Era solo questione di tempo.
Oltre a notare empiricamente gli effetti che lo smartphone (anche se sarebbe più corretto dire i social media) sta producendo sulle persone e su me stesso, da qualche tempo iniziano a venire fuori anche delle ricerche che mettono in guardia sull’uso di questi mezzi di comunicazione e sul malessere che sono in grado di generare.
Dalla perdita di concentrazione alla paura di restare fuori dal mondo, dall’innescare forme di pigrizia sino ad arrivare allo sviluppo di ansia e depressione, sono tante e a più livelli le negatività che questi strumenti portano in dote, oltre alle tante opportunità che comunque continuano ad offrire.
Se sino a qualche anno fa non se ne parlava, anche perché sono innovazioni ancora piuttosto recenti, oggi il tema è sicuramente ben conosciuto. Difficile, appunto, non accorgersi di come lo smartphone abbia cambiato non solo le nostre vite lavorative, ma anche la prossemica ed il modo in cui ci relazioniamo.
Così scrivevo il 1° aprile di quest’anno: “Francamente non so se sia un qualcosa su cui legiferare come il codice della strada – non puoi guidare prima dei 18 anni = non puoi usare lo smartphone prima di aver compiuto X anni -, ma sono certo che manchi educazione al tema e la consapevolezza dei rischi. Perché le opportunità ci sono state rappresentate sin da subito, ma dei rischi nessuno ne ha mai parlato esplicitamente. E non solo ai ragazzi. Serve cominciare a farlo seriamente”.
Per l’appunto, era solo questione di tempo. Qualche giorno fa, infatti, il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai, con una petizione che ha raccolto le firme di intellettuali, politici, esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura, si sono appellati al governo per vietare gli smartphone a chi ha meno di 14 anni e i social a chi ne ha meno di 16.
Combattere la dipendenza da schermo e favorire gli scambi relazionali tra i più giovani sono alla base di questa iniziativa. Motivazioni più che condivisibili. Non so quanto però concretamente attuabili. Uno, perché i bambini, inizialmente e per buona parte dei loro primi anni di vita, accedono a smartphone non personali ma dei genitori, due, perché mi sembra un divieto non difficilmente aggirabile.
E quindi se comunque questo appello ha il merito di accendere i riflettori sul tema, sono più felice di leggere – finalmente – la notizia del rilascio di account per teenager su Instagram (segno che Meta, allora, poteva realmente intervenire per arginare questa situazione, ma che opportunisticamente ha lasciato la barca andare, fin che andava) che prevede una serie di limitazioni d’uso automatiche. Accanto ad un uso più misurato, punterei inoltre fortemente sulla formazione per fornire gli strumenti per comprendere con cosa si ha realmente a che fare. Qui il focus deve essere sui giovani, ma soprattutto sugli adulti. Perché devono essere proprio quest’ultimi a educare i primi. Non possiamo onestamente pensare di demandare tutto ad una piattaforma che, di mestiere, fa proprio dell’altro.