Il tema del Natale, sempre altamente centrale nelle vaste produzioni hollywoodiane, ha avuto, almeno inizialmente, uno scarso utilizzo nel cinema e nello spettacolo italiano, anche se questi pochi casi sono stati ben esplicati e hanno mostrato una visione tutta italiana delle festività natalizie. La menzione per “La vita è meravigliosa”(1946), di Frank Capra è d’obbligo, come è d’obbligo affermare che questo capolavoro sia il film di Natale per eccellenza, con James Stewart perfetto nell’immagine della speranza e della bontà che stanno nella natura della festività più celebre al mondo: pur se il film cela, nella propria struttura di parabola dickensiana, un acre pessimismo di fondo che il lieto fine non riesce a stemperare.
L’anno dopo la risposta italiana al Natale buonista visto dall’altra parte dell’Oceano, è “Natale al campo 119”, una risposta che si lega perfettamente con il neorealismo, che aveva reso grande il nostro cinema. Il tema del Natale “all’italiana” dunque, si lega al realismo degli italiani ancora internati nei campi statunitensi nel Natale del 1945 (per fortuna sarebbero tornati a casa pochi mesi dopo).
Il film racconta ovviamente una storia ambientata due anni prima, la nostalgia di un ennesimo Natale passato lontano da casa e dai propri cari. I racconti dei prigionieri si fondono con la magia del Natale e con i loro ricordi dell’Italia, ora comici, ora commoventi. Fino all’invocata notizia della liberazione che conclude il film. Un cast strepitoso, costellato di stelle di primissimo piano: Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo e Carlo Campanini. A questo punto, però c’è da osservare come a livello italiano, da acuto osservatore della realtà, sia stato il grande Eduardo De Filippo a cogliere, forse più di ogni altro artista il sentimento che il Natale suscita nel cuore della gente comune. Nato in una città dove tale ricorrenza è sempre stata oggetto di culto particolare a volte anche eccessivo, trovò naturale e quasi inevitabile descriverlo. Ovviamente lo fece a modo suo, da drammaturgo, creando una commedia realistica, completa, impegnata, tra le più apprezzate e conosciute del suo vasto repertorio: “Natale in casa Cupiello”.
Strano, ma vero, è forse l’unica commedia di Eduardo De Filippo, a non aver avuto la sua trasposizione cinematografica, ma ne ha avute due per la televisione, una nel 1962 e una nel 1977, sempre interpretata e diretta dal suo leggendario autore. La commedia è riuscita nel corso degli anni a mantenere intatta la sua vitalità e il suo forte messaggio natalizio, diventando una tradizione fissa delle festività natalizie dell’italiano del secolo scorso, e di quello del nuovo millennio. Rimasto nella memoria collettiva il tormentone ““Te piace ‘o presepio?”, che Eduardo ripete continuamente nel corso della commedia.
Successivamente, il Natale “italiano”, cinematograficamente parlando, ha sempre descritto avventure dedite al lato consumistico dell’italiano medio, al lato vacanziero, che è comunque parte integrante dell’essenza italiana del Natale. Antenato dei “Vacanze di Natale”, che andranno di moda dagli anni ’80 in poi, “Vacanze d’Inverno” del 1958, diretto da Camillo Mastrocinque e interpretato da Vittorio De Sica e Alberto Sordi, è il vero e proprio antenato dei “cinepanettoni” dei giorni nostri. Vengono qui descritti, in un divertente film a episodi intrecciati, le avventure di personaggi diversi, bizzarri, umani e curiosi, alle prese con le vacanze natalizie nella località sciistica di Cortina D’Ampezzo. Scelta non casuale, proprio in quei mesi, Cortina avrebbe ospitato, nel 1958 le prime Olimpiadi invernali ospitate dall’Italia, e in pieno boom economico l’italiano non può certo esimersi dal divertirsi anche a Natale, come se fosse una piccola estate, in montagna anziché al mare: e il cinema non si tirò certo indietro.
Per lunghi anni poi, il tema del Natale nel cinema italiano venne un po’ messo da parte, fino a quando l’intuizione del produttore De Laurentiis aprì le porte del cinema al Natale, inserito nella facile e spicciola commedia di costume. Il 1983 è l’anno di “Vacanze di Natale”, con Jerry Calà, Christian De Sica e Stefania Sandrelli, film rilevante non tanto per la qualità della stessa pellicola, che a dir la verità non è neanche brutta, anzi piuttosto gradevole, ma per il fenomeno di costume epocale, che caratterizzerà tale genere fino ai tempi attuali. La ‘creatura’ ideata da De Laurentiis darà vita ad una serie infinita di ‘copie’, brutte o belle che siano, in grado di reggere allo scorrere degli anni. Perché il Cinema italiano scopre la potenza del Natale in sala, con film ad hoc che lo celebrino anche sul grande schermo: e fa niente se la qualità sarà molto spesso deprecabile, il pubblico dimostrerà di gradire e i produttori ci marceranno.
Eppure non mancano le occasioni importanti, di qualità, come il crudele, ma splendido “Regalo di Natale”(1986) del maestro Pupi Avati, con Diego Abatantuono e Carlo Delle Piane, nel quale il cineasta bolognese descrive la provincia indigena senza pietà o infingimenti, licenziando una parabola ch’è pietra tombale su ogni sentimento, a cominciare da quello dell’amicizia; oppure ancora, il pungente “Benvenuti in casa Gori”(1990, girato da Alessandro Benvenuti nel 1990, il film ruota attorno ad un pranzo di Natale trasformato in un vero e proprio gioco al massacro in famiglia.
Cinica ed originale, la pellicola venne tutt’altro che esaltata dalla stampa dell’epoca, per poi farsi ricordare ed apprezzare con il passare degli anni; e poi degno di nota, con Paolo Villaggio, per una volta lontano dai panni del ragionier Fantozzi, è “Ho vinto la lotteria di capodanno”, del 1989. Alla regia troviamo Neri Parenti, poi diventato 10 anni dopo ‘padre’ del cinepanettone, per una pellicola che astutamente giocò con quello che 25 anni fa era ancora un vero e proprio sogno ad occhi aperti. La Lotteria Italia. Miliardaria, e in grado di trasformare la vita del vincitore. Altri tempi, in cui a riempire le casse dello Stato erano solo e soltanto la schedina del Totocalcio, quella del Totip, e la Lotteria, per l’appunto.
Chiudo infine con un toscanaccio del cinema italiano, Paolo Virzì, autore di “Baci e abbracci”. E’ la fine degli anni 90 e il regista viene dal boom di “Ovosodo”, tanto da cercare una facile conferma. Che non arriva del tutto. Tra equivoci più o meno scontati, una famiglia toscana accoglie in casa un ristoratore fallito, alla vigilia di Natale, credendo sia il nuovo fidanzato della figlia. Evidente l’omaggio a “Trainspotting” di Danny Boyle, con il poster che ricorda Ewan McGregor disteso sulle rotaie, per un titolo che chiude questa ‘carrellata’ natalizia all’italiana.