Che decennio gli anni ’80! Un decennio che ha portato con se una inimitabile ventata di ottimismo, modernità e spensieratezza. Un decennio che arriva dopo i cupi anni ’70, dopo le stragi delle Brigate Rosse, dopo un’epoca di tumulti nella società e nella politica italiana. Solo pochi anni prima erano accadute alcune gravi tragedie che avevano scosso l’opinione pubblica: la strage di Piazza Fontana a Milano, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, il suicidio “sospetto” di un grande e popolare artista come Alighiero Noschese. Eppure quando arrivano gli anni ’80, cambia tutto. Un rinnovato clima di spensieratezza riavvolge l’Italia, come se ci fossimo ricatapultati venti anni addietro, ovvero negli anni ’60. Un nuovo boom economico investe la penisola, e fu una ripresa economica piuttosto intensa, che investì tutti i campi, dalla musica alla televisione…al cinema. Non poteva certo mancare il cinema, che è da sempre lo specchio della nostra società. Il cinema è qualcosa di più di un trattato sociologico, è qualcosa che fa parte della cultura e della storia del nostro Paese. Negli anni ’70, in sintonia con i tempi, la commedia all’italiana si era fatta cupa, triste, sconsolata (“Una storia triste è meglio per l’Inverno”, dice il piccolo Mamilio in The Winter’s Tale, di William Shakespeare); e quella più popolare era diventata irrimediabilmente volgare, trita e ritrita di seni al vento e di parolacce sconce, in linea con l’involgarimento culturale della società italiana. La prova lampante che il cinema italiano ha da sempre viaggiato a braccetto con le evoluzioni e le involuzioni della società italiana. Poi di colpo arrivano gli anni ’80, un bagliore di luce nella notte, l’acqua nel deserto, e la fiducia riprende a circolare nel nostro Paese. Certo, era tutta l’economia occidentale ad essere corposamente in ricrescita. La ripresa nasceva da una buona situazione dell’economia mondiale, favorita soprattutto dal ribasso dei prezzi del petrolio, e da una nuova disponibilità interna degli imprenditori ad investire. L’”urbanizzazione” e la “nuclearizzazione” nonché una maggiore ricchezza delle famiglie italiane comportò la nascita di un “terziario” come non era mai avvenuto prima, il quale da una parte offriva servizi ad una famiglia non più in grado di essere autosufficiente e dall’altra offriva servizi alla persona in ragione delle nuove esigenze e bisogni.
E’ soprattutto a partire dal boom economico degli anni ‘80 che in Italia avvenne tutto questo: dall’apertura di nuovi asili nido e di scuole per l’infanzia all’apertura delle scuole superiori e di nuove sedi universitarie, dall’apertura di nuove case di riposo per anziani alle nuove sedi ospedaliere e farmacie, dalle palestre alle sedi delle concessionarie di automobili, dai negozi per la vendita di elettrodomestici, ai centri di vacanza e così via dicendo, praticamente quasi tutti quei servizi che oggi fanno parte della nostra vita quotidiana. E nel cinema riprende a marciare la “nuova” commedia all’italiana, finalmente epurata da quegli elementi tristi che l’avevano caratterizzata nel decennio precedente. Arrivano anche le cosiddette “nuove leve”: Paolo Villaggio, Enrico Montesano, Massimo Troisi, Carlo Verdone, Lino Banfi, Jerry Calà, Adriano Celentano, Diego Abatantuono, Christian De Sica…tutti attori brillanti, in sintonia con il determinato periodo storico. A tal proposito, anche gli elementi beceri della cosiddetta “commedia sexy all’italiana” degli anni ’70, iniziano a cessare per dare spazio alla comicità pura, verbale, fisica, ma finalmente de-volgarizzata ( per quanto possibile).
In questo senso, è sensazionale il cambio di rotta che dà Lino Banfi alla sua carriera di attore brillante, quando si smarca dal genere “boccaccesco”, virando decisamente verso la “nuova” commedia all’italiana degli anni ’80. Banfi è considerato a tutti gli effetti un artista della commedia, poichè ha inventato di sana pianta un genere, un personaggio, dei modi e una intera situazione socio-culturale tipica di una grossa fetta d’Italia, in maniera molto simile a quello che fece Alberto Sordi negli anni cinquanta e sessanta. In questo senso Banfi è strepitoso, scatenato, sublime, nel ruolo di un combinaguai degno del Peter Sellers pasticcione di Hollywood Party, nel film “Vieni avanti cretino”(1982), che rimane uno dei più divertenti della storia del cinema italiano…e senza la minima volgarità. E poi c’è l’allegro trionfo cinematografico della maschera creata da Celentano, il burbero, ingenuo e simpatico ragazzotto di provincia che conquista il pubblico del cinematografo. Dal 1978 al 1982 ininterrottamente, Celentano è campione di incassi al botteghino.
