Le esperienze contemporanee del distanziamento sociale hanno evidenziato quanto siano importanti nella nostra vita la comunità di riferimento e la possibilità di poter mantenere con gli altri una comunicazione efficace che superi le barriere fisiche.
Abbiamo preso consapevolezza di non essere affatto quegli esseri asociali e che possono vivere bene da soli che credevamo; al contempo, ci siamo riappropriati della lentezza del tempo, della riflessione, del silenzio, e, probabilmente, abbiamo ristabilito anche un equilibrio ed una connessione più profonda non solo con gli altri, ma anche con noi stessi.
Nel mondo in cui niente si assapora ma tutto si consuma, persino la musica è veloce, fruita in streaming distrattamente ed in cui vanno per la maggiore brani corti e poco complessi perché non c’è il tempo per lasciare spazio a domande e riflessioni.
In questo contesto, il silenzio non è contemplato e, bombardati come siamo da stimoli visivi e sonori, ci ritroviamo a non essere più capaci di guardare ed ascoltare benché abili a vedere e sentire.
Non è solo un fatto di percezione, è comunicazione: l’ascolto non passa soltanto per un brano musicale ma investe tutti i campi della nostra vita, li sentiamo, ma non siamo più capaci di ascoltare veramente gli altri; non riuscendo a comprenderli, non riusciamo a stabilire una connessione efficace e la situazione peggiora se ci affidiamo alla vista per percepire il mondo circostante ed orientarci.
Quante volte ci sarà capitato di prestare attenzione all’abbigliamento di qualcuno appena conosciuto per cercare di comprendere chi fosse, invece di prestare attenzione a quello che ci stava raccontando di sé?
Lo stesso comportamento lo adottiamo quando cerchiamo di leggere un territorio, rimaniamo affascinati dalle sue architetture, dai colori, dal paesaggio, ma non siamo in grado di riconoscerne i suoni.
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La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Questo accade perché l’ascolto presuppone una lentezza che non siamo più abituati a sperimentare, ma di cui dovremmo riappropriare per riconnetterci ai luoghi ed alle persone che li hanno abitati, anche per ridisegnare un futuro diverso, più sostenibile e più equo, cercando di mediare tra le varie istanze di tutti gli attori di un territorio.
Abbiamo chiesto alla sound artist salentina Daniela Diurisi, che ha realizzato la traccia sonora della nostra Copertina d’Artista del maggio 2020 (Upgrade), di raccontarci le trame e gli aspetti che investono la comunicazione non visiva concentrata sull’ascolto e, più in generale, le enormi potenzialità delle arti sonore come strumento di comunicazione intergenerazionale, coesione sociale e conoscenza del territorio, a partire dalla sua esperienza di organizzatrice del 9° forum internazionale sul paesaggio sonoro, all’interno degli spazi della Distilleria “De Giorgi” a San Cesario di Lecce dove, dal 2018, si occupa di progettazione di eventi, didattica e produzione come artista sonora nell’ambito del progetto “Alchimie – la Distilleria De Giorgi residenza artistica di comunità”.
Domanda: Nel corso della sua esperienza, ha avuto modo di confrontarsi con la realizzazione di percorsi sonori “al buio” insieme ad associazioni di non vedenti, come nasce un progetto di questo tipo ed a chi si rivolge?
Risposta: Nel 2008 lavoravo ancora in uno studio di post produzione audio a Bologna. È stata un’esperienza molto densa che mi ha permesso di immergermi nel mondo dei suoni a 360°. In quegli anni mi stavo riavvicinando al mio territorio di origine, Lecce, dove poi mi sono trasferita e dove adesso abito.
Mi sono occupata, proprio nel 2008, di portare all’interno di un convegno sulla comunicazione a Lecce un percorso, strutturato dallo studio in cui lavoravo, relativo alla comunicazione non visiva, concentrato sull’ascolto. Su suggerimento dei responsabili dello studio abbiamo organizzato, fra le varie iniziative, una cena al buio con il coinvolgimento di un’associazione di non vedenti, composta da cuochi e camerieri professionisti, della provincia di Bologna.
