“Iperconnessi e in disaccordo con tutti”: cantava così Vasco Brondi con Le Luci della Centrale Elettrica nel 2017, raccontando tutto il disagio di una generazione in cui i rapporti sociali sono filtrati da uno schermo, dove a contare è la società dell’opinione e siamo tutti un po’ haters.
Se quello raccontato dalla canzone era vero 5 anni fa, lo è ancor di più oggi, dove il forzato distanziamento sociale ci ha allontanati fisicamente ma ha incredibilmente aumentato le possibilità di comunicazione.
A pensarci bene, il nostro smartphone è ormai supermarket, banca, agenzia viaggi, biblioteca, discoteca, sala cinematografica etc, ma è anche compagno di lavoro, allenatore, amico; abbiamo smesso di parlarci ma abbiamo cominciato a parlare con gli apparecchi elettronici, magari ci sentiamo in imbarazzo ad incontrare una persona ed a farci un discorso faccia a faccia ma non abbiamo nessun problema a scriverle e a chattare ore ed ore con lei, oppure a conoscerla nel Metaverso.
Se ci facciamo caso, è completamente cambiato il nostro modo di comunicare: se da un lato non racconteremmo mai dal vivo ad un perfetto sconosciuto chi siamo e cosa facciamo, dall’altro affidiamo i nostri pensieri più reconditi ad un post sul nostro profilo Facebook o ad una storia di Instagram, e raccontiamo senza remore a chiunque la nostra quotidianità, cosa facciamo durante il giorno o in vacanza, cosa mangiamo e dove ci troviamo, insomma: “Siamo l’esercito del Selfie”, tormentone estivo di qualche anno fa di Takagi & Ketra, e non ce ne siamo neanche accorti.
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In 20 anni è cambiato tutto. Ai media tradizionali si è affiancato internet. Lo smartphone ci ha portati nel futuro. Con le applicazioni si sono creati nuovi modelli di business. I social hanno fatto il resto. Oggi tutto è comunicazione!
La stessa situazione che ci raccontano Fedez e J-AX in un altro tormentone dell’estate 2016, “Vorrei ma non posto”, in cui è naturale che l’I-Phone abbia preso il posto di una parte del corpo; anche l’approvazione sociale, poi, passa per i social, se ne erano già accorti Fabio Rovazzi e Gianni Morandi, che di social se ne intendono, mettendo in musica i paradossi della vita on-line nella loro “Volare”, e persino “L’amore ai tempi del cellulare”, per dirla alla Vasco Rossi, è cambiato.
È cambiato il modo di raccontarlo agli altri, come ironizzano I cani in “Questo nostro grande amore”, è cambiato il modo di innamorarsi come racconta Shade in “Amore a prima Insta”.
Ma i social piacciono davvero a tutti e tutti ne subiscono il fascino?
Se la gran parte non riesce a farne a meno, ci sono musicisti che proprio li detestano e non hanno paura di cantarlo anche a costo di diventare impopolari.
Per i Tre Allegri ragazzi morti, siamo tutti “Persi nel telefono”, per i Linea 77 la società iper connessa serve a controllarci (“Dividi et Impera” – 2015), mentre Caparezza pone l’accento sulla superficialità dei social network in “Chi se ne frega della musica” e Marracash ci mette in guardia dalla possibilità di sviluppare una “Sindrome depressiva da social network”.
Se da un lato il rischio di scollegarsi dalla realtà è tangibile, dall’altro ignorare il fenomeno dei social network non porterà che ad isolarci ancor di più; “moltitudine o solitudine” canta Vasco Brondi mentre ci ricorda che “Da qualche parte c’è ancora sporchissimo il reale”.
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