E poi ancora, c’è Enrico Montesano, probabilmente il re della “nuova” commedia all’italiana, il vero erede della romanità di Manfredi e di Fabrizi, che porta al cinema la “maschera” dell’innocenza, un pò modellata sull’eredità di Macario, un pò sulla popolaresca comicità romana, fatta di giochi di parole e battute salaci. La sua è una continua scalata ai vertici del cinema italiano, con l’apice che è raggiunto proprio nel 1980, quando vince il David di Donatello speciale per l’insieme di tre splendide interpretazioni, che aprono la strada a quella che sarà la spensieratezza dilagante del decennio: “Aragosta a colazione”, “Il ladrone” e “Qua la mano”. Tre prove memorabili, con la prima che fonde, in un abile commistione, la comicità all’italiana, la commedia degli equivoci e la pochade francese, senza scadere mai nella volgarità di moda in quegli anni; la seconda è una riuscita rivisitazione dell’epoca di Cristo; e la terza, nell’episodio “Sto così col Papa”, è invece una memorabile caratterizzazione di Montesano vetturino romano, dunque erede ormai dichiarato di Fabrizi, che riesce a conoscere addirittura il Papa.
E poi ancora, va nominato Massimo Troisi, che grande attore, rimasto indelebilmente legato all’Italia di quegli anni, anche (ahimè) per la sua prematura scomparsa (n.d.r. 1994). Per descriverlo mi affido alle parole di Orio Caldiron, professore di storia e critica del cinema alla “Sapienza”: “La sua comicità non sconvolge lo sguardo, arriva al cuore, allo stomaco, fino alla testa. Non abbandona lo spettatore, perchè affronta le paure dell’uomo, l’impossibilità di raccontare gli amori, gli umori…Una maschera moderna: voce e volto di un carnevale dei sentimenti eterni, portati in scena con pudore e autoironia. E’ quasi impossibile non essere suggestionati nella visione dei suoi film, o dei suoi monologhi, da quel timbro di voce inconfondibile, che rimane nella testa e nel cuore, così come tutta la musicalità del dialetto napoletano”.
Giunti a questo punto non si può non nominare, il film simbolo della spensieratezza di quegli anni, e non solo anche l’attore simbolo degli anni ’80, un po’ l’icona che è rimasta nell’immaginario popolare, sto parlando di “Sapore di mare”(1982) e di Jerry Calà. Energia indomabile, parlata inconfondibile e faccia da simpatica canaglia, Jerry Calà è l’attore per eccellenza del periodo dorato degli anni ’80 italiani. L’epocale pellicola “Sapore di mare” inaugurò un genere destinato ad avere grande successo in quegli anni e negli anni futuri, i fratelli Vanzina ( Enrico e Carlo) ebbero l’intuizione di rinfrescare una vecchia formula- la commedia balneare anni ’50- con tocchi goliardici e dialoghi parolacciari al passo con i tempi (Calà, il vero mattatore della pellicola, entra in scena cantando “Per quest’anno, non cambiare, vengo in spiaggia per ciurlare”): e infilano una serie di episodi e di caratterizzazioni semplici ma destinati a rimanere nelle menti del pubblico, con un’accorta e accurata “operazione nostalgia”delle atmosfere spensierate della commedia anni ’50-60, che contribuirà ad aprire il “filone nostalgico precontestazione”.
Attraverso una specie di ironico “amarcord” di quei mitici anni- dai successi di Cassius Clay sul ring, alla vittoria di Felice Gimondi al Tour de France, alle serate del “bandiera gialla” sulla riviera adriatica, alla moltitudine di canzoni anni ’60 nella colonna sonora- i fratelli Vanzina riescono nell’intento di riunificare una serie di episodi legati agli amori vacanzieri di un gruppo di personaggi fortemente caratterizzati, con una colonna sonora che riecheggia i maggiori successi commerciali del periodo, riscuotendo in questo modo un successo senza precedenti: 10 miliardi di lire di incassi nel 1982. Girato sulle spiagge della Versilia, e più precisamente di Forte dei Marmi, il film contribuì a lanciare le stelle di Jerry Calà e di Christian De Sica verso la grande popolarità, dopo anni di dura gavetta. Il malinconico finale, immortalato dal primo piano di Jerry Calà, sulle note di “Celeste nostalgia” di Riccardo Cocciante, vale il prezzo del biglietto e simboleggia la nostalgia dei bei tempi andati e della propria gioventù. Un classico come potrebbe esserlo “Questo piccolo grande amore” di Claudio Baglioni, un riuscito mix di romanticismo a sfondo balneare, goliardia di stampo giovanilistico e furbissima colonna sonora che rimane tra i migliori film dei fratelli Vanzina; e tra i film più rappresentativi di un’epoca. Proprio come lo sono stati in pochi: “Ladri di biciclette” per il Neorealismo, “La Dolce Vita” e “Il sorpasso” per il boom economico degli anni ’60, o “Totò, Peppino e la malafemmina”, per la comicità all’italiana, sono i pochissimi esempi.
Un’epoca d’oro, rimasta nella memoria popolare, vissuta oggi con un pizzico di nostalgia per chi già c’era e con ammirazione per chi non l’ha vissuta. Che malinconia pensare alla spensieratezza di Jerry Calà, alla carica di “pazza” follia di Lino Banfi, alla romanità “verace” di Enrico Montesano, agli incredibili tormentoni di Diego Abatantuono, alla napoletanità di Massimo Troisi. Un magone sale in gola, pensando ai bei tempi che furono e a quanto era bella l’Italia tri-campione del mondo.