Abbiamo pensato ad una proposta di questo tipo, rivolta a persone che partecipavano al convegno come esperti o uditori, quindi interessate ai temi della comunicazione, perché l’inversione dei ruoli permette l’apertura sensoriale a nuove prospettive.
È stato molto complicato oscurare perfettamente la sala, perché gli occhi cercano a tutti i costi di vedere ed un minimo bagliore fa sì che pian piano tutto appare. Solo con il buio totale ci immergiamo nell’oscurità e gli altri sensi sono liberi di prendere il posto della vista e guidarci nell’esperienza. L’egemonia dello sguardo perde la sua forza e il mondo intorno cambia forme e dimensioni. Ovviamente i non vedenti si muovono abitualmente in questo spazio per noi inesplorato ed ecco che i ruoli sono capovolti.
L’udito, in questa particolare condizione, ci aiuta ad orientarci nello spazio, disegnando distanze, e a cercare di riconoscere le persone che ci sono vicine dall’intonazione della voce, ma in generale, come accade per il gusto, il tatto e l’olfatto, il senso si apre e comincia ad ascoltare con profondità e il mondo sonoro appare in tutte le sue trame.
I luoghi hanno in sé una propria identità sonora che li rende unici?
Certamente. Si parla infatti di “Impronta sonora” definendo un suono di riferimento (soundmark) di una determinata comunità, che per la sua unicità contribuisce a determinarne l’identità culturale.
Chi è incuriosito da questi temi non può non leggere quello che è il punto di riferimento degli studi sul paesaggio sonoro, il libro del compositore, scrittore e ambientalista canadese Raymond Murray Schafer “Il Paesaggio Sonoro”. Come fondatore del World Soundscape Project presso la Simon Fraser University, Schafer ha incoraggiato accademici e musicisti a registrare e preservare l’ambiente sonoro del pianeta.
A proposito delle impronte sonore l’autore dice: “Una volta che un’impronta sonora è stata identificata, meriterebbe di essere protetta, perché le impronte sonore rendono unica la vita acustica di una comunità” (Schafer).
Se pensiamo a quali possono essere i suoni identitari dello spazio che viviamo, la prima strategia utile è quella di chiudere gli occhi e ascoltare.
Se siamo in un ambiente hi-fi (hight fidelity), cioè con un buon rapporto suono/rumore (ad esempio in un piccolo paese del sud alla controra), possiamo trovare qualcosa che solo noi ascoltiamo o comunque ascoltiamo in quel particolare modo.
Provo a fare un esempio: nel mio paese c’è l’arrotino. Ogni tanto passa per le vie con il suo camioncino munito di altoparlante, solitamente lo fa dopo pranzo; credo che da quando sono nata ho sentito l’arrotino. È un suono particolare perché è in movimento. Oltre ad avere delle frasi che annunciano il suo passaggio, queste frasi “camminano”, cambiano i loro parametri: il volume, il pan (per intenderci passando dall’orecchio destro al sinistro), il timbro (se il camioncino passa dietro casa i palazzi fanno da “scudo” e il suono della voce cambia). Insomma l’arrotino è una vera e propria composizione in movimento, mai uguale a se stessa, e posso dire che è un’impronta sonora del mio paese. Naturalmente l’ho più volte registrato per preservarne la memoria.
L’ascolto di suoni, rumori, racconti, memorie, voci, possono ridisegnare uno spazio fisico, ristabilendo una connessione tra chi abitava quei luoghi e chi li abita o li abiterà in futuro?
Il dialogo si basa sull’ascolto, l’ascolto ci permette di ottenere un dialogo trasversale che può produrre contenuti condivisi.
Ascoltando ci si può confrontare da un lato su quello che potrebbe essere migliorato, dall’altro su quello che può essere recuperato e infine su quello che alle volte è presente ma si fa fatica a focalizzare e quindi valorizzare.
Per affrontare la questione alla luce di questa tripartizione: passato/presente/futuro, è necessario che tutti facciano la loro parte. La costruzione che alle volte può divenire decostruzione ha bisogno di uno sguardo multisensoriale e infragenerazionale.
Il suono ricopre un ruolo importante non solo per la parte più immediata legata al linguaggio, ma anche per la sua dimensione impalpabile più legata all’ambiente e all’ecologia.
