La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro.
La trama si avvicina molto a quello che abbiamo vissuto, quasi in maniera profetica, e come ha assicurato lo stesso regista, la stesura della sceneggiatura è antecedente al lockdown di metà marzo e che certamente le scene, riprese tramite le piattaforme online, sarebbero state una parte preponderante del film, ma non certo esclusiva. Il lockdown ha dunque cambiato le carte in tavola, e il regista insieme agli sceneggiatori ha deciso di portare alle estreme conseguenze quel senso “claustrofobico” della quarantena del film.
La trama è praticamente la storia di quello che abbiamo passato dal 10 marzo ai primi giorni di maggio, con un attentato chimico, che nella finzione del film ha sostituito la pandemia da coronavirus; e con la sola Roma, che ha sostituito la nazione intera.
I destini di alcune coppie si intrecciano quando improvvisamente il telegiornale dà la notizia che a Roma è in corso un misterioso attentato chimico. Tutti sono obbligati a chiudersi in casa. Nessuno può più uscire. Le strade si svuotano. Che sta succedendo? Intanto le coppie asserragliate dentro le mura domestiche si trovano messe alle strette, in un confronto intimo e inesorabile che spesso è scontro ma anche incontro, e soprattutto porta a riflessioni e nuove consapevolezze.
Nella nuova frontiera, dunque, che non si può sapere al momento quanto percorribile, poiché comunque ora le produzioni cinematografiche hanno ripreso a lavorare in “presenza”, questo lavoro di Vicari, rappresenta comunque una sperimentazione, che potrebbe diventare un vero e proprio genere in futuro, magari parallelo, fioriero però di idee capaci di innovare il cinema mondiale. Dal punto di vista tecnico, con questo film siamo però sempre di fronte, alla prerogativa tutta italiana, che da De Sica, Rossellini e Visconti, ci accompagna, ovvero quella di rappresentare quello che siamo, quello che stiamo vivendo, insomma il cinema ancora una volta funge da “specchio della nostra società”. La trama del film di Vicari, non è forse una tragica “commedia all’italiana”? Rappresenta un po’, quello che abbiamo vissuto qualche mese fa, rappresenta le nostre angosce, le nostre paure, i nostri cambiamenti psichici che in lockdown abbiamo vissuto e che ci ha portati ad essere “diversi” una volta ritornati ad una vita “quasi” normale.
E poi c’è l’ultimo punto di questo “cambiamento” cinematografico, che il lockdown ha velocizzato. Ovvero la fruizione dei film in prima assoluta, che non passano più dal cinema, ma vengono direttamente caricati sulle piattaforme televisive a pagamento, del tipo di Netflix e altre equipollenti. Speriamo davvero, che questo sia stato soltanto un esperimento di “emergenza”, perché un film che non passa più dalla “SALA” non è più film; e se le SALE saranno destinate a chiudere sarà la morte del CINEMA, almeno nella visione romantica, quali noi cultori siamo stati abituati a pensarlo. Insomma che l’evoluzione, che esiste in tutte le cose, non solo nell’Arte, non porti alla rovina del CINEMA, perché in futuro ce ne pentiremmo, considerato che il CINEMA, rimane una delle pochissime cose pure, che ancora riescono a far vibrare i sentimenti, ed è meglio farlo in una SALA, che dal divano di casa.
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