La grande illusione – Il Film

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1970

 

“La grande illusione”, il capolavoro del regista Jean Renoir, è uno dei più bei film pacifisti che siano mai stati girati. Considerato tra i venti migliori film della storia del cinema mondiale, è un film educativo, che meriterebbe di essere studiato nelle scuole. “La grande illusione” ha in sé il presagio della catastrofe imminente, è infatti il film che seppe presagire la catastrofe incombente del secondo conflitto, già alle porte. Un’esperienza, quella della Prima Guerra Mondiale, vissuta dallo stesso Renoir, che avrebbe scavato solchi nella sua memoria fino a determinarne il dichiarato pacifismo.  La storia della Grande illusione è tutta un susseguirsi di traversie, fino all’attuale restauro.

la-grande-illusione-foto-1Questo perché era un film scomodo politicamente, in un’epoca, eravamo al 1937, piena di tumulti. Da un lato c’era la Germania nazista, con Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, il quale dichiarò che il film era “il nemico cinematografico n.1”; dall’altro in Italia, il film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1937, fu boicottato, nonostante Renoir vinse il Premio per il miglior complesso artistico, un premio però, inventato ad hoc per non dargli la Coppa Mussolini. La storia travagliata del film non finì qui, già nel 1939 i venti di guerra impongono altri tagli, in particolare viene smussato quel senso di fratellanza universale che attraversa il film.

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Vietato nella Germania nazista, in Italia Mussolini non lo volle e sarebbe uscito solo nel 1947, con tre passaggi di censura, l’ultimo dei quali firmato da Giulio Andreotti. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, La grande illusione tornò in sala in Francia, ma il personaggio della contadina tedesca interpretato da Dita Parlo venne decisamente ridimensionato. Nel 1958 il film uscì nuovamente con un montaggio dello stesso Renoir il più possibile fedele all’originale, ma sarà solo dopo il ritrovamento del negativo originale che La grande illusione potrà essere rimontato esattamente com’era: il negativo originale era infatti sparito da Parigi durante l’occupazione nazista e portato a Berlino, da dove venne prelevato dai sovietici che lo portarono a Mosca. Grazie ai buoni rapporti instaurati tra la Cineteca di Tolosa e quella di Mosca nel 1960 fu possibile riportare il negativo in Europa Occidentale. In ultimo, quattro anni fa, il film è stato restaurato e riportato all’antico splendore, per una pellicola dichiarata “patrimonio dell’umanità”, già all’epoca da un mostro sacro come Orson Welles, che dichiarò:  “Se dovessi scegliere un solo film da portare sulla mia Arca di Noè, da salvare per la posterità, sarebbe sicuramente La grande illusione“.

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Con Les Enfants du ParadisLa grande illusione è il film più celebre del cinema francese. Fu anche il più grande trionfo commerciale di Renoir. Ma soprattutto è interpretato da autentiche icone del cinema come Jean Gabin, Erich von Stroheim. Renoir sottolinea il tema a lui caro della solidarietà sovranazionale fra le classi attraverso l’amicizia di due aristocratici, ufficiali in carriera. Fra i rappresentanti delle diverse classi sociali, come fra i due popoli in guerra, non c’è alcuna traccia di odio o di ferocia. Ovunque e ad ogni livello, invece, c’è amicizia, nobiltà, grandezza d’animo e sacrificio. Questa idealizzazione dei personaggi consente al regista di esprimere un aspetto particolare della sua visione del mondo, dove l’individuo deve sempre essere salvato. Meravigliosa è poi la maniera in cui è descritto il conflitto bellico, Renoir non mostra né una trincea, né un assalto alla baionetta, né un duello aereo (lo stesso regista, che aveva combattuto tra le fila dell’aviazione, scrisse il soggetto basandosi sui propri ricordi e sui racconti degli amici Pinsard e Spaak).

la-grande-illusione-foto-3Renoir “sublima” la guerra, spostando l’azione all’interno di quella sorta di “universo parallelo” che è il campo di prigionia, un luogo perfetto per mettere a confronto personaggi eterogenei per provenienza, cultura e, soprattutto, classe sociale. Ne La grande illusione vediamo interagire fra loro un aristocratico (de Boëldieu/Fresnay), un meccanico (Maréchal/Gabin), un ricco borghese, ebreo e cosmopolita (Rosenthal/Dalio), un attore (Cartier/Julien Carette), un ingegnere del catasto (Gaston Modot) e un insegnante (Jean Dasté). Ognuno di essi rappresenta in qualche modo – nell’eloquio, nei gesti, nelle abitudini – un carattere ben preciso della propria classe di provenienza (e della Francia del 1937), ma al contempo sfugge alla qualifica di personaggio-simbolo.

Arrivati a questo punto si potrebbe proseguire approfondendo il tema del pacifismo, così fortemente (e giustamente) sottolineato dallo stesso Renoir; bisognerebbe spiegare il titolo del film (l’illusione di un mondo senza guerre? L’illusione di una società senza classi?); sarebbe giusto approfondire ancora di più le traversie del film dopo la sua distribuzione, con Germania e Italia che proibiscono il film e Céline che accusa Renoir di essere al soldo dell’ebraismo internazionale (un’accusa di segno opposto penderà sul film nell’immediato dopoguerra). Con grande semplicità André Bazin (critico cinematografico francese) ha scritto che il cinema di Renoir sembra fatto “con la pelle delle cose. Da ciò deriva che la sua regia è delicata, ma nello stesso efficace come una carezza”. Una carezza. Forse è questo il segreto della generosità di un film come La grande illusione: libero, antimilitarista, poetico, ma anche politico, insomma uno straordinario affresco di un’epoca di transizione.

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