L’arte e la musica del Bel Paese, hanno da sempre ispirato il mondo ed educato alla bellezza, nell’immaginario collettivo, infatti, l’italiano è considerato creativo, forse un po’ pittoresco, ma sempre dotato di un grande talento.
Di questi tempi cupi però, credo che l’Italia abbia mostrato altre doti al mondo, doti di cui forse non siamo sufficientemente consapevoli.
Le vicende legate al Coronavirus, hanno visto un’Italia più coesa e disciplinata, più solidale, ma anche capace di far fronte a situazioni complesse senza risparmiare enormi sacrifici.
È “l’Italia che resiste”, tanto cara a Francesco De Gregori, che riesce a dare un significato nuovo al concetto di “Resistenza”, svincolandolo da quello che storicamente gli viene attribuito.
A dire il vero, il processo era iniziato ancor prima ed in un modo del tutto inconsapevole: ci avevano pensato Tokyo, Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Helsinki, Oslo, Lisbona, Stoccolma, Bogotà, Palermo e Marsiglia, capeggiati da “Il Professore”, personaggi della serie culto spagnola “La casa di carta”, ideata da Àlex Pina.
Ma che c’entra la Resistenza italiana con quella che poteva essere una serie TV come tante altre?
Chi ha già visto la serie, sa che la resistenza è la chiave di volta di una storia incentrata su un’ambiziosa rapina alla Zecca di Spagna, in cui i rapinatori vestono tute rosse e si coprono il viso usando maschere di Salvador Dalí e in alcuni momenti topici, intonano un canto a noi familiare.
“Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao!
Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor. O partigiano portami via,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao! o partigiano portami via
che mi sento di morir.”
È “Bella ciao”, uno dei nostri canti partigiani più conosciuto e chissà quante volte ci sarà capitato di ascoltarlo, eppure mai avremmo pensato che sarebbe diventato l’elemento distintivo di una serie TV del colosso Netflix, suggerendo un racconto così passionale ed intenso, ma anche così distante dalle vicende storiche della Resistenza italiana e che, grazie al suo successo planetario, avrebbe ispirato movimenti ecologisti e per i diritti civili in ogni parte del mondo.
Miracoli del fenomeno “La casa de papel”, che grazie allo streaming on-line ha ormai milioni di fan ed ha reso virali anche le musiche, a cominciare dalla sigla “My Life Is Going On” interpretata da Cecilia Krull, utilizzate per creare una bellissima e ricercata colonna sonora, che abbraccia moltissimi generi diversi ed in cui la musica italiana ha un ruolo fondamentale, soprattutto nella terza e nella quarta stagione.
Un grandissimo omaggio alla musica italiana nel suo complesso, che gli autori hanno fatto selezionando sapientemente canti religiosi, popolari, musica antica e ricercate canzoni cantautorali.
Anche se gli autori hanno spesso raccontato che la scelta di “Bella Ciao” fu quasi del tutto casuale, a loro si deve la grande capacità di essere riusciti ad integrarla nella storia, facendola diventare il fulcro e non solo un piacevolissimo contorno ed a loro, sicuramente, si deve l’enorme diffusione della canzone, utilizzata in moltissime versioni, anche tradotte, ma di cui ci piace ricordare quella dei Modena City Ramblers, all’inizio della seconda stagione.
La forza di un canto che riprende vigore dopo oltre settant’anni dalle vicende che animarono la Resistenza italiana, non può essere solo legata ad un serie televisiva, seppur girata magistralmente e con una sceneggiatura impeccabile, per diventare inno, ci deve essere qualcosa di più che si può ricercare nell’orecchiabilità musicale, che contraddistingue la musica popolare, ma anche nell’estrema semplicità del testo, che proprio perché comprensibile a tutti, così profondo e carico di significato.
Eppure, non tutti sanno che “Bella Ciao”, non si diffuse durante la battaglia contro le forze nazi-fasciste, ma solo dopo la Liberazione, anche se non si può escludere che alcuni reparti di partigiani della zona di Modena e Reggio Emilia la conoscessero e cantassero già, anche perché ha origini incerte e non riconducibili ad un autore preciso, fatto sta che il suo significato ancora attuale, ora declinato in chiave “pop”, oggi acquista nuova vita.
