La “nuova” frontiera del cinema italiano: la commedia corale

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Dalla seconda metà degli anni ’90, almeno fino a tutto il primo decennio del nuovo millennio, il cinema italiano dal punto di vista qualitativo ha affrontato il punto più basso della sua centenaria e gloriosa storia. Viceversa, è il caso di dirlo, nel secondo decennio degli anni ‘2000, le cose sono cambiate radicalmente. E non parliamo soltanto per l’assidua opera dei nostri cineasti più illuminati: Sorrentino, Garrone e pochi altri. Ma parliamo di tutto l’humus artistico e culturale che prende vita nella pancia media del nostro cinema. In quella sorta di via di mezzo tra il film d’autore e quello più semplice o ridanciano. E qui ci rifocalizziamo sul genere che ha fatto la fortuna del nostro cinema, ovvero la commedia.

La commedia all’italiana infatti, era un genere che parlava degli italiani, di noi stessi, dei nostri tanti vizi e delle nostre poche virtù. Lo si è fatto negli anni ’60 e lo si è riproposto con altri volti e altre situazioni, negli anni ’80. Oggi, alla luce di tutte le trasformazioni che ha subito il cinema dal 2010 ad oggi, possiamo con certezza dire, che siamo di fronte ad una “terza” commedia all’italiana, basata sul gioco di squadra, sulla coralità e su una qualità interpretativa davvero considerevole da parte delle nostre giovani o meno giovani leve.

Negli ultimi anni infatti, una squadra di attori si sta facendo avanti in formazione compatta, interpretando film dalla struttura corale ben orchestrata. No, non stiamo parlando della manciata di interpreti, spesso provenienti dalla televisione o dal cabaret (o peggio, dal cabaret televisivo), che popola da anni le commedie dei “telefoni bianchi”. Parliamo di quel gruppo legato da affinità artistiche e da un’amicizia decennale che ha trovato la sua vetrina principale negli ultimi film di Paolo Genovese, di Edoardo Leo, di Rocco Papaleo, di Massimiliano Bruno, di Sydney Sibilia, di Francesca Archibugi, di Gabriele Muccino e potremmo ancora continuare. Ricordate la banda Salvatores negli anni Ottanta e Novanta?

Ecco, oggi intorno ad alcuni autori, si è creata una squadra che non solo si interfaccia a livello di recitazione, ma contribuisce al progetto in fase di sceneggiatura, talvolta partecipando anche alla produzione, e formando una sorta di factory creativa di quelle che erano a lungo mancate al cinema italiano. Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Alba Rohrwacher appaiono sia in “The place”, che in “Perfetti sconosciuti”; ma Marco Giallini è stato anche tra i protagonisti di “Tutta colpa di Freud”, dove troviamo anche Alessandro Gassman. Lo stesso attore e figlio d’arte interpreta pure “Il nome del figlio” al fianco di Valeria Golino e Rocco Papaleo, e proprio con quest’ultimo ha intrapreso un profondo rapporto amicale e lavorativo, da “Basilicata coast to coast” a “Onda su onda”, diretti entrambi da Papaleo. A cui Gassman ha restituito il favore dirigendolo nel film “Il premio”, in uscita a fine 2017 e dove si registra anche la presenza del sommo Gigi Proietti.

Poi c’è Edoardo Leo, direttamente dalla saga in tre film di “Smetto quando voglio”, dove troviamo anche il “grosso” Stefano Fresi, che già aveva lavorato con Edoardo Leo in “Noi e la Giulia”, e che a novembre è in sala con “La casa di famiglia”, interpretato tra gli altri anche da Lino Guanciale. In “Noi e la Giulia” oltre a Claudio Amendola c’è anche Anna Foglietta, strepitosa moglie di Valerio Mastandrea nel film “Perfetti sconosciuti”. E in “Perfetti sconosciuti” c’è anche Giuseppe Battiston, che già con “Bar sport” aveva sperimentato la commedia corale. E non possiamo non citare o non ricordare “A casa tutti bene”, l’ultima fatica corale di Gabriele Muccino, in un cast monstre che annovera attori di consumato talento come Gianmarco Tognazzi, Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi.

