“Il Truffatore di Tinder” (titolo originale “The Tinder Swindler”) è l’avvincente documentario Netflix, uscito il 2 febbraio scorso, che racconta la storia di un uomo che, fingendosi figlio di un ricco magnate dei diamanti, ha estorto a numerose donne milioni di dollari. L’israeliano Simon Leviev, nato Shimon Hayut, è il protagonista di questa vicenda che, attraverso la app di incontri Tinder, conosceva le sue vittime e le abbindolava già dal primo appuntamento, mostrando loro il suo folle stile di vita fatto di aerei privati, vacanze in luoghi meravigliosi, auto, vestiti e cene costosissime.
Dopo un primo periodo di romanticismo a sei stelle, iniziava improvvisamente a raccontare di minacce ricevute dai nemici della sua famiglia che lo ricattavano mettendo in pericolo la sua vita, per questo chiedeva grosse somme di denaro alle povere vittime che, per paura e per amor suo, gli inviavano prontamente e con questi soldi lui continuava a fare la sua vita da super ricco in giro per il mondo. Scoperta la truffa queste donne hanno unito le forze per smascherarlo e vendicarsi di lui, non dopo aver perso moltissimi soldi.
Guardando questo documentario viene da chiedersi come avremmo agito noi al posto di quelle donne, ci saremmo cascati anche noi o non ci saremmo fidati sin da subito? E’ per questo motivo che ho cercato di comprendere meglio i comportamenti delle malcapitate, colpevoli solo di voler trovare l’amore. Per capire i loro comportamenti ho deciso di porre delle domande allo dott. Armando De Vincentiis, psicoterapeuta e collaboratore del nostro magazine, così da svelare i meccanismi psicologici che passano nella mente di una persona vittima di una truffa, non solo economica, ma anche emotiva.
Dott. De Vincentiis qual è il bisogno che spinge una persona a cercare ossessivamente l’anima gemella su app e social network?
“Partiamo dalla premessa che una persona che cerca ossessivamente l’anima gemella su app e social è una persona che la cerca a prescindere, ma è una persona che ha scarse competenze relazionali e nel momento in cui non è in grado, o crede di non essere in grado, di entrare in una relazione significativa o di cominciare ad intraprendere una dinamica di conoscenza dal vivo, allora preferisce le app o i social, per il semplice fatto che ha una sorta di corazza; si sente più sicuro perché non ci mette subito la faccia, non è costretto a mettere in atto delle competenze che probabilmente non ha o non sa mettere in atto, quindi mette una sorta di scudo così mal che vada restano soltanto parole dette sui social”;
Oltre al puro divertimento fisico/sessuale le ragioni possono essere anche profondamente emotive?
“Ci sono implicazioni emotive come le scarse competenze relazionali già citate, oppure il motivo è che non si ha una rete sociale e ci si sente costretti a mettere in atto azioni di ricerca all’interno della rete virtuale; ci possono essere delle dinamiche emotive come la paura di una relazione, la paura di intraprendere un percorso dal vivo e questo spinge a rimanere nel virtuale, come una sorta di difesa emotiva”;
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Cosa spinge una persona ad ostinarsi a credere che l’altra persona, talvolta ancora sconosciuta, sia totalmente sincera e leale, anche quando, come in questa storia del documentario, la realtà è palesemente diversa?
“Una persona è spinta dal bisogno di credere che dall’altra parte ci sia una persona sincera e quindi non fa altro che proiettare delle aspettative; mi aspetto che una persona sia sincera perché ho bisogno che la persona lo sia e proietto la mia fantasia; nei miei desideri la persona che incontrerò, oltre ad essere bella e simpatica, sarà sincera perché io stesso ho deciso di mettere in atto la sincerità e voglio essere leale perché sono spinto da questo bisogno che mi spinge a credere che anche l’altro sarà leale; questa è una costruzione, una proiezione mentale”;
Quanto è pericoloso affidare ad una foto vista in fretta la responsabilità della nostra felicità?
“Può essere pericoloso perché possono venir meno le nostre aspettative; la maggior parte delle foto sui social sono filtrate e non rispecchiano sempre la realtà, quindi, si rimane fortemente delusi perché tutto ciò che vediamo è una sorta di forzatura, in molte occasioni sono dei veri e propri bluff, delle truffe, non penali ma emotive; l’altro ti mostra come è anche se nella realtà non è davvero così ed il pericolo sta nella profonda delusione, non soltanto nell’aspetto fisico, ma anche di non trovare in questa immagine quelle caratteristiche psicologiche di onestà ed altruismo che io ho costruito nella mente e proiettato all’esterno, nel bisogno forte che queste si verifichino”.
Simon Leviev, dopo un periodo di carcere, è attualmente libero e si difende con queste parole “Ero solo un ragazzo single che voleva incontrare ragazze su Tinder…non sono state truffate né minacciate…mi sento male solo per quello che è capitato a me, per le cose che non ho fatto”.
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