Ci troviamo molto spesso di fronte all’incomunicabilità tra vari attori di un territorio, mossi da interessi e visioni differenti: i soundscape studies possono essere concretamente il mezzo con cui la comunità dialoga, favorendo così lo scambio intergenerazionale e la coesione sociale?
I soundscape studies che, interpretando il paesaggio sonoro come scatola sonora in cui accade la nostra vita, testimoniano l’identità dei luoghi e delle persone, che a loro volta vivono in queste scatole, si concentrano sulle modalità con cui il suono partecipa alla percezione e alla comprensione dello spazio, possono essere mezzo per connettere gli abitanti al luogo in una modalità lenta, dove il tempo dell’ascolto diviene fondamentale per l’intreccio delle visioni e la costruzione collettiva del nostro presente.
Il concentrarci sull’ascolto tramite i soundscape studies ci consente di avvicinarci ad un linguaggio inesplorato con un tempo inusuale. Il tempo dell’ascolto richiede “tempo”, traduciamo questo gioco di parole in un fatto concreto che riguarda l’indisponibilità all’ascolto, un’inevitabile causa di distacco generazionale, superficialità anche dovuta ad una diffusione di una moltitudine di informazioni “veloci”.
L’esperienza del lockdown ha cambiato il nostro modo di comunicare e ridisegnato il paesaggio sonoro di molte città. Secondo lei, le mappe sonore potrebbero costituire un modo differente di fruire di un territorio senza recarsi materialmente sul posto?
Abbiamo vissuto per tre mesi un’esperienza fuori dal comune. Molti di noi si sono interrogati su questioni qualitative: abbiamo visto le acque trasparenti e piene di pesci dei canali di Venezia, abbiamo vissuto le nostre case in ambienti acustici nuovi, dove il canto degli uccelli ha sostituito il rumore delle macchine, la natura si è riappropriata dei suoi spazi.
Possiamo pensare che abbiamo vissuto un paesaggio sonoro del passato, possiamo solo immaginarlo, ma forse la strada in cui viviamo suonava proprio così, se avessimo registrato i vari punti di un paese durante il lockdown avremmo potuto impostare una mappa immaginaria dei luoghi nel passato.
Le mappe sonore sono senz’altro una possibilità di fruizione del territorio differente e sì, possono essere strumento “a distanza”, ma vedo le loro potenzialità anche come ausilio ad una visita fisica. Le mappe possono contenere racconti, suoni reali o immaginati, e se costruite insieme alle comunità possono restituire una visione dei luoghi dal di dentro.
Proprio in questo periodo stiamo attivando un percorso partecipato con gli abitanti del paese in cui vivo, il progetto si chiama “Il paese che parla”, creeremo una mappa dotata di QrCode che conterranno audio narrazioni a cura degli abitanti e paesaggi sonori privati, cioè individuati dai cittadini come tratti distintivi della loro percezione acustica del luogo.
Penso che sarà un progetto molto interessante sia per gli avventori esterni, che potranno conoscere il paese in una chiave del tutto differente, che per gli stessi abitanti che si ascolteranno e ascolteranno l’auto percezione della comunità. Per i fruitori esterni credo che sia un po’ come quando per caso, in un viaggio, si ha occasione di essere invitati a cena da una persona del luogo, si gustano i cibi locali, si vive la dimensione privata, insomma un viaggio vissuto.
Daniela Diurisi ha studiato musica al DAMS di Bologna, ha conseguito nel 2016 la laurea di Secondo livello in Musica Elettronica presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce. E’ sassofonista (sax baritono e tenore), si occupa di sound design e arte sonora, in particolare sperimentando le possibilità di incontro fra il suono ed il teatro, sviluppando un percorso di ricerca a cavallo fra le arti performative e il puro ascolto. Realizza composizioni sonore per il teatro e per i media. Ha lavorato nella post produzione audio per il cinema, tv, localizzazione di videogames, ha condotto progetti «al buio» con il coinvolgimento di associazioni di non vedenti per nuovi percorsi della comunicazione non visiva. Si occupa di esecuzione e composizione Acusmatica.
Per informazioni e per contattare l’artista: Daniela Diurisi: danieladiurisi@tiscali.it
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