Che l’omaggio degli spagnoli alla musica italiana comprendesse una qualsiasi delle meravigliose canzoni che costellano la discografia del maestro Franco Battiato, tutto sommato, lo si poteva immaginare, soprattutto se la canzone utilizzata per il matrimonio tutto italiano di Berlino, è uno dei più grandi successi di Battiato, come “Centro di gravità permanente”.
“La voce del padrone”, LP del 1981 che contiene questo brano, fu il primo disco italiano a raggiungere il milione di copie vendute in Italia, successivamente tradotto in altre lingue per il mercato estero, amato e conosciuto soprattutto sul mercato iberico.
Chi si sarà appassionato alle vicende dei personaggi de “La casa di carta”, sicuramente avrà notato che la scelta del brano non sarà stata casuale, visto che Berlino è un personaggio che, più degli altri, cerca di trovare un difficile equilibrio interiore e che, ad intonarlo in coro al suo matrimonio, sono dei religiosi, monaci cistercensi, anche se ben diversi dai “gesuiti euclidei” delle visioni di Battiato.
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Questo particolare momento necessita di una azione collettiva che vada oltre il semplice ottimismo che da solo non basta, anche se comunque aiuta. Solo insieme si può uscire da questa situazione.
Italiana, è anche la canzone che Berlino sceglie di dedicare alla sua sposa, “Ti amo” di Umberto Tozzi, una dichiarazione d’amore talmente tanto palese che è inutile commentarla.
Palese ma non scontata, nella bella interpretazione di Pedro Alonso (Berlino), versione karaoke con tanto d’accompagnamento corale.
Non è la prima volta che una canzone di Tozzi viene utilizzata dalla cinematografia internazionale, basti pensare a tutti film in cui è stata inserita la sua “Gloria”, ed anche “Ti amo”, dal 1977 ad oggi, è stata inserita in film cult come “I nuovi mostri” ed “Asterix e Obelix: Missione Cleopatra”.
Per utilizzare queste pietre miliari della discografia italiana, seppur in modo così azzeccato, non ci volevano sicuramente un arco di scienza o i potenti mezzi della produzione Netflix; stiamo parlando di canzoni datate e dal successo planetario anche se, visto che si tratta di una produzione estera, sicuramente la scelta non appare ovvia.
Quello che invece mi ha colpito ed ha reso interessante la selezione musicale, tanto da arrivare a credere che ci sia ricerca da parte degli autori, è stato l’utilizzo della musica antica, decontestualizzata dal classico film storico e perfettamente inserita in un contesto moderno ed anticonvenzionale.
Così la musica di Antonio Vivaldi, irrompe nella serie in tutta la sua bellezza e cosa importa se è quella che tutti conoscono, l’”Estate” de “Le quattro Stagioni”, che quelli bravi, chiamerebbero “Concerto Nº 2 in Sol minore, opera 8, RV 315” ed, in fondo, è irrilevante che i canti gregoriani utilizzati non siano autentici, ma solo composizioni di Ronald Stein, un autore contemporaneo statunitense, l’effetto sonoro unito alla magia del convento nella campagna toscana, riescono a spacciare per autentico anche un buon falso e l’omaggio alla musica italiana resta immutato.
In fondo gli autori della serie ci hanno ben abituati al gioco degli scambi tra l’autentico ed il falso, rendendo credibile anche il talentuoso calciatore Neymar Jr., nei panni di un monaco alle prese con i canti gregoriani.
L’amore per l’Italia e la sua musica oltrepassa i confini dei personaggi e tocca la sfera personale degli attori impegnati nella serie TV, molti hanno dichiarato più volte di essere affascinati dal Bel Paese ed in particolare, Álvaro Morte (Il Professore), ha dichiarato di amare profondamente la nostra musica barocca, confermando una certa attinenza con il suo personaggio dai gusti ricercati.
Questo importante tributo riservato alla nostra arte da parte dell’intero staff di una produzione così prestigiosa, come quella di Netflix, oltre che lusingarci, dovrebbe farci riflettere sull’immenso patrimonio, musicale e non, di cui costantemente non ci curiamo e che, invece, ci rende riconoscibili ed amati in tutto il mondo, non a caso, negli ultimi tempi, è stata proprio Netflix a scegliere l’Italia come set privilegiato per le sue produzioni, utilizzando location originali, distanti dalle solite città d’arte che tutti conoscono.
Intanto, mentre riflettiamo sulle nostre bellezze, resistiamo, come tutti, aspettando la quinta stagione, curiosi di sapere se la storia d’amore tra “La casa de papel” e la musica italiana continuerà ancora.
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