Nato da un’idea del solito, trascinante Carlo Verdone, “L’abbiamo fatta grossa” è un film nuovo, di rottura, un’opera che si prende il rischio di voler rappresentare lo specchio dei tempi attuali e si inoltra fra le strade della Roma umbertina, storicamente quella meno frequentata dal cinema. Un cinema quello di Verdone, che nasce dall’osservazione comica della realtà e dalla costruzione puntuale, ironica e affettuosa di “caratteri”. Laddove però Verdone osa di più, è nella scelta di avere come coprotagonista del suo venticinquesimo film il grande Antonio Albanese, della commedia all’italiana moderna, l’attore più sensibile e più talentuoso. Reduce dalla meraviglia de “L’intrepido”(2013), lodato al festival di Venezia, nel quale sembra davvero uno “Charlot dei tempi moderni”, con quel suo viso triste e quel sorriso venato di malinconia. Carlo Verdone e Antonio Albanese, attori brillanti di “rango” superiore, per la prima volta insieme, pescano abbondantemente nel proprio repertorio personale fatto per entrambi di maschere tragicomiche che tanto ci hanno dato in passato, e costruiscono una commedia venata da uno stile malinconico che giova al film.
Il lavoro registico imponente di Verdone, che lima pazientemente situazioni e battute alla ricerca dei ritmi, dei tempi, degli incastri giusti con il profilo e lo stile del coprotagonista, riesce a legare perfettamente la sua comicità “realista”, con quella funambolica, fisica e surreale di Albanese. E se entrambi, singolarmente, sono in grado di cogliere e riprodurre il ridicolo di una situazione o di un personaggio, il binomio diventa addirittura travolgente quando il ritmo del film tende a salire, per intenderci quando c’è da scappare o da restituire refurtive. La comune goffaggine, insieme alla furbizia e alla perizia nel riprodurre gli italici dialetti, produce infatti effetti portentosi. I due protagonisti, Carlo stesso e Antonio Albanese (new entry nella variopinta galleria di partner che sempre Verdone ha scelto con curiosità e disponibilità, e questa è una combinazione più audace di altre), si pongono come due ingrigiti ragazzi spaventati ed eccitati dall’averla, appunto, fatta grossa.
Come in un’avventura per adolescenti un po’ antiquata. Astratta come un gioco senz’altro scopo che il gioco stesso, priva di qualsiasi aggancio a quanto accade realmente intorno. Carlo è un detective privato tanto malridotto da vivere con la vecchia zia un po’ picchiatella. Antonio (in realtà il personaggio si chiama Yuri Pelagatti, e l’altro Arturo Merlino) invece è un attore forse dotato ma tanto abbattuto dall’abbandono della moglie da non ricordare più una battuta e di conseguenza ridotto al lastrico. L’incontro avviene perché quest’ultimo pretende di far pedinare l’ex moglie per dimostrarne, inutilmente, l’infedeltà. La diversità di “gioco” e di provenienza, cesellata dal lungo lavoro sulla coppia effettuato da entrambi, tende a non sentirsi. Giustamente Verdone non vuole “domare” Albanese, che è un condensato di pura energia, ma lasciandolo immerso nella commedia, fa uscire quel suo lato poetico così mirabilmente “sfruttato” da Francesca Archibugi in “Questione di Cuore” o da Silvio Soldini in “Giorni e nuvole”.
S’incontrano perché Yuri assume Arturo per avere prove dell’infedeltà della moglie e si trovano fra le mani una valigetta con un milione di euro, inanellando una serie di avventure a dir poco rocambolesche fra maldestri travestimenti e scambi di persona, fughe e inseguimenti. Ci sono momenti esilaranti (tutta la sequenza nel solarium) e si ride parecchio, anche se il film, per la verità, manca un po’ di ritmo. Riuscita appare invece, la vena malinconica che avvolge questa commedia vecchio stampo, tutta giocata sugli equivoci e sulla goffaggine dei due protagonisti. Si punta molto sulla coppia degli interpreti, che si compensano bene. Verdone e Albanese sono accomunati da una malinconia sottile – e umanissima – che è uno degli indubbi tratti distintivi del film, e i loro personaggi hanno la faccia onesta e sincera, oltre che l’ingenuità, di due perfetti antieroi.
Negli ultimi venti minuti il film però, decolla: diventa una satira dolente e assai politica dell’Italia di oggi, in cui le brave persone si muovono con difficoltà sempre crescenti. Il film si conclude con un gesto liberatorio: sberleffo sonoro nei confronti del «sistema» cui i due protagonisti, Yuri e Arturo, non esitano a ricorrere. Una pernacchia nei confronti del politico-ladro che li ha fatti finire dietro le sbarre ma anche di tutto ciò che esso rappresenta. Lode particolare alla giunonica Lena, interpretata dalla cantante lirica armena Anna Kasyan, vera scoperta del film, che interpreta la fidanzata di Verdone. Kasyan ha tempi impeccabili, un’esuberanza e una comicità fisica istintive che travolgono immancabilmente Arturo-Carlo, ben felice di lasciarsi investire, o di opporre al fiume in piena della donna il suo miglior cialtronismo da antico e moderno interprete dell’italiano medio, vero erede dell’Albertone nazionale, con il quale Verdone è cresciuto artisticamente. L’ alchimia tra questi due assi della nostra commedia moderna, è dunque scattata, e anche il pubblico ha dimostrato di gradire: 3 milioni e mezzo di euro incassati soltanto nel primo week-end. Un film da vedere, che si erge dalla mediocrità dilagante del cinema attuale.