Ma tutt’intorno ci sono anche altri attori, che in maniera più sporadica partecipano al completamento del genere, sviluppatosi per intuizione o forse solo per mero successo commerciale negli ultimi sei/sette anni. Ci sono in ordine sparso Barbara Bobulova e Riccardo Scamarcio per “Una piccola impresa meridionale”; Claudio Amendola per “Noi e la Giulia”; Valeria Golino e Micaela Ramazzotti per “Il nome del figlio”; Kasia Smutniak per “Perfetti sconosciuti”; Silvio Muccino e Sabrina Ferilli per “The place”; Pietro Sermonti e Giampaolo Morelli per la saga di “Smetto quando voglio”; Michele Placido per “Viva l’Italia”; Giovanna Mezzogiorno per “Basilicata coast to coast”; Gigi Proietti per “Il premio”; Lino Guanciale per “La casa di famiglia”.

Insomma tutti questi attori e autori lavorano in sinergia dentro e fuori dal set e rappresentano ormai una vera e propria squadra, che alternandosi, si presenta più o meno sempre compatta al giudizio del pubblico. Che cosa comporta questa tendenza in fase di realizzazione? Comporta una collaborazione artistica e uno scambio creativo che non si vedeva dai tempi della commedia classica all’italiana. Certo, non necessariamente raggiungendo gli stessi risultati artistici, ma certamente aspirando alla stessa sintonia. È un fatto noto che alla scrittura di “Perfetti sconosciuti”, ad esempio, oltre al team di sceneggiatori, hanno partecipato attivamente gli interpreti, aggiungendo aneddoti e dettagli per arricchire le loro caratterizzazioni e il flusso del racconto. Ma lo stesso discorso può essere fatto per “Noi e la Giulia” o per “Smetto quando voglio” e altri film corali dell’attuale periodo.

Insomma ci troviamo di fronte ad un vero e proprio lavoro d’orchestra, che è ben evidente anche quando le avventure degli interpreti non si svolgono perennemente insieme. Infatti, in “The place”, nonostante gli interpreti recitino insieme regolarmente, uno alla volta, solo con Valerio Mastandrea, è evidente che fra di loro si è formato un team e si è instaurata una familiarità che, per lo spettatore, comincia ad avere il valore di un ritrovo fra amici. E di questo gioco di squadra, di questo lavoro d’orchestra, come lo avevamo chiamato sopra, ne giova tutto il cinema italiano attuale nel suo complesso. E il fatto che questa coralità, sia pienamente inserita nel discorso del genere della commedia, non fa che aumentare i paragoni con il passato e il prestigio dell’attuale lavoro d’orchestra. Perché se è vero che il passato dei Gassman padre, dei Tognazzi o dei Manfredi è difficilmente raggiungibile; è pur vero che questo gruppo di attori conferma la propensione italica alla commedia, dove probabilmente nessuno è stato bravo o è bravo quanto noi. E se l’età anagrafica di questo gruppo d’attori, più o meno coincide e si attesta sull’età di mezzo, segno inequivocabile di una certa esperienza lavorativa, nonché di una giovinezza d’animo che tarda a scomparire, quella che vediamo sul grande schermo è una squadra compatta e coesa, riconoscibile come gruppo creativo, e non solo come singole professionalità.

Ma è il ping pong fra questi attori abituati a confrontarsi anche fuori dal set a creare quell’onda d’urto che, al di là della singola riuscita artistica dei film che interpretano, porta pubblico in sala e crea appuntamento. E non è poco, per il cinema italiano. Ormai dunque, si è creato un nuovo genere, quello della “commedia corale” e se giocassimo un po’ a cercare un prodromo o una paternità a questa invenzione cinematografica del secondo decennio degli anni 2000, un capostipite può essere rintracciabile in “Basilicata coast to coast”, picaresco film diretto da Rocco Papaleo, un po’ “Armata Brancaleone” e un po’ commedia errante, che rispolverando la vecchia commedia corale ha fatto capire ai nostri autori, come il gioco di squadra tra attori, può creare sinergia, competenza, esperienza e quant’altro al servizio di un “nuova” commedia all’italiana, che letteralmente è la descrizione di noi stessi vista attraverso gli eroi del cinema. E in tal senso, nel cinema italiano attuale, nessun film descrive i vizi, i segreti e le piccole meschinità dell’italiano medio meglio di “Perfetti sconosciuti”, de “Il nome del figlio” e di “A casa tutti bene” che nella commedia corale attuale ne rappresentano i modelli da seguire, in vista di altri futuri capolavori.

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