Il cinema italiano, nella sua gloriosa storia, ha affrontato due momenti di profonda crisi, superate entrambe a fasi alterne. La prima coincise a fine anni ’80, con lo svuotamento delle sale cinematografiche, anche a causa della definitiva consacrazione del mezzo televisivo, con l’avvento delle televisioni private, che hanno in qualche modo monopolizzato lo spettacolo italiano. La seconda affonda le sue radici nello svuotamento culturale che il cinema umoristico italiano ha sofferto nel primo decennio degli anni 2000. Innanzitutto bisogna chiarire come il cinema italiano è stato quasi sempre orientato verso il brillante, l’umoristico a tratti venato da punte di malinconia o amarezza.
Il tutto nacque subito dopo la guerra e tale è rimasto fino ad oggi, saggiamente gli autori e i produttori dell’epoca si indirizzarono al solo campo nel quale le grosse produzioni internazionali non avrebbero potuto batterci, ossia a quello che aveva a che fare più da vicino con gli italiani stessi, con la nostra cronaca locale, con i nostri vizi e i nostri pregi, e in chiave prevalentemente umoristica. Così nacque la commedia all’italiana e così nacque la capacità dei nostri autori di parlare prettamente di noi stessi. Perché si scelse, e ancora oggi si sceglie la chiave umoristica? Perché il terreno dell’umorismo è quello dove l’identità nazionale è più salda, dove il rischio dell’invasione da parte di un prodotto straniero è più ridotto. D’altronde la situazione del nostro cinema è stata quasi sempre salvata dai film comici o comunque brillanti.
Ad inizio anni ’60, le sale cinematografiche si reggono con i film della commedia all’italiana; tra la metà degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 la coppia composta da Franchi & Ingrassia tiene in vita il cinema italiano; così come la crisi degli anni ’80 è salvata dalla commedia sexy. Negli anni ’90 la comicità toscana di Leonardo Pieraccioni fa il tutto esaurito, così come i cinepanettoni di Boldi e De Sica. Oggi il successo di Checco Zalone, Ficarra & Picone, Alessandro Siani, confermano la propensione italica al cinema di intrattenimento. Insomma, sta di fatto che il genere comico apparve ben presto quello più richiesto dal pubblico italiano all’industria nazionale, né le cose sarebbero cambiate troppo in seguito.
Ritornando allo svuotamento delle sale cinematografiche, tutto nacque dalla diffusione del mezzo televisivo, ricordando come già dal 1955 al cinema si assistette ad un’inversione di tendenza, con una perdita di 29 milioni di biglietti venduti. Crollo verticale che non si è mai fermato, in oltre 60 anni di storia da allora ad oggi. Ciò coincideva con l’ingresso in campo del nuovo e formidabile avversario del cinema, ovvero la televisione, che però spesso si è servita e si serve del cinema, proiettando e riproiettando pellicole di tutti i tipi.
Senza una vera e propria disciplina, tanto è vero che è del mese di ottobre, la nuova riforma sul cinema, voluta fortemente dai professionisti del settore. L’attuale riforma, diventata legge da pochissimi giorni, impone alle televisioni (Rai, Mediaset, La7, Sky in primis) di inserire nei loro palinsesti, in prima serata, il 30% della programmazione annuale, dedicata alle serie televisive italiane e alle pellicole nazionali, con particolare riferimento alle produzioni dell’ultimo ventennio. La situazione attuale delle produzioni italiane, in linea con la nostra storia, soffre i grossi prodotti internazionali, ma si rifà sfruttando la capacità prettamente italiana di parlare di noi stessi. Alla tecnologia, agli effetti speciali e ai film d’avventura americani, rispondiamo con l’antica arte della commedia, con la parodia e con l’umorismo. In questo, anche oggi, il cinema italiano è insuperabile e regge il confronto con i capitali enormi delle produzioni internazionali.
Lo sviluppo poi, delle multisale, ha permesso di attrarre nei cinema, un po’ tutte le fasce d’età, offrendo una varietà di generi e di pellicole in contemporanea, che hanno senza dubbio risollevato le sorti delle sale cinematografiche. Facendo questo però, si è assistito ad una selezione, che ha portato alla chiusura delle sale di provincia, magari quelle storiche, e al monopolio delle “nuove” multisale, tecnologiche e super attrezzate. Arrivati a questo punto val la pena trattare, un argomento che ha ottenuto parecchia risonanza negli ultimi anni, ovvero la necessità di insegnare l’arte del cinema alle nuove generazioni. Bisogno tenuto per anni nel dimenticatoio e che ha portato ad una sorta di analfabetizzazione cinematografica del nostro paese, che non giova all’Italia, soprattutto in riferimento al nostro patrimonio cinematografico di inestimabile valore, secondo solo a quello americano e primo in Europa. Per questa ragione, negli ultimo quinquennio, il SNCCI (Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani) si è battute in tutte le sedi opportune per ottenere l’insegnamento del cinema nelle scuole. La riforma è passata lo scorso anno, ma si attende ancora un nuovo disegno di legge che possa stabilire tempi e modi di insegnamento, ovvero come inserire l’arte cinematografica nei programmi ministeriali scolastici, riferite alle scuole medie superiori di tutte le tipologie.
Soffermandoci, in ultimo, sulla mera quantificazione dei nostri prodotti cinematografici, soltanto nell’ultimo anno tra cortometraggi, lungometraggi e documentari sono attualmente usciti oltre 540 lavori, la metà di quelli americani, ma il doppio dei prodotti inglesi, che ci confermano il secondo paese al mondo nel Cinema, in ossequio alla nostra grande storia. La situazione attuale del cinema italiano è in continua evoluzione, è come un calderone pronto ad esplodere, dopo anni o addirittura decenni di immobilismo, con la riconquistata consapevolezza che il Cinema, nell’ambito della cultura nazionale, deve necessariamente rivestire un ruolo di primissimo piano e che questo non deve essere assolutamente disperso.